Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Ora di dottrina / 93 – La trascrizione

Maschio e femmina li creò – Il testo del video

Nella Genesi è chiara la pari dignità tra uomo e donna. Nella differenziazione sessuale e nella chiamata dei due a divenire una sola carne si affaccia un’altra realtà, il grande mistero di Cristo e della Chiesa. Come leggere san Paolo.

Catechismo 03_12_2023

Oggi è la nostra Ora di dottrina n. 93 e proseguiamo con il nostro commento al Credo, alla creazione delle cose visibili, dopo aver visto quella delle cose invisibili, quindi gli angeli. Abbiamo iniziato il commento alla creazione dell’uomo e dedicato due incontri (vedi qui e qui): la collocazione dell’uomo all’interno della creazione; la singolarità, l’originalità di questa creatura [l’uomo] uscita dalle mani di Dio.

E oggi proseguiamo con il tema «Maschio e femmina li creò».

Prendiamo il Catechismo della Chiesa Cattolica: al n. 355 inizia una sezione dedicata all’uomo; e dopo aver affrontato il tema dell’unità fondamentale dell’anima e del corpo nella persona umana, un altro tema-chiave è appunto «Maschio e femmina li creò».

I testi di riferimento per riflettere sulla differenza sessuale, quindi la creazione dell’essere umano come maschio e come femmina, come uomo e come donna, sono sicuramente due capitoli del libro della Genesi: Gn 1,27, dove, come coronamento della creazione, prima del settimo giorno, abbiamo proprio la creazione dell’uomo, con questa espressione: «A immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò». E poi il capitolo 2 del libro della Genesi, che riporta il racconto della creazione della donna da Adamo. Questi sono i due testi scritturistici principali, ai quali fanno riferimento altri testi del Nuovo Testamento.

Il primo dato che troviamo nella Rivelazione e che va calato nel suo contesto storico, proprio per capirne la forza, è qualche cosa che distacca la Rivelazione al popolo di Israele dal contesto delle altre religioni. Perché? Perché noi troviamo che l’immagine di Dio è l’uomo: «A immagine di Dio lo creò». Quando leggiamo invece «maschio e femmina li creò», non dobbiamo pensare che l’immagine di Dio siano il maschio e la femmina, nel senso che Dio conosca una differenziazione sessuale. A Dio non si può attribuire una caratteristica sessuale. Ora, perché è così importante questo aspetto? Perché nella religione ebraica e ovviamente nella religione cristiana, la sfera sessuale si “distacca” dalla sfera divina. Se pensiamo al contesto delle religioni antiche, la sessualità era un attributo in qualche modo delle diverse divinità, che avevano una caratterizzazione maschile o femminile. Ancora, la “sessualità sacra”, la “prostituzione sacra” era considerata come un mezzo diretto per avere un’esperienza estatica-divina.

La fede cristiana esce da questo schema. Dio è al di là della differenziazione sessuale: crea la differenziazione sessuale. E dunque maschio e femmina si dicono di quella realtà creata che implica la corporeità, ma non si dice di Dio. La sessualità non dev’essere intesa come un attributo di Dio e neanche come un mezzo diretto di congiungimento con il divino. Questo è molto importante. Però nemmeno bisogna cadere sull’altro aspetto. La de-divinizzazione della sessualità non significa la sua totale secolarizzazione, che è quello che stiamo vedendo oggi. In sostanza, la caratterizzazione sessuale, pur non essendo in Dio (Dio non è maschio o femmina, o entrambi), tuttavia proviene da Dio, è creata, voluta da Dio. Questo significa che è impossibile concepire la differenziazione sessuale e, poi, l’unione coniugale prescindendo da Dio e dal senso che Dio ha posto in questa sua opera, in questa sua creazione. Non si può prescindere da questo.

Dunque, l’identità sessuata dell’uomo – maschio o femmina – non proviene da una scelta dell’uomo, non sono io che scelgo di essere maschio o femmina, non sono io che posso manipolare la mia identità sessuale o crearne una terza, una quarta, una quinta… dipende da Dio. Questo è chiarissimo nella Rivelazione cristiana. E nello stesso tempo è chiarissimo che in Dio non c’è differenziazione sessuale; è una realtà che appartiene all’uomo, ma è posta da Dio. Queste sono due polarità da tenere presenti in modo chiaro. Dunque, è impensabile una secolarizzazione totale della sessualità, come se la sessualità non fosse creata da Dio e dunque non avesse, questa creazione, un suo senso, un suo linguaggio, una sua finalità, una sua vocazione, ma fosse invece un materiale indistinto che l’uomo può manipolare a piacere. Dall’altra parte, non è un elemento che troviamo in Dio o che in qualche modo è legato all’accesso a Dio com’era in diverse culture antiche.

Allora, che via si apre? Si apre la via del simbolo. Simbolo non vuol dire “idee fantasiose e stravaganti”: il simbolo è qualche cosa che deriva dalla realtà stessa, ma che rimanda oltre questa realtà. E qual è il simbolo della differenziazione sessuale maschio-femmina e di quella chiamata che troviamo nei testi sacri, come nel libro della Genesi, a divenire una sola carne? Per divenire una sola carne è necessario che ci siano due soggetti distinti. Lo dice chiaramente san Paolo; pensiamo al grande testo della Lettera agli Efesini (5, 25-32): in particolare il versetto 32, che svela in qualche modo il senso profondo della differenza sessuale. San Paolo dice: «Questo mistero è grande [parla del mistero nuziale, dell’uomo e della donna], lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa».

Dunque, nella differenziazione sessuale e nella chiamata dei due a divenire una sola carne, reale, nella personalità, nella corporeità dell’uomo e della donna concreti, si apre altro, si comunica, si affaccia un’altra realtà, molto più “originaria” e profonda. Ed è il grande mistero di Cristo e della Chiesa. Teniamo sempre presente questo aspetto, perché adesso andiamo a vedere alcuni aspetti del racconto biblico.

Una seconda considerazione importante da fare, sempre rispetto alle culture antiche, è che questo testo della Genesi si allontana, rompe in qualche modo con due miti, due racconti mitologici molto importanti nell’antichità, soprattutto nella cultura ellenica e in parte, poi, romana, che ha ereditato questa mitologia. Il racconto biblico si pone in contrapposizione a quali due grandi miti dell’antichità? Il primo è il mito dell’Androgino. E il secondo è il mito di Narciso.

Ora, il mito dell’Androgino si trova nel Simposio di Platone e veicola l’idea secondo cui l’uomo, in origine, aveva caratteristiche sia maschili che femminili. Ma questa sua caratterizzazione lo rendeva talmente potente, lo elevava talmente tanto da far preoccupare gli dei. E gli dei, per impedire che l’uomo potesse divenire come loro, decidono di tagliare in due l’uomo originario e di farne una metà maschile e una metà femminile, le quali si sarebbero poi cercate per ricomporre l’originale dell’Androgino.

Quando noi vediamo il racconto biblico, ci accostiamo al dato della Rivelazione, vediamo che siamo da tutt’altra parte. Primo, perché la differenziazione sessuale non è una punizione degli dei, non è un elemento della natura decaduta, non proviene da una colpa, non proviene da un castigo: proviene da una volontà creatrice di Dio. Dunque, la differenziazione sessuale è un bene, voluto da Dio; è un bene, non è un problema, non è un castigo. E quando in qualche modo si cerca di cancellare questa differenziazione ecco che vogliamo ritornare al mito dell’Androgino, che è diametralmente contrario a quanto ci viene comunicato dalla creazione: Dio ha creato l’uomo maschio e femmina.

Secondo: l’uomo e la donna non sono due mezze persone, due mezzi esseri umani, due parti mancanti che si devono completare; questo è quello che deriva dal mito dell’Androgino. Nel racconto genesiaco non abbiamo questo: abbiamo invece l’espressione che l’uomo, Adamo, è immagine di Dio e, poi, che è creato maschio e femmina. Quindi l’umanità è pienamente, completamente presente e nel maschio e nella femmina. Così come nel capitolo 2 della Genesi troviamo l’espressione che Dio crea la donna traendola dall’uomo, perché “gli stesse di fronte”: questa espressione indica appunto una pari dignità, non una gerarchia intesa come subordinazione di identità, una subordinazione ontologica. Anche questo è un grande punto di distanza rispetto all’idea dell’Androgino.

Terzo aspetto, molto interessante: l’unione dell’uomo e della donna non basta a sé stessa. Cioè, nel racconto della Genesi, questa unione dell’uomo e della donna è un bene, ciò che Dio desidera. Ma non esaurisce il mistero dell’uomo; non si risolve in questa unione il mistero dell’uomo. Perché? Perché sia il maschio che la femmina hanno la loro origine in Dio e la loro chiamata a Dio. Dunque, la chiamata all’unione dell’uomo e della donna non è fine a sé stessa; la coppia umana, la coppia coniugale deve aprirsi alla sua origine e camminare verso la sua vocazione, la sua meta, che è l’unione con quell’Origine, con la O maiuscola, da cui essa proviene. Tagliata questa estremità, cioè tagliato il principio e tagliato il fine, non si comprende più neppure il mistero del maschio e della femmina e della loro chiamata all’unione.

Il mito di Narciso ha un paio di versioni, una nata nella cultura ellenica e un’altra adattata nel mondo romano nelle Metamorfosi di Ovidio. Ma in sostanza qual è il messaggio? Il messaggio è quello di questo Narciso che si specchia nell’acqua e si innamora di sé stesso, realizzando che questo è un amore che non potrà mai giungere al suo scopo, perché appunto l’amore richiede l’alterità. E si toglie la vita.

Dunque, il racconto della Genesi ci dice precisamente questo: nel mistero della differenziazione sessuale, c’è proprio la chiamata dell’uomo a uscire da sé e uscire verso un altro che è come sé, nella sua identità ontologica, ma diverso da sé, nella sua caratterizzazione sessuale. Questi sono due elementi che devono essere tenuti insieme. Se io nego l’identità della natura, l’identità della dignità umana, sto andando diametralmente contro la grande Rivelazione biblica. Ed è lo stesso se io nego la differenza sessuale. Dio ci rivela che le due cose stanno insieme.

E d’altra parte tutto il racconto del capitolo 1 della Genesi è quello di una continua creazione, che nasce da che cosa? Dalla distinzione. La distinzione da Dio, altro da Dio, pur essendo in Dio, altrimenti il mondo creato non esisterebbe. E poi nel mondo creato questa differenziazione – le acque che sono sopra il cielo e le acque sotto il cielo, le acque raccolte e la terra asciutta, il luminare per il giorno e quello per la notte, il giorno e la tenebra, eccetera – è lo spazio della creazione. E lo stesso vale per l’uomo. Anche l’uomo, l’umanità è attraversata da questa distinzione: ed è proprio in questa distinzione, del maschio e della femmina, che trova spazio che cosa? Una nuova creazione, la generazione di una nuova vita.

Cerchiamo adesso di capire alcuni elementi del racconto del capitolo 2 del libro della Genesi. Nella creazione della donna abbiamo tre aspetti che, a mio avviso, sono degni di nota, da mettere in risalto. Il primo lo abbiamo già accennato. Si dice appunto che la donna viene creata dal fianco dell’uomo, di Adamo, perché gli stesse di fronte. Il termine usato è nèghed, che indica precisamente questo essere dirimpetto, essere di fronte, a tu per tu, come tra persone di pari dignità. Il testo biblico chiarisce questo aspetto: non c’è un contesto di subordinazione ontologica, di dignità.

C’è un altro aspetto. Nel testo sacro si dice che Dio creò la donna perché fosse di aiuto all’uomo. Ora, questo vocabolo, èser, è molto interessante perché lo si ritrova per esempio nei Salmi in riferimento a Dio; quando si dice: «Dio è il mio aiuto», oppure: «Dio è il mio sostegno», si usa sempre questa parola, èser. Ora, questo è molto interessante perché in fondo, in trasparenza, l’uomo vede sempre nella donna, chi? Il suo aiuto. Non nel senso della colf o della badante, ma nel senso di quell’aiuto che dietro fa trasparire l’aiuto per eccellenza di Israele, che è Dio, il sostegno per eccellenza di Israele, che è Dio.

Dunque, la donna è il volto, in qualche modo, dell’aiuto divino dato all’uomo. Questo è molto importante. Di nuovo, per non fraintendere questo termine: essere d’aiuto non è una subordinazione, se pensiamo che questo termine viene riferito a Dio stesso.

Un terzo aspetto capitale è il sonno, il torpore in cui Adamo cade quando viene creata la donna. Perché è così importante? Due ragioni fondamentali. La prima: per far capire che la donna non è la creatura dell’uomo, cioè non è frutto di un’opera dell’uomo; è frutto dell’opera di Dio. Adamo dormiva. Vuol dire che Dio stesso opera. È dalle mani di Dio che la donna esce. Ma Dio decide che la donna venga al mondo, per la Sua volontà creatrice, tramite Adamo. E tuttavia non è Adamo che crea la donna.

Un altro aspetto fondamentale è che i Padri hanno sempre visto, in questo sonno, il sonno di Cristo in croce. Cioè la Chiesa nasce come Eva, come ishàh: ysh è l’uomo maschile, ishàh è l’uomo di sesso femminile. Così capiamo il testo della Genesi, che ci dice che Adamo la chiamò Eva perché derivava dal maschio; in italiano non si capisce, ma se prendiamo il testo ebraico si chiama ishàh perché proviene da ysh. Questi sono i due termini usati. Come la donna viene tratta, direttamente da Dio, dal fianco dell’uomo dormiente, analogamente la Chiesa è tratta dal fianco aperto di Cristo, che dorme il sonno della morte. I Padri hanno visto questo parallelo grandioso. Ecco perché san Paolo, nella Lettera agli Efesini, dice dell’unione coniugale: «Questo mistero è grande, lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa».

Il mistero originario dell’unione nuziale tra ysh e ishàh, tra l’uomo e la donna, annuncia il grande mistero dell’unione tra Cristo e la Chiesa. Un’unione che avviene nella carne. E dunque qui annuncia già il grande mistero dell’Eucaristia, che è proprio il mistero dell’unione nuziale tra Cristo e la Chiesa, Sua Sposa, nella carne, nell’unica carne. È un’apertura veramente meravigliosa, che fa comprendere la bontà enorme del matrimonio e la sua irrinunciabilità: la Chiesa non potrà mai, mai, mai cedere sulla realtà del matrimonio nella differenziazione sessuale, non solo perché non le appartiene, in quanto è Dio che ha creato le cose, è Dio che le ha rivelate, ma anche perché lì si gioca e si annuncia tutto il mistero fondamentale di Cristo e della Chiesa.

Ora leggiamo un passo molto controverso, che è stato utilizzato per usare una terminologia molto in voga in questo periodo, in senso maschilista o patriarcale, o in senso femminista o matriarcale. È un testo che è stato spesso mal compreso, a volte strumentalizzato da parte maschile in generale, in certi frangenti storici per affermare una superiorità dell’uomo, o in ambito femminista, più di recente, per rinfacciare che il cristianesimo ponga la donna in stato di inferiorità.

Mi riferisco alla Prima Lettera ai Corinzi, al capitolo 11. È un testo molto particolare: «[7]L'uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell'uomo. [8]E infatti non l'uomo deriva dalla donna, ma la donna dall'uomo; [9]né l'uomo fu creato per la donna, ma la donna per l'uomo. [10]Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza [autorità, è la traduzione più corretta] a motivo degli angeli. [11]Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l'uomo, né l'uomo è senza la donna; [12]come infatti la donna deriva dall'uomo, così l'uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio» (1 Cor 11,7-12).

Che cosa sta dicendo qui san Paolo? Cosa vuol dire che l’uomo «è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo»? Teniamo presente la parola gloria. Nel mistero trinitario chi è la gloria del Padre? È Cristo. Cristo, il Verbo di Dio, è chiamato «la gloria del Padre». Perché la gloria del Padre? Perché deriva dal Padre ed è, per eccellenza, l’immagine del Padre.

Questa generazione del Verbo, questo atto d’amore del Padre verso il Verbo, e del Figlio (il Verbo) verso il Padre, è una persona, la persona dello Spirito Santo. Ora, la creazione dell’uomo rispecchia questa immagine di Dio, non solo nella dignità del singolo, ma anche nella dinamica della relazione e della differenziazione sessuale e, ripeto, non perché in Dio ci sia una differenza sessuale. In che modo allora? Lo troviamo scritto in queste righe di san Paolo. Cioè, il mistero dell’uomo e della donna è analogo, per così dire, al mistero del Padre e del Figlio. Il Figlio è generato dal Padre, è immagine del Padre, è gloria del Padre, ma non è inferiore al Padre, non è subordinato al Padre. Ci sono stati anni e anni in cui la Chiesa ha dovuto lottare contro varie eresie di tipo subordinazionista, come se il Verbo fosse in qualche modo inferiore al Padre, perché generato dal Padre. Mai la Chiesa ha accettato questa cosa. Cioè, la generazione del Verbo dal Padre non indica una sua subordinazione, una sua inferiorità. Vero Dio il Padre, vero Dio il Figlio.

Nell’analogia, questo si può dire della donna e dell’uomo. San Paolo dice che non è l’uomo che è venuto dalla donna, come non si può dire che il Padre è generato dal Figlio, al contrario è il Figlio che è generato dal Padre. Dunque, è la donna che è generata dall’uomo. E tuttavia questo non significa una subordinazione della donna rispetto all’uomo dal punto di vista della sua dignità, della sua natura: indica un ordine, una relazione diversa, in analogia a quello che accade nella vita trinitaria. Tant’è vero che poi san Paolo dice che «tutto poi proviene da Dio», dunque l’uomo proviene da Dio, la donna proviene da Dio. La donna non proviene dall’uomo, nel senso che non è l’uomo che crea la donna, è Dio che crea la donna, ma tra di loro c’è questa diversità di ordine, cioè Dio trae la donna dall’uomo, come immagine, in qualche modo, di quel trarre il Verbo dal Padre. Questo è l’ordine. Come c’è un ordine trinitario, senza un più o un meno, analogamente così c’è un ordine nell’uomo, senza per questo avere un più o un meno.

Tant’è vero che poi san Paolo dice: «tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l'uomo, né l'uomo è senza la donna». E anzi, se originariamente è la donna che deriva dall’uomo, nella vita che si propaga è l’uomo – in questo caso inteso sia maschio che femmina – che deriva dalla donna, cioè dal grembo della donna. E questo per far capire che cosa? Per far capire che non c’è una separazione, una subordinazione, un di più e di meno, ma c’è un ordine che Dio ha posto nelle cose. Ed è un ordine che in qualche modo deve essere rispettato, mantenuto, senza che questo significhi – né per difenderlo, né per avversarlo– che allora la Rivelazione cristiana insegni che la donna è un uomo di serie B. Questo è quanto di più estraneo a questo testo. Quindi, accusare questo testo di san Paolo di misoginia significa non avere colto bene la questione.

È molto importante mantenere sempre questa dimensione del simbolo. Il simbolo, nella mentalità antica, ma dovrebbe essere così nella mentalità realista, non è qualcosa che ci inventiamo per raccontarcela: è basato su un fondamento e cioè che tutta la realtà visibile, ha una sua consistenza, non è un nulla, non è un pensiero, non è una fantasia. Ha una sua consistenza, che deve essere custodita e mantenuta proprio perché rimanda ad altro. Dalla creazione visibile noi comprendiamo la realtà invisibile.

E dunque guardando la relazione uomo-donna, così come Dio l’ha voluta, noi comprendiamo la relazione originaria, la derivazione originaria del Verbo dal Padre che rimangono un’unica divinità; chiaramente nel caso dell’uomo non si può parlare di un unico uomo, di un’unica sostanza umana: sono due persone diverse, ma della medesima natura umana, della stessa dignità. E dall’altra parte viene gettata una luce sul grande mistero di Cristo e della Chiesa.

Tanta carne al fuoco, dunque. Spero di avervi dato qualche input per entrare un po’ nei testi biblici fondamentali che parlano di questo. Quello che è chiaro è che sempre la Chiesa ha sostenuto l’elemento fondamentale della differenziazione dei sessi e dell’unica dignità dell’uomo e della donna, pur essendoci un ordine diverso. Appunto, ordine non significa un più o un meno di dignità.

La prossima volta continuiamo con il nostro commento alla creazione dell’uomo.



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