Mattarella, quel che dimentica di dire sulla libertà di stampa
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In teoria, il discorso del presidente Mattarella alla cerimonia del Ventaglio, è perfetto: la libertà di stampa è un pilastro della Repubblica. Ma non dice quante volte sono state le istituzioni stesse a negarla, come durante il Covid.
I commenti al discorso pronunciato dal Presidente della Repubblica in occasione della tradizionale cerimonia del Ventaglio sono unanimemente positivi. Magari, però, c’è qualcuno che preferisce tacere e non esternare le sue riserve. Ad una lettura più attenta delle parole di Sergio Mattarella si rintraccia infatti una buona dose di allusività, strettamente collegata al clima politico che si è creato ultimamente nel nostro paese.
L’inchiesta di Fanpage sulla matrice fascista di Gioventù nazionale, il recentissimo pestaggio del giornalista della Stampa da parte di Casa Pound a Torino e, last but not least, il Rapporto sullo Stato di diritto diffuso dalla Commissione europea, nel quale si bacchetta l’Italia per la scarsa libertà di stampa e le poche tutele in favore dei giornalisti e del pluralismo dei media: è questo il contesto in cui si situano le dichiarazioni di Mattarella durante l’incontro annuale con la stampa parlamentare. Il Capo dello Stato ha evidentemente approfittato dell’occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa nei rapporti, non sempre sereni, con il governo Meloni.
«Si vanno, negli ultimi tempi, infittendo contestazioni, intimidazioni, quando non aggressioni, nei confronti di giornalisti, che si trovano a documentare fatti - ha detto Mattarella - ma l’informazione è esattamente questo: documentazione dell’esistente, luce gettata su fatti fin lì trascurati, raccolta di sensibilità e denunce della pubblica opinione. Democrazia è – citando Toqueville – il potere di un popolo informato». Poi l’affondo che ha ispirato tutti i titoli dei giornali di ieri: «Ogni atto rivolto contro la libera informazione, ogni sua riduzione a fake news, è un atto eversivo rivolto contro la Repubblica».
Il discorso in linea teorica non fa una grinza: tutti i regimi autoritari che tendono a reprimere il dissenso e a impedire il libero confronto democratico anche attraverso i media vanno ripudiati senza se e senza ma. I media devono essere pluralisti e dare spazio alle opinioni di tutti, senza pregiudizi. Chi indaga per scoprire la verità dev’essere libero di farlo, senza patire limitazioni da parte di poteri estranei al mondo dell’informazione. Probabilmente Mattarella voleva intendere questo l’altro giorno quando ha parlato davanti alla stampa parlamentare.
Tuttavia, qualche osservazione, per onestà intellettuale e completezza di trattazione, la si potrebbe svolgere. A partire dall’Europa, che soprattutto nelle ultime regolamentazioni (in particolare il Digital services act) ha dimostrato tutt’altro approccio, conferendo alla Commissione, organo politico, un potere soverchiante sulla circolazione dei contenuti online e attribuendo ai colossi del web una discrezionalità molto simile a quella che le leggi attribuiscono agli editori più che agli intermediari tecnologici come Google, Meta e altri. Quindi, che questa Unione Europea si permetta di mettere il naso in casa nostra e di giudicare il tasso di libertà di stampa assicurato dal governo Meloni fa un po' specie.
In secondo luogo, quando Mattarella dice che la libera informazione non può essere degradata a fake news, dice il vero, ma sarebbe curioso capire se si riferisce anche a quanti, durante il Covid, provavano ad applicare i principi della deontologia giornalistica, invitando a coltivare il pluralismo delle idee e a sospendere il giudizio su fatti di dubbia autenticità. Mancavano le evidenze scientifiche, come il post-Covid ha pienamente dimostrato, ma in quelle fasi concitate della pandemia chi stava al governo imponeva il pensiero unico, con la totale complicità dell’informazione mainstream e del Quirinale. A reti unificate veniva trasmesso il quotidiano “Festival della virologia”, senza la possibilità di provare a confutare tesi fragili ad esempio sulla capacità dei non vaccinati di contagiare e trasmettere il virus. Anche in quella fase storica è stato impedito di parlare a quanti provavano a squarciare il velo di unanimismo che si era creato sulle cause del Covid e sui rimedi per sconfiggerlo. I media non davano spazio a punti di vista diversi se non per ridicolizzarli e svuotarli di credibilità. Non si è trattato di una bella pagina di storia dell’informazione, essendo stata contrassegnata da una vera e propria caccia all’uomo nei confronti dei “dissidenti”, attraverso la demonizzazione di qualsiasi opinione contraria al mainstream.
Infine, le parole di Mattarella sono un richiamo alla valorizzazione della neutralità dell’informazione. Quando il giornalista si imbatte in una notizia di rilevante interesse pubblico deve condividerla con il suo pubblico, dopo aver fatto tutte le verifiche, anche in ordine alla compatibilità tra il diritto all’informazione e altri diritti come la privacy e la dignità umana, ugualmente meritevoli di tutela. Questo parametro, però, dev’essere applicato a tutta l’informazione, non solo a una sua parte. Se Fanpage fa un’inchiesta sulle “mele marce” nel centrodestra, non è detto che sia sempre uno scoop. Stessa cosa, a parti invertite, se un giornale vicino al centrodestra scava nei segreti del Movimento Cinque Stelle. Da questo punto di vista abbiamo dei precedenti raccapriccianti: attacchi continui a Silvio Berlusconi quando era al governo da parte dei principali quotidiani nazionali; fango mediatico di alcuni organi di stampa vicini al centrodestra nei confronti di avversari politici di Silvio Berlusconi.
Un modo per dire che la libera informazione dev’essere realmente di tutti e al servizio della verità e non può essere piegata a interessi di parte. Mattarella, che ha espresso concetti generali condivisibili, dovrebbe però guardare anche al passato, quando questi principi sono stati calpestati e nessuno, neppure lui, ha battuto ciglio.