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IL CONFRONTO

Manzoni vs Camus, l’epidemia con o senza Dio

Il romanzo La Peste di Camus conosce, 73 anni dopo, un boom di vendite. L’opera dello scrittore francese rivela l’atteggiamento prometeico dell’uomo che vive senza Dio. Non così I promessi sposi di Manzoni, dove i protagonisti alzano lo sguardo alla croce e a Dio. Dimostrando che la fiducia in Lui mitiga le sofferenze e le rende utili per una vita migliore.

Attualità 09_04_2020

L'agenzia di stampa Adnkronos riferisce che la vendita del romanzo La Peste di Albert Camus è salita alle stelle; 73 anni dopo la sua pubblicazione è nella lista dei 10 libri più venduti online (4 marzo 2020). Già il suo titolo gli conferisce attualità, per la nostra crisi del coronavirus. Impressiona anche l’impegno eroico e l’autostima prometeica del suo protagonista, il Dr. Rieux. Questi confessa: se credesse in un Dio onnipotente, potrebbe affidare a Lui gli ammalati di peste. Ma “poiché l'ordine del mondo è determinato dalla morte, forse è meglio per Dio se non si crede in lui e per questo si combatte con tutte le forze, senza alzare gli occhi al cielo, dove egli tace”.

A una tale epidemia, ha reagito in maniera del tutto diversa Alessandro Manzoni nel suo romanzo I promessi sposi. Anche la sua opera fa parte della letteratura mondiale ed è considerata la creazione più importante della italianità classica dopo la Divina Commedia di Dante. Johann Wolfgang Goethe la ammirava. Ed è stata tradotta in tedesco nel 1827, immediatamente dopo la sua prima pubblicazione.

La peste in Manzoni

È interessante che la pandemia abbia garantito nuova attenzione anche a questo romanzo. Il Corriere della Sera, per esempio, ha titolato: “Questa piaga a Milano parla di noi” (12 marzo 2020). Cosa dice il capolavoro di Manzoni 200 anni dopo la sua prima edizione? Ha un messaggio per noi, impigliati nella peste del coronavirus?

La storia, conosciuta da molti, si svolge sul versante meridionale delle Alpi, nel Ducato di Milano. Due giovani, Lucia e Renzo, hanno preparato il loro matrimonio. Che dovrebbe essere celebrato il giorno successivo. Ma Don Rodrigo, il signore feudale del luogo, per un capriccio momentaneo, cerca di portare questa ragazza, ancora vergine, nel suo castello. Tramite i suoi sgherri, minaccia di morte il parroco Don Abbondio, intimandogli di non celebrare il matrimonio. La coppia è costernata, ma non si arrende. Padre Cristoforo, in particolare, è al loro fianco. È un vecchio frate cappuccino, che la gente comune venera tanto, perché è timorato di Dio e sta sempre al fianco dei poveri. Egli ovviamente non può fare nulla. Quindi rimane solo la via della fuga. Insieme ad Agnese, la madre di Lucia, gli sposi promessi a stento riescono a sfuggire alla presa del despota. Quindi devono separarsi: le due donne trovano rifugio in un monastero, Renzo fugge a Milano. Accusato come agitatore politico, fugge fino a Bergamo. Continua a cercare la sua fidanzata e scopre che è a Milano. Quindi torna in questa città. Ciò che incontra lì lo scuote profondamente: la “morte nera”. Una nube scura di fumo, creata da innumerevoli cadaveri bruciati, è sospesa sulla città. Renzo, attraverso il caos, scopre che Lucia è stata colpita dalla peste e portata in un lazzaretto.

Lo scrittore, in alcuni capitoli, propone ampie descrizioni letterarie della peste. Eccone un esempio:

“S’immagini il lettore il recinto del lazzeretto, popolato di sedici mila appestati; quello spazio tutt’ingombro, dove di capanne e di baracche, dove di carri, dove di gente; quelle due interminate fughe di portici, a destra e a sinistra, piene, gremite di languenti o di cadaveri confusi, sopra sacconi, o sulla paglia; e su tutto quel quasi immenso covile, un brulichio, come un ondeggiamento; e qua e là, un andare e venire, un fermarsi, un correre, un chinarsi, un alzarsi, di convalescenti, di frenetici, di serventi. Tale fu lo spettacolo che riempì a un tratto la vista di Renzo, e lo tenne lì, sopraffatto e compreso. Questo spettacolo, noi non ci proponiamo certo di descriverlo a parte a parte, né il lettore lo desidera; solo, seguendo il nostro giovine nel suo penoso giro, ci fermeremo alle sue fermate, e di ciò che gli toccò di vedere diremo quanto sia necessario a raccontar ciò che fece, e ciò che gli seguì”.


L'eredità

È appena deducibile, da questa sintesi, che il titolo del Corriere ha ragione: a noi, nel mezzo della pandemia, I promessi sposi hanno tuttora qualcosa da dire, al di là dell'incontro toccante con un’opera d’arte letteraria. Cosa può essere? Una tesi ‘combattiva’ - come espressa da Albert Camus - non è rintracciabile nel romanzo. L’eredità di Manzoni è accennata solo discretamente. Il gonfiarsi dei pericoli, quando si dice: “La notizia volò di bocca in bocca; e, come avviene sempre: quando si è angosciati, l’udito ha l’effetto di vedere”. Teorie del complotto, che costruiscono rapidamente il capro espiatorio. La cattiveria, se neghiamo a qualcuno con le parole lo spazio vitale (oggi lo chiameremmo “discorso ostile”).

Ma non si trasforma soltanto il nostro comportamento quotidiano. Anche la sfera interiore-spirituale è influenzata. Le persone religiose sono tentate di cercare protezione soprannaturale con pratiche dall’aspetto magico: la processione organizzata a forza dal popolo con le reliquie di San Carlo Borromeo diventa una terribile catastrofe. Ma anche: qualcuno, nella sua impotenza, si aspetta che testimoni credibili diano istruzioni per la sua vita. Non per ultimo: lo scrittore alza lo sguardo; si rivolge a Dio, alla croce, a Maria Santissima Madre di Dio. E in mezzo a tutti i sofferenti ci sono loro: i Padri Cappuccini, che, rafforzati dall’aiuto di Cristo, si dedicano alla cura dei malati, con calma e senza pensare ai pericoli per la loro salute.

In tutte queste sottolineature di Manzoni emerge ciò che distingue la sua descrizione della peste da quella di Camus. Egli, per dar nome alle forze che ci rendono forti nel bisogno, si riferisce all'orizzonte della fede. La Chiesa ha risorse per sfidare la peste, perché rendono possibili, a tutti, fiducia e speranza.

Lucia esemplifica, dicendo:

“Non dobbiamo rimproverarci; lottiamo nella fede e Dio ci aiuterà, come ha detto padre Cristoforo”. Poi si rivolse a Colui che ha in mano il cuore delle persone e che, se vuole, può ammorbidire i più duri. Piegò le braccia sul suo petto nel segno della croce e pregò in silenzio per un momento; poi tirò fuori il suo rosario e lo pronunciò con più fede e fervore che mai nella sua vita.

Durante un analogo rivolgersi a Dio, incontriamo padre Cristoforo, il confessore di Lucia. Il frate cerca la sposa sottoposta alla prova e sua madre, dopo la minaccia di Don Rodrigo. Poi, inaspettatamente, arriva anche Renzo, lo sposo. Questi domanda subito.

“Glielo ha raccontato... Padre?”. “Troppo; io sono qui per questo”. “Cosa dici a questo malvagio? […]”. “Cosa dovrei dirgli? Non è qui, non può sentirci, come possono le mie parole essere salutari per lui?”. “A te, Renzo mio, dico che devi fidarti di Dio e che Dio non ti lascerà”. “Benedette le sue parole!”, esclamò il giovane.

Prima che Fra Cristoforo lasciasse di nuovo la casa, disse di nuovo:

“Ascoltatemi, figli, oggi voglio parlare ancora con la persona [Don Rodrigo, ndr]. Se Dio dirige il suo cuore e dà forza alle mie parole, bene; in caso contrario, ci invierà un altro aiuto”

Alla fine dell’odissea di 800 pagine di Renzo e Lucia - che ha fatto di Manzoni un ispiratore della lingua italiana e un classico della letteratura mondiale - l’autore assicura ancora una volta personalmente che le sofferenze il più delle volte derivano da una causa prodotta dall’uomo; che anche la condotta più cauta e innocente non le tiene lontane; ma che quando arrivano, per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio le raddolcisce e le rende utili per una vita migliore.

“Questa conclusione, benché trovata dalla gente comune, c’è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come sugo di tutta la storia”.


Il doppio mandato

Sarebbe negligente leggere solo Camus. In ogni caso, agli autori della “Parola comune della Chiesa cattolica, evangelica e ortodossa in Germania sulla crisi del coronavirus” (20 marzo 2020), la lettura di Manzoni avrebbe potuto insegnare qualcosa di sostanziale. Il loro testo si concentra su una lunga serie di comportamenti pratici che si ascoltano ovunque. Per il momento, rispetto all’angoscia che inquieta tutti noi, si dice semplicemente che non ci sarebbero “risposte facili”. Poi c’è solo il banale luogo comune: “Dio è un amico della vita”; una frase che si adatta ad ogni festa parrocchiale. La Quaresima si riduce a un giusto comportamento sociale: essa deve esercitare a “non scoraggiarsi” e a “rivolgersi ai bisognosi”. Peccato, croce, morte e vita eterna non vengono menzionati. Ci si fa sfuggire il Vangelo del Padre celeste, che, per amore verso di noi, consegnò alla morte suo Figlio e lo risuscitò. Ma dovrebbe essere annunziato il riscatto definitivo di Dio, anche se spesso noi non capiamo Dio. Ma Sant’Agostino dice: “Se lo capisci, dunque non è Dio” (PL 38.360).

L’attualità di Manzoni

I promessi sposi di Manzoni sono di grande attualità. La nostra nuova impotenza insegna anche a noi a guardare al cielo. Ci sono certamente innumerevoli aiutanti nella lotta contro la peste che non si considerano credenti. Certamente Dio non è un tappabuchi, che si serve dei nostri limiti umani. Eppure l'umanesimo ateo è sempre stato una trappola: come se noi possedessimo l’amore del prossimo come dono disponibile e forza autosufficiente, ordinabile a richiesta, perché data dalla natura. Come il Signore stesso insegna più volte, i nostri cuori non sono buoni (Mc 7,15; Lc 11,13). L'osservazione critica di noi stessi rivela: se ci costa la nostra pelle, non teniamo duro nel ministero samaritano.

Il criterio dell’essere cristiani lega noi credenti ai nostri prossimi come a Dio. Papa Benedetto, nella sua grande enciclica “Dio è amore”, ha spiegato: "Se il contatto con Dio manca del tutto nella mia vita, posso vedere nell'altro sempre soltanto l'altro e non riesco a riconoscere in lui l'immagine divina. Se però nella mia vita tralascio completamente l'attenzione per l'altro, volendo essere solamente «pio» e compiere i miei «doveri religiosi», allora s'inaridisce anche il rapporto con Dio" (n° 18).

* Cardinale e Arcivescovo