Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Guido Maria Conforti a cura di Ermes Dovico
MONASTERO IN CUCINA/11

Miele e candele: simbolo di gusto, salute e virtù

C'è una cosa che quasi tutte le abbazie producono: il miele, il più longevo e antico dolcificante, materia prima per le pietanze, per recare salute e per confezionare ceri, con ricette come quelle di santa Ildegarda. L’ape, paragonata a Maria Vergine nel Laus Apium, è poi cara al monachesimo per il suo che di religioso nel rigore del comportamento e nel suo lavoro intelligente e incessante.

- LA RICETTA: INSALATA DI PERE ARROSTO CON MIELE E GORGONZOLA

Cultura 15_11_2020 English Español

È vero che molte abbazie producono vino, altre dell’ottima birra, poi ci sono monasteri specializzati in confetture e conventi che sfornano biscotti.

Ma c’è una cosa che tutti loro (o quasi) producono: il miele. Non solo perché è il più longevo e antico dolcificante, ma perché costituisce la materia prima per confezionare i ceri e le candele, oggetti che da millenni vengono utilizzati nei riti religiosi. Ed anche perché l’ape, un essere così complesso e affascinante, misterioso e unico, ha un che di religioso nel rigore del comportamento e nel lavoro incessante.

Vale la pena di menzionare qui il Laus Apium (l’Elogio alle api), che, con tutti gli errori del caso, trova una similitudine dell’ape con la Vergine Maria: “L’ape è superiore a tutti gli altri esseri viventi che sono soggetti all’uomo. Pur molto piccola di corpo, rivolge tuttavia nell’angusto petto alti propositi; debole di forze ma forte d’ingegno. Essa, dopo aver esplorato l’alternare delle stagioni, allorché il gelido inverno smise l’imbiancamento e poi il clima moderato della primavera spazzò via il torpore glaciale, subito sente la preoccupazione di uscire al lavoro; e le api sparse per i campi, librando leggermente le ali, si posano appena con le agili zampe per cogliere con la bocca i piccoli fiori del prato, cariche del loro cibo rientrano negli alveari e qui alcune con arte inestimabile costruiscono cellette con tenace cera, altre immagazzinano il fluido miele, altre tramutano in cera i fiori, altre danno forma ai loro piccoli lambendoli con la bocca, altre incamerano il nettare delle foglie raccolte. O ape veramente beata e mirabile, di cui i maschi non violano il sesso, né lo turbano i feti, né i figli distruggono la castità; così come, nella sua santità, Maria partorì vergine e vergine rimase.“

La più antica testimonianza dell’allevamento vero e proprio delle api risale a una pittura egiziana del 2400 a.C. Gli apicoltori Egizi si spostavano lungo il Nilo per seguire, con le proprie arnie, la fioritura delle piante. Dalla decifrazione dei geroglifici è risultato palese che diverse ricette a base di miele erano impiegate non solo nell’alimentazione, ma anche come medicine, per la cura di disturbi digestivi e per la produzione di unguenti per piaghe e ferite.

Il miele nell’Antico Egitto era inizialmente un cibo di lusso e rappresentava una prerogativa reale e divina. Più tardi, nel secondo millennio a.C., il suo uso si generalizza, fatto dimostrato dal ritrovamento di vasi per il miele o favi in tombe private. Inoltre, il miele è menzionato come razione di cibo durante i viaggi, come  bottino di guerra, pagamento di tributi, offerte nei templi e doni votivi.

I Sumeri lo impiegavano in creme impastate con argilla, acqua e olio di cedro, mentre i Babilonesi ne facevano un uso culinario: erano considerate una prelibatezza le focaccine fatte con farina, sesamo, datteri e miele. Nel Codice di Hammurabi si ritrovano articoli che tutelano gli apicoltori dal furto di miele dalle arnie.

L’allevamento delle api da parte dell’uomo, al fine di ottenere il miele e la cera ha sicuramente una tradizione molto antica anche in Europa, come testimoniano Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia e Columella nel De re rustica. Nel 30 a.C., al tempo dell’imperatore Augusto, l’apicoltura era nella sua età dell’oro. Oltre ai sopracitati Columella e Plinio, anche Virgilio, apicoltore e poeta, dedicò il IV libro delle Georgiche interamente all’allevamento delle api, esprimendo la sua personale preferenza per il miele di timo. 

Nell'Antichità il miele era largamente utilizzato: i Greci lo consideravano cibo degli dei (Aristotele lo definisce, nel suo trattato De Generatione Animalium, una sostanza “che cade dall'aria”): nella mitologia era Melissa, figlia del Re di Creta, a nutrire Zeus proprio con questo alimento.

Sia in Grecia che nella Roma antica, nell’alimentazione, il miele era era  utilizzato sia come dolcificante, ma anche come condimento e come conservante. Omero descrive la raccolta del miele selvatico, mentre Pitagora lo raccomandava come alimento utile per allungare la vita.

Il trattato De arte coquinaria di Apicio (in realtà una raccolta di diversi autori che copre alcuni secoli) è forse la fonte più ricca di informazioni sull’uso del miele in cucina. Ma nelle ricette di questa opera viene prediletto il gusto agrodolce. Come dolcificante, il miele compariva sulle tavole modeste così come su quelle dei ricchi, dove a volte veniva servito nel favo in cui era contenuto. Il miele era usato nel confezionamento di piatti di pesce e di legumi, di confetture di frutta e sciroppi, ma anche di carne, di pane e di focacce. Come conservante, era utilizzato con frutti come mele, pere e cotogne. Costituiva anche un alimento dato ai bambini delle fasce sociali più abbienti.

Dalla sua fermentazione veniva prodotto l’idromele, che continuò ad essere popolare anche nel Medioevo. Un’altra bevanda ricercata era il vino mielato, per il quale si utilizzavano i vini più pregiati e invecchiati (Massico, Falerno). Ma l’uso del miele si estendeva alla cosmesi, dove veniva utilizzato per produrre olii aromatici e profumi; alla medicina, dove veniva usato come antisettico, cicatrizzante e purgativo; all’artigianato di lusso: era un ingrediente impiegato per conferire lucentezza ai tessuti porpora e nella gioielleria per fare brillare le pietre preziose. Inoltre veniva usato per lucidare il legno, ma anche come lubrificante per porte e cassetti.

Santa Ildegarda di Bingen redige anche la prima ricetta di candela profumata: “Mescolare alla cera d’api olio essenziale di arancia e cannella macinata, poi fare candele per profumare la casa e allontanare gli spiriti nefasti”.

Anche Sant’Ambrogio, patrono degli apicoltori, era un appassionato allevatore di api. Nella alimentazione medievale il miele mantiene un ruolo ancora centrale, seppure ridotto rispetto all’Antichità, perché comincia a subire la concorrenza con lo zucchero. In effetti, il miele fu gradualmente soppiantato come agente dolcificante nei secoli successivi, soprattutto dopo l'introduzione dello zucchero raffinato industrialmente.

Però ai nostri giorni, in virtù delle sue riconosciute proprietà terapeutiche, il miele sta ritornando in voga sotto varie forme, sia come alimento che nella cosmesi e la medicina naturale. E i monasteri giocano un ruolo di primo piano nell’allevamento delle api e nella successiva diffusione dei prodotti a base di miele.

In Italia, il monastero di Bose è famoso per la produzione di ceri, che vengono lavorati interamente a mano: il cero artigianale è un pezzo unico e unico è anche il suo valore. In Svizzera, al Santuario di Einsiedeln, le candele che fanno risplendere la Madonna Nera sono prodotte proprio dal convento benedettino.

Negli Stati Uniti, nella piccola città di Saint Benedict (nome evocatore) della Luisiana, i monaci del Saint Joseph Abbey hanno avuto l’idea di usare le sponsorizzazioni di aziende e privati che "adottano” un alveare e il loro nome vi figura sopra. Qui producono miele, candele ed anche un sapone a base di miele e profumato con essenze di fiori, come La Rosa di Santa Teresa: lo chiamano Monksoap.

In Gran Bretagna, nel Devon, esiste un’abbazia (la Buckfast Abbey) che possiede un “apiary” fin dal Medioevo, che continua a produrre miele, ceri e prodotti cosmetici.

In Italia troviamo miele e prodotti derivati in diversi monasteri, conventi e abbazie: dai frati trappisti della Madonna dell'Unione di Boschi, al Monastero di Vasco (Cuneo); il convento del Deserto dei carmelitani scalzi a Varazze (Savona); sempre in provincia di Savona, a Finale Ligure, troviamo il Museo di Apicoltura dell’Aviario Benedettino; ci sono poi le abbazie cistercensi di Chiaravalle a Milano, di Chiaravalle di Fiastra, Sforzacosta (Macerata), e di Valvisciolo, Sermoneta (Latina); abbazia benedettina di Vallombrosa a Reggello (Firenze); l'Eremo benedettino di Camaldoli a Poppi (Arezzo); anche le monache benedettine di San Daniele, ad Abano Terme (Padova) e di Montevergine (Siracusa) hanno una bella produzione; il santuario passionista della Madonna della Stella a Montefalco (Perugia); i Minori osservanti del Santuario di San Francesco da Paola, a Paterno Calabro (Cosenza); le monache benedettine del Monastero di Nostra Signora dell'Annunciazione di Laveno, in provincia di Varese e tanti altri luoghi meravigliosi (chiedo perdono a quanti non vengono citati).

Api, miele e cera: bellezza, bontà e spiritualità. Le api sono un delicato messaggio di “ora et labora”. Il miele addolcisce non solo le pietanze, ma anche la vita. Mentre le candele ci accompagnano nel nostro cammino: luce, calore e speranza sono gli elementi che simboleggiano la Chiesa cristiana. La nostra Chiesa.