Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Felice di Como a cura di Ermes Dovico
INTERVISTA

Messori su Ratzinger: «Non ho mai conosciuto un uomo più buono»

In una intervista alla Nuova Bussola Quotidiana il celebre scrittore Vittorio Messori ripercorre la sua stretta amicizia con Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, nata con il libro intervista "Rapporto sulla Fede" che nel 1985 provocò un terremoto nella Chiesa. «Era il contrario dell'uomo chiuso e censore che hanno voluto dipingere, mai conosciuto persona più umile». «Sono certissimo che è andato in Paradiso, non pregherò per lui, ma pregherò lui per me». «E quell'incontro a tu per tu dopo la sua rinuncia...»
- CON LA MORTE DI BENEDETTO XVI C'È PIÙ BUIO SULLA TERRA, di Stefano Fontana
- DAL 2 GENNAIO SALMA ESPOSTA IN SAN PIETRO, di Nico Spuntoni
- VIDEO: HA TESTIMONIATO IL PRIMATO DI DIO, di Riccardo Cascioli

Ecclesia 31_12_2022 English
papa Benedetto XVI e Vittorio Messori

«Non ho mai conosciuto una persona così buona e umile». Vittorio Messori ricorda così Joseph Ratzinger, il papa emerito Benedetto XVI, a poche ore dalla morte. Al telefono dalla sua casa di Desenzano sul Garda, ormai diventata un eremo dopo la morte lo scorso 16 aprile della moglie Rosanna, Messori ripercorre sinteticamente le tappe della sua amicizia con Ratzinger, iniziata nel 1984 quando insistette per fargli una intervista che sarebbe poi diventata "Rapporto sulla Fede", un libro che «mise a rumore il mondo».

La prima edizione – curata dalle Paoline – uscì nel 1985 e fu una vera bomba: era la prima volta in assoluto che un Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede parlava con un giornalista e quello era anche l’anno del Sinodo dei vescovi, chiamati a riflettere sul Concilio Vaticano II a venti anni dalla sua chiusura. Ratzinger espresse giudizi molto chiari su tutte le tematiche più calde del post-Concilio, dalla concezione di Chiesa alla liturgia, dal dramma della morale alla crisi del sacerdozio, fino alla Teologia della liberazione e all’ecumenismo. Le reazioni, come si può immaginare, furono violente da parte dell’ala progressista e dei teologi alla moda che già digerivano male il pontificato di Giovanni Paolo II, iniziato nel 1978. Proprio Wojtyla aveva voluto accanto a sé un riluttante Ratzinger nel 1981, in un rapporto che è sempre rimasto molto stretto, e quel libro può essere anche considerato un manifesto di quel pontificato.

«Mi prendevano in giro - racconta Messori - quando dicevo che avrei fatto un’intervista al cardinale Ratzinger, alla Congregazione per la Dottrina della Fede dicevano che non sarebbe mai avvenuto, che lui non era mai uscito dalla Congregazione. Peraltro aveva anche la fama di essere molto chiuso e poco incline a parlare. Invece io ho insistito e alla fine ci siamo ritirati in montagna per tre giorni insieme a due suore tedesche che ci preparavano da mangiare».
Avvenne a Bressanone, ospiti del locale seminario, nell’agosto 1984. E lì è nato il libro che avrebbe segnato un evento di grande importanza per la Chiesa.

Probabilmente nella fiducia accordatagli dal cardinale Ratzinger sta l’importanza di “Ipotesi su Gesù”, scritto da Messori nel 1976, che ebbe un successo planetario e tuttora è molto letto. Fatto sta che Ratzinger in “Rapporto sulla Fede” si apre completamente: «Ho avuto la certezza di un uomo che tutto cercava tranne il nascondersi, o di essere reticente - racconta ancora Messori -. Quello che mi stupiva era che gli facevo le domande più imbarazzanti, pensando che avrebbe evitato di rispondere. E invece no, rispondeva».

«Da lì è nata un’amicizia vera, ogni volta che andavo a Roma ci vedevamo e andavamo a pranzo al ristorante. E ho avuto conferma di questo: non ho mai conosciuto un uomo così buono, così disponibile, così umile. Mi diceva la sua sofferenza di essere stato chiamato a Roma a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede: “La cosa che più mi amareggia - mi diceva - è dover controllare il lavoro dei miei colleghi, che si occupano di teologia. A me piaceva fare il professore, stare con gli studenti. Quando sono stato chiamato a Roma per fare questo lavoro l’ho accettato per obbedienza, ma per me è stata una sofferenza”».

In realtà aveva già sofferto per la sua nomina decisa da Paolo VI nel 1977 ad Arcivescovo di Monaco e Frisinga, «una delle realtà più difficili per i cattolici». «Lui rimase molto sorpreso per questa nomina - ricorda Messori, citando le confidenze di Ratzinger -. Fu la prima sofferenza, la prima obbedienza. Dopodiché lui pensava di poter lasciare questo compito e tornare all’Università, e invece è arrivato Giovanni Paolo II che l’ha portato a Roma, per fare una cosa ancora più pesante. Ma ha obbedito fino in fondo, è stato un uomo sempre attento a obbedire a quello che gli veniva chiesto». Un’obbedienza certamente sofferta: «Lui per ben tre volte ha chiesto a Giovanni Paolo II di permettergli di dimettersi. E invece lui gli ha detto di no. Ratzinger voleva tornare ai suoi libri, all’università, agli studenti». E invece, addirittura, è stato chiamato al papato nell’aprile 2005.

E l’immagine di uomo rigido, censore e controllore implacabile di ogni pensiero libero nella Chiesa? «Lui sorrideva quando lo accusavano di essere uno che controllava tutto. In realtà non è mai intervenuto duramente su nessuno», replica Vittorio Messori, che aggiunge: «Avendolo conosciuto, sono così convinto che è andato direttamente in Paradiso che non prego per lui, ma prego lui per me. Sono certissimo che è andato in Paradiso, pregare per lui non lo farò, ma da oggi lo aggiungo come un santo da pregare perché aiuti me. Io non ho bisogno di aiutare lui».

Dopo la rinuncia del febbraio 2013 è cambiato qualcosa? «C’è un episodio, per cui gli ho voluto ancora più bene», risponde Messori accennando una semplice risata sul filo dei ricordi: «Quando si è ritirato io non ho voluto più disturbarlo. Ma un bel giorno, dopo circa un anno e mezzo, mi ha telefonato il suo segretario dicendo che Sua Santità mi avrebbe rivisto volentieri. Naturalmente il giorno dopo sono partito per Roma, e sono stato subito accolto da lui e ha fatto una cosa per lui rara: mi ha dato un bacetto quando mi ha abbracciato, non credo lo abbia fatto molte volte. Poi mi fa accomodare e mi dice: “Guardi, avevo voglia di vederla, chiacchierare un po’ con lei, però lei per favore si dimentichi di essere un giornalista”. E in effetti io non gli ho fatto domande, lui invece mi ha fatto molte domande: su quanto stava accadendo nella Chiesa, le mie impressioni sul nuovo Papa, eccetera. È stato ad ascoltare con attenzione. Lui alla fine non mi ha detto nulla se non un semplice “io continuerò a pregare”».

Il primato della preghiera è certamente l’eredità più importante che ci lascia ma c’è anche un’enormità di scritti e discorsi che andrebbero ripresi ad uno ad uno per quanto sono attuali. A partire proprio da quel Rapporto sulla Fede, l’intervista rilasciata a Vittorio Messori che, infatti, dice: «È sorprendente rileggere oggi quelle risposte date quasi 40 anni fa, restano ancora drammaticamente attuali».