Manovre al centro. Ma la vecchia Dc non può rinascere
Un'amara fotografia dello scenario politico italiano: il centro è andato in frantumi, la destra stenta a ricompattarsi, a sinistra le acque sono agitatissime. In questo scenario, il progetto per un nuovo polo moderato ha poche probabilità di successo.
Nei giorni scorsi abbiamo assistito alle esequie del fantomatico “polo di centro”, che alle scorse elezioni politiche aveva puntato a scomporre i due schieramenti maggioritari. Patetici i proclami di Monti, Casini e Fini, che alle domande sul loro “terzo polo” rispondevano: “Ma noi puntiamo ad essere il primo polo”. Si è visto com’è andata a finire: Fini fuori dal Parlamento, Monti fuori dai giochi (non è riuscito neppure a farsi eleggere presidente del Senato), Casini ridotto all’insignificanza e sconfessato perfino dai suoi sodali dell’Udc.
Ora la notizia è che quel cartello di centristi è addirittura andato in frantumi. Monti, che ne era comunque il leader, ha deciso di sconfessare le scelte politiche della sua creatura e ha preso le distanze da Casini, attaccandolo. Secondo il Professore, il leader dell’Udc e l’attuale ministro della difesa, Mario Mauro sarebbero smaniosi di mettere in piedi un nuovo centro-destra con Berlusconi e le colombe del Pdl, tradendo lo spirito con cui era nata Scelta civica.
Tra Monti e Casini in queste ore volano i coltelli. Ma cosa si nasconde davvero dietro le laceranti divisioni nell’area di centro? Anzitutto il traguardo delle prossime elezioni europee turba il sonno di molti suoi componenti. La campagna elettorale ha costi enormi, considerato che per essere eletti bisogna prendere voti in diverse regioni contemporaneamente (circoscrizioni). E allora i centristi vogliono per tempo correre ai ripari per non correre il rischio di non superare la fatidica soglia del 4%. In che modo? Riavvicinandosi a Berlusconi e cercando di essere in prima fila quando l’ex premier diventerà incandidabile e il suo partito si spaccherà. A quel punto, alle europee potrebbe formarsi un raggruppamento di centro accreditato nei sondaggi di almeno un 10% e composto da colombe Pdl e attuali esponenti di Scelta civica e Udc, con un riferimento diretto al Partito popolare europeo (Ppe). Una nuova Dc? Qualcuno la chiama così, ma si tratterebbe di una forza politica che mai potrebbe raggiungere i consensi del defunto scudo crociato.
Il piano dei centristi Mauro e Casini è quello di posticipare il voto in Senato sulla decadenza di Berlusconi di almeno 6 mesi, cioè fino a quando la Cassazione non si sarà pronunciata sul ricorso che i legali del Cavaliere presenteranno contro la sentenza della Corte d’Appello di Milano che sabato scorso lo ha interdetto per due anni. In questo modo il governo sarebbe salvo e non vivrebbe più con la “spada di Damocle” sulla testa rappresentata dalle continue minacce berlusconiane («Non potremmo continuare a stare al governo con i miei carnefici»).
Per ricomporre la frattura tra falchi e colombe del centro-destra potrebbe esserci anche un rimpasto con la sostituzione al Viminale di Angelino Alfano con Raffaele Fitto o Renato Schifani o Francesco Nitto Palma. In questo modo Alfano potrebbe occuparsi più o meno a tempo pieno del partito e verrebbe accontentato sul ridimensionamento della Santanchè e di altri “lealisti” che in questo momento gli stanno facendo terra bruciata attorno. La frattura tra i berluscones potrebbe così ricomporsi almeno fino alle elezioni europee. I 25 senatori che hanno preso le distanze da Bondi e dagli altri pasdaran berlusconiani sono una garanzia per Enrico Letta che, però, potrebbe con un mini-rimpasto disinnescare la miccia dei conflitti interni al Pdl e governare indisturbato fino all’inizio del semestre europeo di presidenza italiana, quando diventerà impossibile sciogliere le Camere.
Monti, invece, sembra in un vicolo cieco. Ha cercato di accreditarsi come “super partes”, come risorsa della Repubblica per i momenti di emergenza, ma ora con quel profilo non è più spendibile, avendo fatto una campagna elettorale molto aggressiva e che contraddice la sua storia di docente low profile. Inoltre i suoi grandi sponsor, da Casini all’attuale ministro della giustizia Cancellieri, ormai l’hanno mollato. E ora lui, dal comodo scranno di senatore a vita, conta di prolungare la sua presidenza dell’Università Bocconi, dove però non gode più del prestigio e del gradimento che aveva prima della “salita” in politica.
Ma anche a sinistra le acque sono agitatissime. Entro fine anno Renzi prenderà in mano al partito e c’è da scommettere che subito dopo inizierà a tremare anche Letta. Il sindaco di Firenze, infatti, non ha interesse a far durare troppo a lungo il governo perché finirebbe per legittimare la leadership dell’attuale premier anche per il futuro. E invece l’obiettivo dichiarato del futuro segretario del Pd è di diventare anche il candidato a Palazzo Chigi dell’intero centro-sinistra. Di qui le sue manovre di ricompattamento di tutto lo schieramento, al fine di poter essere votato anche da Sel e dagli altri cespugli di quell’area politica quando ci saranno le primarie di coalizione. Di qui anche l’insistenza di Renzi sul bipolarismo e sulla riforma del sistema elettorale, tutt’altro che scontata.
Non c’è un altro sistema elettorale che possa andare bene a tutti. I centristi perseguono il disegno di drenare voti in libera uscita dal centro-destra e non credono più nel terzo polo e nelle nostalgie neodemocristiane, ma intanto sanno che Renzi, col maggioritario secco, potrebbe vincere. Grillo vuole cacciare i dissidenti e quindi con il porcellum avrebbe la possibilità di non ricandidarli e di selezionare in base a criteri di assoluta fedeltà i suoi candidati. Per non parlare di Berlusconi, che vorrebbe fare piazza pulita di “traditori” e “ingrati”, occupandosi direttamente della compilazione delle liste. Il porcellum, quindi, ha più sostenitori occulti che dichiarati e questo lascia intendere che difficilmente verrà riformato. Solo la Corte Costituzionale, giudicandolo anticostituzionale nella parte in cui prevede il premio di maggioranza, costringerebbe le forze politiche a varare una nuova legge elettorale, evitando che il porcellum, “depurato” dal premio di maggioranza, si converta in quella che in molti definiscono una sua letale degenerazione: un sistema proporzionale puro.