McCarrick e omosessualità, c'è un problema dottrinale
La vicenda dell'ex cardinale americano e l'impostazione del Rapporto ratificano un cambiamento dottrinale nella valutazione morale e religiosa della pratica omosessuale. La cosa più preoccupante, frutto di Amoris Laetitia, è che l'obiettivo non è più difendere la fede, ma le persone coinvolte.
Il Rapporto McCarrick della Segreteria di Stato è stato finora analizzato dal punto di vista della ricostruzione dei fatti. La cosa è perfettamente comprensibile dato che si tratta di precisare le responsabilità personali dei diversi attori della vicenda. Non andrebbe però trascurata un’altra dimensione, più ampia anche se giornalisticamente meno attraente, che fa da contesto dentro cui collocare anche la ricerca delle responsabilità e la comprensione di quanto è avvenuto.
Mi riferisco alla dimensione dottrinale circa la valutazione morale e religiosa della pratica omosessuale. È infatti plausibile pensare che se nella Chiesa cambia la valutazione degli atti omosessuali e se si indebolisce la loro condanna dal punto di vista dottrinale, allora anche la tolleranza pratica può trovare maggiori giustificazioni. Questo indebolimento del rigore risulta in modo molto evidente dal Rapporto, nonostante le sue parzialità e lacune.
Questo passaggio dall’esame della questione in base a criteri di politica ecclesiastica al piano dottrinale va quindi fatto, perché, tra l’altro, anche qui ci sono senz’altro delle responsabilità. Ci si chiede se sia più censurabile un rettore di seminario che tace su certi avvenimenti immorali interni al seminario stesso o un docente/teologo di quello stesso seminario che nelle sue lezioni sostiene ammissibile e lecita la pratica omosessuale. Un vescovo è da considerarsi responsabile di omissione solo quando non interviene su un sacerdote della sua diocesi o anche quando conserva nel loro posto teologi che dalla cattedra negano e sconvolgono la dottrina morale della Chiesa su questi argomenti?
Benedetto XVI aveva attirato l’attenzione proprio su questa dimensione quando, l’11 aprile 2019, aveva reso note le sue osservazioni sulla Chiesa e gli abusi sessuali. Dal 21 al 24 febbraio precedente si era tenuto l’incontro dei presidenti di tutte le Conferenze episcopali del mondo, un evento più di propaganda che di sostanza che aveva distolto l’attenzione dai veri problemi. Benedetto XVI, invece, centrò il problema, parlando del “collasso della teologia morale cattolica” avvenuta nel ventennio 1960-1980, un “processo inaudito, di un ordine di grandezza che nella storia è quasi senza precedenti” a seguito del quale “i criteri validi in tema di sessualità sono venuti meno completamente”. A ciò fece progressivamente seguito un altro collasso, quello della “forma vigente fino quel momento” della preparazione nei seminari.
Questa trasformazione della teologia morale cattolica e della morale sessuale è ancora in atto anche oggi e, dopo Amoris laetitia, ha ricevuto una nuova spinta dall’alto. Se la situazione dei divorziati risposati, come dice l’Esortazione di papa Francesco, non si presta ad una valutazione morale in sé come azione intrinsecamente cattiva ma va valutata “caso per caso” mediante il metodo del “discernimento”, non si capisce perché questi criteri non possano essere applicati anche alla situazione di un sacerdote, di un vescovo o di un cardinale che si siano abbandonati a pratiche omosessuali. Se la pastorale del discernimento sostituisce quella della dottrina perché poi lamentare queste ondate di immoralità nel clero?
La trasformazione della teologia morale in atto da decenni, trattenuta con grande fatica dalla Veritatis splendor di Giovanni Paolo II e ora ripresa e confermata autoritativamente dall’alto, ritiene che la norma morale sia rigida e astratta se non viene fatta propria dalla coscienza, la quale avrà quindi un valore “creativo” della stessa norma.
Ritiene che il discernimento non si debba applicare solo alle azioni buone, ma anche a quelle intrinsecamente cattive – come sono l’adulterio o l’attività omosessuale – anzi elimina la nozione stessa di azioni intrinsecamente cattive. Pensa che le circostanze che delineano la situazione in cui si agisce non siano solo accidentali, ma che concorrano a determinare la bontà o meno dell’azione, da cui deriva il metodo del “caso per caso”, ossia l’impossibilità di definire l’adulterio o l’esercizio dell’omosessualità come azioni cattive in sé e quindi sempre riprovevoli e condannabili.
Ma c’è qualcosa anche di più preoccupante. Se si legge Amoris laetitia si vede che la prima preoccupazione non è di proteggere i sacramenti nella fede della Chiesa, ma di proteggere le persone coinvolte nelle vicende esistenziali. Allora, analogamente, anche nei casi di immoralità sessuale accertata di sacerdoti si può procedere non nel proposito di difendere prima di tutto la fede, ma le persone coinvolte. Questa distorsione nel modo di vedere le cose rende molto difficile applicare il codice di diritto canonico, come si è verificato nei casi di omosessualità, che non sono più visti come delitti contro la fede ma situazioni da valutare caso per caso nella garanzia dei soggetti coinvolti.
Se la norma morale è fatta anche dalla coscienza e costruita nella ricerca, non sarà più possibile intenderla come oggettiva, assoluta e – per la morale cattolica – fondata sulle due rocce della legge naturale e della rivelazione.
Quando cerchiamo di valutare i fatti relativi alla vicenda Mc Carrick, anche a seguito del recente Rapporto del Vaticano, non dimentichiamo che in essi si vive una contesa non solo di tipo personalistico, con ecclesiastici che tentano di proteggersi, ma dottrinale. Allora potremmo anche capire meglio i singoli fatti.