Meloni in Libano, oltre la cronaca rosa c'è una guerra che incombe
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Un idillio. Così appare, a distanza, la visita del premier Giorgia Meloni in Libano. Ma la realtà è dura. Hezbollah continua ad attaccare. Israele risponde, anche in Siria
Un idillio. Così appare, a distanza, la visita del premier Giorgia Meloni in Libano. Sono già “virali” le immagini della Meloni che gioca a calcetto con i militari italiani delle missioni Unifil2 e Mibil, nella base di Millevoi, i selfie con i ragazzi in divisa. E le parole di incoraggiamento del capo del governo a chi, per dovere, non potrà festeggiare la Pasqua con i propri cari: “rinunciate a tutto per garantire quella pace di cui tanti, soprattutto in questo momento, si riempiono la bocca seduti comodamente dal divano di casa loro. Perché la pace non si costruisce con i sentimenti e le buone parole, la pace è soprattutto deterrenza e impegno, sacrificio”. La Meloni ha incontrato il suo omologo libanese, Najib Miqati, con cui ha discusso di Libano, di crisi mediorientale e di immigrazione. Anche qui prevale la cronaca rosa, con il premier libanese che scambia la segretaria della Meloni per la Meloni e stringe a lei la mano in aeroporto.
Ma al di là della patina rosa, il Libano è una polveriera pronta ad esplodere. Nonostante tutto l’impegno, il sacrificio e la dedizione dei nostri militari della missione Unifil2, voluta fortemente da Massimo D’Alema all’indomani della Seconda Guerra Libanese (2006), Hezbollah continua a controllare il sud del Paese dei Cedri, facendone un vero e proprio Stato nello Stato. Lungi dall’essere disarmato, nonostante la presenza delle forze di interposizione, Hezbollah è attualmente uno dei gruppi terroristici più potenti del mondo, assieme agli Houthi nello Yemen, quanto ad armamenti e addestramento. L’intelligence israeliana stima che Hezbollah possieda fino a 150mila fra razzi e missili ed è la prima potenza missilistica non statuale nel mondo.
In questi diciotto anni, dal 2006, non sono più scoppiati conflitti su larga scala in Libano, ma non è mai neppure tornata la pace. Dal 7 ottobre, quasi tutti i giorni, Hezbollah lancia razzi contro Israele e l’aviazione con la stella di David risponde colpo su colpo. Il giorno prima della visita della Meloni in Libano, ad esempio, il gruppo terrorista filo-iraniano ha lanciato 30 razzi su Kiryat Shmona, nel nord di Israele. Tre di questi non sono stati intercettati dal sistema anti-missile Iron Dome e sono finiti sulla città, uccidendo un giovane druso di 25 anni. Il 28 marzo la pioggia di razzi è ripresa, sulle cittadine della Galilea. Le sirene sono suonate a Shlomi, Ras Naquora, Hanita, Ghorn e Gornot.
La risposta dell’IDF non si è fatta attendere e ha causato 16 morti, di cui uno “eccellente”: Tel Aviv dichiara di aver ucciso, nel raid, uno dei leader militari di Hezbollah, Ali Abed Akhsan Naim, a Bazouriyeh, nel Sud del Libano, presso Tiro. Era il vicecomandante delle forze missilistiche del “Partito di Dio”, dunque uno dei principali responsabili dei lanci contro Israele.
L’aviazione israeliana ha condotto anche un raid in profondità, in territorio siriano, questa volta. Sono missioni frequenti, iniziate dalla Seconda Guerra Libanese e intensificatesi dopo la disintegrazione della Siria nel 2011 e hanno come obiettivo i trasferimenti di armi ed equipaggiamento dall’Iran (alleato del regime di Assad) al Libano. Questa volta gli israeliani hanno bombardato un deposito di razzi nei pressi dell’aeroporto internazionale di Aleppo, nel nord siriano. Secondo l’Osservatorio per i Diritti Umani in Siria (una Ong vicina all’opposizione anti-Assad), i morti sarebbero 42, quasi tutti militari regolari siriani, ma anche tre membri di Hezbollah. Il Ministero della Difesa siriano denuncia la morte di civili e militari.
Per ora la nostra missione di pace internazionale è coincisa con un lungo periodo di pace instabile. Ma ogni giorno quel “tappo” può saltare e si aprirebbe un nuovo fronte nel Medio Oriente.