Mieli fa seriamente i conti con la storia
Perché l'Inghilterra si mise a destabilizzare il Regno delle Due Sicilie? Paolo Mieli lo spiega, senza censure e retorica, nel suo nuovo libro I conti con la storia. Dove fa del (sano) revisionismo anche su Inquisizione e calvinismo.
Perché l’Inghilterra si mise a odiare il Regno delle Due Sicilie e cominciò a tramare per destabilizzarlo? Perché Gladstone tanto fece e tanto disse per infamarlo presso tutte le cancellerie europee ben sapendo di star facendo una precisa opera di disinformazione? Lo spiega Paolo Mieli, uno dei pochi giornalisti sessantottini che abbia preso le distanze dal suo passato per approdare a posizioni liberal-moderate. Già direttore de «La Stampa» e il «Corriere della Sera» e ora presidente della Rcs Libri nonché divulgatore storico alla Rai, nel suo ultimo libro che spazia per, praticamente, tutta la storia, fa come si suol dire del revisionismo (ci tocca usare un termine preso di peso dal lessico marxista perché uno dei metodi di infiltrazione culturale gramsciana è proprio quello di usare parole-chiave fino allo sfinimento, fino a che non prendano il posto di locuzioni più precise ma, dovendo descrivere realtà complesse –la realtà è sempre più complicata degli slogan - più difficili da usare).
In verità non fa altro che fare quel che dovrebbero fare gli storici: chiarire, approfondire e, se del caso, ribaltare vecchie interpretazioni senza mai accomodarsi nel «definitivo». Cosa che vale per tutte le discipline che vogliano definirsi «scienze»: per esempio, hai sempre creduto che il pesce «celacanthus» fosse estinto finché non ne hanno pescato uno vivo. Tornando a Gladstone, il fatto è che l’Impero britannico aveva sempre considerato le Due Sicilie come suo protettorato fin dai tempi delle guerre giacobine e napoleoniche, quando il re napoletano e sua moglie, sorella di Maria Antonietta, incalzati dai francesi fuggivano sulle navi dell’ammiraglio Nelson.
Il problema risale alla prima guerra carlista in Spagna (1833-1840), quando i liberal-massoni della regina Isabella II combattevano contro il pretendente cattolico e legittimista don Carlos di Borbone, zio di lei. Inghilterra e Francia sostenevano le truppe isabeline e Londra pretendeva che anche le Due Sicilie si accodassero. Invece Ferdinando II di Napoli non ne volle sapere e questo fu considerato alla stregua di un atto di insubordinazione dal governo britannico.
Si aggiunga il fatto che l’Inghilterra, impero marittimo, considerava la Sicilia fondamentale per la sua strategia mediterranea, tant’è che quando, nel 1831, un sommovimento fece emergere dal mare da quelle parti lo scoglio vulcanico battezzato Isola Ferdinandea (presto però inabissatosi), subito una corvetta britannica arrivò sul posto per piantarvi la Union Jack. E poi la faccenda dello zolfo siciliano, necessario ai nuovi piroscafi, che Londra intendeva avere a prezzi stracciati e in condizioni di monopolio. Il ruolo della Gran Bretagna nel Risorgimento è noto e non è il caso di tornarci sopra qui (Denis Mack-Smith definiva l’Unità d’Italia un dettaglio della strategia imperiale britannica).
Per chi scrive, autore di diversi libri sull’Inquisizione, particolarmente edificante è il capitolo nel libro di Mieli che parla di questo tema. Da segnalare particolarmente anche i capitoli intitolati significativamente «La ferocia di Calvino contro gli eretici» e «Lo schiavismo africano». Molti dei lettori della Nuova Bussola Quotidiana di queste cose sanno già tutto, naturalmente, ma bisogna ricordarsi delle nuove generazioni, a cui, ogni volta, occorre ripetere da capo tutto quanto. Per questo, quello di Mieli è anche un ottimo libro da affiancare al manuale di storia in uso nei licei.
Paolo Mieli, I conti con la storia. Per capire il nostro tempo (Rizzoli), pp. 425