Mattarella idealizza la democrazia che si fonda su se stessa
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Alla Settimana sociale dei cattolici il capo dello Stato assolutizza un'indistinta partecipazione democratica in cui non contano la meta e il fondamento: basta "camminare insieme" (come al Sinodo).
Il presidente Sergio Mattarella ha aperto ieri l’altro a Trieste la Settimana sociale dei cattolici italiani con una Lectio magistralis (così si sono enfaticamente espressi molti giornali) sulla democrazia. Con il tono impettito e solenne, davanti a qualche centinaio di delegati delle diocesi e alla presenza del cardinale Zuppi, presidente dell’episcopato italiano, e del vescovo Renna, presidente del Comitato organizzatore, Mattarella si è fatto professore e sacerdote della democrazia. Uno stile, il suo, molto più curiale di quello più politicante di Zuppi che gli è succeduto al microfono. In quanto dossettiano, Mattarella conserva questa visione “profetica” della Costituzione e della democrazia, viste come un progetto rivoluzionario e redentivo di popolo da realizzare in una collaborazione tra cattolici e sinistra politica in una lotta di resistenza contro il “fascismo eterno”.
Ne è derivata una idealizzazione della democrazia, come quando ha detto che essa è “antidoto alla guerra”. A ben vedere in molti casi sono state le nazioni democratiche a fare la guerra. Basti pensare a quelle del Golfo e a quella di Libia. Del resto, con le contrapposizioni tra partiti ideologici da essa inseparabili, la democrazia è come una guerra continua. Mattarella ha distinto tra “parteggiare” e “partecipare” ma nella democrazia liberale separare le due cose è impossibile. C’è poi un altro tipo di guerra che le società democratiche stanno compiendo, quella che tramite l’aborto di Stato elimina tanti esseri umani indifesi e non graditi. Una vera e propria guerra civile questa e, come si sa, le guerre civili sono le peggiori. Poi il presidente ha anche detto che la democrazia permette di affrontare le emergenze climatiche, sanitarie e finanziarie. Ma queste “emergenze” sono stabilite a forza da poteri non democratici e non si capisce come si possano definire democratiche le politiche governative, che Mattarella conosce bene, durante la cosiddetta pandemia da Covid.
Ci sono stati nel discorso alcuni passaggi che hanno dato l’impressione di considerare realisticamente la democrazia, senza assolutizzarla e idealizzarla. Per esempio, è stata chiamata “forma di governo”, il che in fondo ne riduce realisticamente la portata, pensandola come strumento e non come fine o fondamento della vita politica. Poi però si è aggiunto che “essa non può essere distorta e violentata dalla pretesa di beni superiori”. In questo modo la democrazia torna ad essere assolutizzata, perché nessun bene superiore deve essere al riparo dalla decisione democratica, quindi democraticamente si può decidere tutto. Il che, come sappiamo, è il grande tallone d’Achille della democrazia, la quale può così decidere democraticamente di porre termine alla democrazia. Quando la democrazia viene assolutizzata la si indebolisce. Essa ha bisogno di qualcosa che la preceda – qualche bene superiore - e che le dia un senso non democraticamente stabilito. Se la democrazia fonda se stessa, è la fine, prima di tutto della stessa democrazia.
Mattarella ha precisato in cosa consista questo contesto che precede la democrazia e che, impedendone l’assolutizzazione, la protegge circoscrivendo il suo senso? I punti del discorso a ciò dedicati sono stati tre. Nel primo, con riferimento all’art. 2 della Costituzione repubblicana, Mattarella ha detto che la democrazia serve a “riconoscere e a rendere effettive le libertà delle persone e delle comunità”. Questo presupposto – le libertà delle persone e delle comunità – non è però sufficiente a spiegare il senso della democrazia, perché si tratta di un concetto vuoto, o negativo, di libertà: non si dice libertà per che cosa. Si torna così al tallone d’Achille: libertà anche di rifiutare la democrazia?
Nel secondo passaggio viene detto che “la democrazia è l’esercizio dal basso, legato alla vita di comunità, perché democrazia è camminare insieme”. Sarà piaciuto al cardinale Zuppi questo accenno indiretto alla sinodalità: sia la democrazia che la Chiesa in fondo sarebbero la stessa cosa: un camminare insieme. A parte ciò, nemmeno in questo caso si accenna ad un fondamento plausibile. Sia l’espressione “dal basso” che “camminare insieme” non dicono niente sui valori che dal basso dovrebbero essere incarnati, né quali siano i fini verso cui si cammina insieme. Sia gli uni che gli altri potrebbero essere antidemocratici. Come diceva Giovanni Paolo II, la democrazia sta o cade in forza della visione della persona che essa incarna, ma Mattarella niente ha detto su questa visione della persona.
Un ultimo passaggio dice che la democrazia “si invera nella vita delle persone e nel mutuo rispetto delle relazioni sociali”. Qui sembra che si adombri la relazione tra percorsi individuali e relazioni di solidarietà, ossia tra la libertà dell’individuo e i limiti della giustizia e della solidarietà sociale. Ma la vita delle persone su cosa si fonda?, e le relazioni sociali che senso hanno?: qualsiasi forma di vita e qualsiasi tipo di relazione? Oppure solo quelle giuste? E come stabilire quelle giuste? Le stabilisce la Costituzione democratica? Ma allora la democrazia stabilisce essa il giusto e l’ingiusto? Se così fosse sarebbe un totalitarismo.
A Trieste Mattarella non è riuscito a dire su cosa si fondi la democrazia e la Chiesa italiana di Zuppi, Renna e del vescovo locale mons. Trevisi conducono i cattolici a fare le loro parte dentro questa democrazia di cui nessuno conosce il fondamento.
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