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TRANS E TRAPIANTI

Maschi con l’utero e mammi? Una possibilità da bocciare

È ancora raro ma prende piede il trapianto di utero. Due ricercatori della Sapienza di Roma, in un articolo su Acta Biomedica, avallano l’idea che tale pratica possa contribuire al “miglioramento della vita” degli uomini che si sentono donne. Ma la volontà di “cambiare” sesso non è eticamente accettabile. E un eventuale trapianto di utero non sanerebbe l’infelicità, ma l’accrescerebbe. Senza contare l’impatto su un’ipotetica prole.

Vita e bioetica 03_12_2021 English
Una scena del film Junior

Donne con le gonne e uomini con l’utero. Federica Umani Ronchi e Gabriele Napoletano, due ricercatori afferenti al Dipartimento di Scienze Anatomiche, Istologiche, Medicolegali e Ortopediche dell’Università Sapienza di Roma, hanno pubblicato il 3 novembre scorso sulla rivista scientifica Acta Biomedica un articolo dal titolo “Il trapianto di utero e la ridefinizione dei precetti fondamentali della bioetica”.

Gli studiosi partono da un dato di fatto: il trapianto di utero (UTx) - da donna a donna - è pratica sì ancora rara, ma che sta prendendo piede in giro per il mondo. Dal dato di fatto poi i ricercatori passano all’analisi di uno dei motivi fondamentali che hanno incoraggiato questa pionieristica pratica: «Poiché lo sviluppo dell’UTx è stato principalmente motivato dalla potenzialità di alleviare l’insoddisfazione e l’infelicità derivanti dalla discrepanza tra capacità procreativa e aspirazioni riproduttive, [il trapianto] può essere visto anche come “miglioramento della vita”».

Detto ciò, l’articolo aggiunge al quadro un altro dato di fatto: “La ricerca sulla possibilità di eseguire l’UTx su donne transgender è già in corso”. Le cosiddette donne transgender sono uomini che si credono donne e vogliono così tanto essere donne che alcuni di loro vorrebbero farsi impiantare un utero per poter rimanere incinti o, almeno, per sentirsi più donne.

Le varie affermazioni sin qui articolate poi si saldano in un nuovo giudizio etico: «Questo scenario futuro va al cuore dell’UTx e al suo scopo fondamentale: non salvare la vita ma, per quanto riguarda le donne transgender, migliorare la vita. […] I risultati di un recente sondaggio riflettono inequivocabilmente lo scopo del “miglioramento della vita”: una stragrande maggioranza del 90% degli intervistati ha espresso la convinzione che avere un utero e una vagina trapiantati e funzionanti andrebbe a beneficio della loro vita sessuale e del senso percepito di femminilità, del miglioramento della qualità della vita complessiva. […] Quindi, non è irragionevole presumere che nelle donne transgender, l’UTx possa fare molto per il raggiungimento delle aspirazioni riproduttive, per migliorare la qualità della vita in generale ed essere efficace nell’alleviare i sintomi disforici».

Il sillogismo è presto confezionato: se la pratica dell’UTx è fattibile e se tale pratica è motivata dal fatto che è utile per migliorare la qualità di vita, anche gli uomini che vogliono essere mammi dovrebbero poter accedere a tale operazione. Poi i ricercatori indicano alcune controindicazioni per tale pratica, ma di natura solo medica.

A questo punto però l’articolo, nonostante il “miglioramento della vita” promesso, si domanda se alla fine il gioco vale la candela dal punto di vista morale. I ricercatori individuano correttamente nel diritto un ambito che potrà influenzare anche quello morale. Spiegano infatti che se in giro per il mondo le “donne” transessuali pian piano saranno titolari degli stessi diritti delle donne cosiddette biologiche, la richiesta di vedersi trapiantato un utero potrà difficilmente essere elusa. E ciò che diventerà legale non potrà che essere percepito dalla maggioranza anche come moralmente lecito. Inoltre, un’altra mano per favorire la pratica dell’UTx su corpi maschili, fa notare l’articolo, verrà da tutti quei diritti riconosciuti alle coppie gay tra cui l’accesso alla fecondazione extracorporea eterologa e, aggiungiamo noi, alla maternità surrogata.

Quindi il punto scriminante sarebbe il seguente: “Riteniamo che tutto possa dipendere dal fatto che la libertà procreativa debba essere considerata come implicante un diritto assoluto alla gestazione”. Se così fosse ci si domanda “se alle donne transgender possa essere negato tale diritto senza violare i precetti etici di uguaglianza e non discriminazione”. La risposta dei due ricercatori, che non sono bioeticisti, pare proprio essere a favore dell’UTx per gli uomini desiderosi di rimanere incinti o comunque di sentirsi più femmine: “Gli attuali approcci alla bioetica devono subire un aggiornamento radicale se vogliamo affrontare con successo le sfide poste dai progressi scientifici in rapida crescita, destinati a plasmare e modellare le nostre vite in modo sempre più drammatico”. Dunque, se qualcuno è contro la maternità maschile che cambi idea.

Come rispondere? Tutto ruota attorno ad un semplice quesito, eluso dall’articolo in questione: la volontà di “cambiare” sesso è eticamente accettabile? Se la risposta fosse positiva, allora anche la pratica del trapianto di utero in un uomo, al netto delle valutazioni sull’efficacia clinica e sulle ricadute di tale scelta sui figli, sarebbe moralmente accettabile. Infatti, se è un bene che tu uomo, qualora tu lo desideri, diventi donna, allora tutto ciò che concorre anche fisicamente a farti assomigliare ad una donna deve essere pratica benedetta. Qualora invece il transessualismo fosse pratica moralmente non accettabile, anche l’UTx su uomini dovrebbe essere bocciato. La risposta al quesito di cui sopra non può che essere negativa: la volontà di “cambiare” sesso non è eticamente accettabile perché, in definitiva, il sesso maschile e femminile sono aspetti fisici identitari della persona a cui anche la psiche si deve orientare. Per giustificare questa risposta rimandiamo - e ci venga perdonata l’ineleganza della scelta - ad un nostro articolo pubblicato su queste colonne un paio di anni or sono e alla voce “Che male c’è a cambiare sesso?” contenuta in T. Scandroglio, Dizionario elementare dei luoghi comuni (I.d.A., Milano).

Se il sesso è elemento identitario della persona, va da sé che tutto ciò che incoraggia, alimenta la mascolinità in un uomo e la femminilità in una donna è da accettare e, di contro, tutto ciò che depaupera o si oppone alla mascolinità in un uomo e alla femminilità in una donna non è da accettare. Dunque l’UTx è da bocciare perché vuole femminilizzare un uomo, allontanarlo ancor di più dalla sua vera identità. È abbastanza intuitivo - e ora ci muoviamo su un piano antropologico - che ciò che consolida l’identità di una persona concorre anche alla sua unità, tra cui l’unità della psiche. Ciò che invece crea una frattura nell’identità conduce ad una crisi dell’uomo stesso e κρίσις, in greco antico, vuol dire separazione, scissione, strappo. Se dunque il tuo corpo è maschile ma lo senti, lo percepisci femminile, ecco che si inserisce una frattura tra un dato di realtà che è sano - maschio e femmina non possono essere patologie o disturbi fisici - e una psiche alterata. Dovrà quindi essere quest’ultima a riconoscere e ad accordarsi al dato di realtà e non tentare (invano) di piegare questa alla psiche.

Ciò per dire che la pratica dell’UTx sugli uomini concorrerà sicuramente alla loro infelicità e quindi, muovendoci su un piano meramente utilitaristico, non apporterà i benefici ventilati dai due autori quando si riferivano alla qualità della vita, bensì eroderà tale qualità della vita. Dunque, considerando solo gli effetti psicologici e tralasciando le motivazioni fondanti di cui sopra, anche in questo caso è bene dire no a simile pratica.

A queste riserve che riguardano il singolo transessuale se ne aggiunge poi un’altra, tra le molte, che invece riguarda la possibile prole. Quale impatto emotivo e quindi psicologico potrebbe avere sul bambino o anche sull’adulto scoprire che sua “madre” è un uomo? Che è stato partorito - le modalità del parto sono tutte ancora da definire - dal padre (posto che il mammo abbia fornito i propri spermatozoi)? Perché privarlo del diritto naturale di essere partorito dalla madre? Dunque, anche la qualità della vita del figlio e i suoi diritti dovrebbero essere tenuti in considerazione.