Masaccio: l'urlo silenzioso ai piedi della croce
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Esposta a Milano la "Crocifissione" per antonomasia, dipinta dall'artista toscano che nello strazio della Maddalena ha trasposto il grido dell'umanità stanca e tormentata che anela alla Risurrezione.
Era trasandato nel vestire, spettinato, noncurante degli altri, né dei beni materiali. Si dice che per i suoi lavori non andasse nemmeno a riscuotere il denaro, a meno che non ne fosse costretto per necessità. Morì a 27 anni in condizioni misteriose, pare avvelenato, il che fa pensare ad una vita spinta oltre il limite, di certo non tranquilla.
Non è il racconto del protagonista di una nuova serie cult di Netflix, ma è niente meno che la vita di uno dei geni indiscussi dell’arte di tutti i tempi. Tommaso di ser Giovanni di Mone dei Cassai, soprannominato Masaccio (da Tommasaccio), proprio per la sua “vitaccia”, così come narra lo storico dell'arte Giorgio Vasari.
La sua Crocifissione, opera di fama mondiale, solitamente conservata al Museo e Real Bosco di Capodimonte di Napoli, è stata prestata al Museo Diocesano di Milano che ha allestito una mostra per il periodo pasquale, sino al 7 maggio. La preziosa tavola costituisce la cuspide di un grandioso polittico realizzato dal pittore toscano nel 1426, su commissione del notaio ser Giuliano di Colino degli Scarsi, per la sua cappella nella chiesa di Santa Maria del Carmine a Pisa.
Se si pensa alle diverse raffigurazioni della Crocifissione nella storia dell’arte di tutti i tempi, a chiunque viene alla mente proprio quella del Masaccio. Si tratta infatti di un’opera eccezionale che, a sintesi della breve ed intensa produzione artistica di Masaccio, ha significato una vera rivoluzione nel modo di dipingere: le sue immagini cariche di umanità, plasticità e realismo, erano inimmaginabili nello stile Gotico internazionale della Firenze del tempo.
Il Cristo Crocifisso si caratterizza per la testa completamente incassata nelle clavicole ad indicarne l’avvenuta morte e per le sue gambe volutamente sproporzionate che lo fanno “cadere” in avanti esanime, si staglia su uno sfondo dorato che ne esalta tutta la divinità. Alla sinistra della Croce c’è la Madonna, statuaria e orante, dall’altro lato san Giovanni, "arrotolato" in un composto dolore, che scosta il capo per non guardare l’orrore del Dio morto. Il tutto sarebbe bastato a definire l’opera un vero capolavoro.
E invece no. Gli innumerevoli studi sulla tavola ci raccontano che il giovanissimo Masaccio poco più che ventenne, dopo aver terminato l’opera non ne fu per nulla soddisfatto. Fu allora che aggiunse alla stessa un quarto personaggio, in posizione centrale, dipingendo quella che ancor oggi rimane la Maria Maddalena per eccellenza. Prostrata ai piedi della Croce con un mantello rosso fuoco, la Maddalena non mostra nulla di sé, se non la sua nuca dai capelli dorati e sfibrati, le sue mani soavi, e quelle braccia spalancate verso l’alto, simbolo a metà tra una seconda crocifissione e il volo angelico di due ali che spiccano verso il cielo.
Di critiche artistiche all’opera ce ne sono a volontà e non se ne vuole certo aggiungere un’altra. Se l’arte ci consente di sognare, però, piace immaginare che in quella Maddalena, Masaccio, il giovane Tommasaccio, abbia dipinto sé stesso. In quel drammatico, straziante e potente dolore che la donna esprime ai piedi della Croce, Masaccio ha forse voluto dipingere il suo stesso grido di uomo inquieto, forse angosciato, di certo tormentato dalla domanda di senso della vita. In quel suo atto dì prostrarsi, quasi accasciarsi al suolo, con il capo rivolto a terra, c’è il simbolo di un’umanità stanca, che ha perso la speranza, che non ce la fa più a vivere. Il dipinto della Maddalena, infatti, viene chiamato dai critici d’arte “l’urlo silenzioso”, non solo perché un dipinto chiaramente non può parlare, ma soprattutto perché a quel grido di dolore sovrumano, sembra esserci solo una risposta: il silenzio della morte eterna.
Allo stesso tempo l’esperienza tutta umana del Masaccio, sembra impastarsi con la stessa vita della Maddalena, ovvero con il Vangelo, e dalla stessa sembra esserne risollevato. La donna evangelica, ai piedi della croce, porta anch’essa tutta la sua disperazione per il Cristo morto, per la Vita che è morta, ma allo stesso tempo la getta dentro ad un immenso atto d’amore: quelle braccia alzate in volo sono insieme un simbolo di adorazione ed una professione di fede. “Eccomi! Cristo, salvami!!”. Tutto lo strazio, il dolore del dipinto, alla fine, sfocia in un potente grido di Resurrezione, le braccia della Maddalena che svettano tra le membra morenti, sembrano fisicamente bucare il muro dello sfondo, come ad oltrepassare la morte.
Solo dopo ulteriori studi sull’opera, si scoprì che sotto al classico cartello “INRI” in cima al Crocifisso, probabilmente sovrapposto in un secondo momento su commissione, Masaccio aveva originariamente dipinto un albero che germoglia sul legno della Croce. Come la Maddalena lancia le braccia al Cristo in un grido di Resurrezione, così lo stesso Masaccio sembra lanciare il suo grido dipingendo un albero, simbolo della Vita che nasce dalla morte, della speranza dalla disperazione, simbolo di una risposta che viene incontro al dolore.
Ecco perché il giovane artista ci ha regalato un’opera d’arte immensa, idealmente dedicata a tutti coloro che disperati o dispersi nei sentieri chiusi della loro “vitaccia”, possano tornare a sperare nella Vita, possano cominciare a gridare al Cielo certi di trovare la risposta.