Mahler: il musicista censurato ma amato da un papa santo
Gustav Mahler fu considerato un importante precursore degli sviluppi musicali del XX secolo. La sua opera venne censurata per anni dal regime nazista e lui fu denigrato a mezzo stampa. Ma le sue melodie, capaci di convertire i cuori (un quindicenne avverso alla fede divenne poi monaco), colpirono persino san Giovanni Paolo II che parlò di una sua sinfonia.
Centosessanta anni or sono, il 7 luglio 1860, a Kaliště, un villaggio al confine con la Moravia, allora Impero austro-ungarico, nacque da una famiglia di mercanti ebrei di origini tedesche il compositore e direttore d’orchestra con cui la sinfonia conobbe il trionfo e la crisi: Gustav Mahler (1860-1911).
Ebreo di nascita e nel 1897 battezzato, il grande musicista boemo è ricordato per le sue nove sinfonie e mezzo, e altrettanto per i suoi vari cicli di Lieder con orchestra, in cui si combinano diversi aspetti del romanticismo. Sebbene la sua musica sia stata respinta perlopiù fino ai primi anni Sessanta, Mahler è stato in seguito considerato un importante precursore degli sviluppi musicali del XX secolo.
Anche le sue composizioni furono considerate Entartete Musik, «musica degenerata». Con questa etichetta, ai musicisti ebrei - ma anche slavi e, in generale, non ariani - fu proibito di suonare e di esprimersi nei paesi del Terzo Reich.
La censura colpì compositori (passati e presenti), esecutori, la musica atonale e di avanguardia, così come jazz, swing e tutto ciò che è associato alla musica americana nera. Fu così che compositori come Mendelssohn, Meyerbeer, Mahler, Schönberg, Weill, Berg, Hindemith, Stravinskij e Gershwin furono attaccati, poiché considerati portatori di elementi non-tedeschi, mentre invece Bach, Handel, Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert, Weber, Schumann, Brahms, Wagner e Bruckner furono visti come padroni di un linguaggio musicale puramente germanico e risuonarono ovunque nel Terzo Reich.
La vita di Mahler a Vienna fu resa burrascosa da un crescente antisemitismo. Sul quotidiano Reichspost del 14 aprile 1897 c’era scritto: «Nel numero del 10 aprile abbiamo riportato la notizia del nuovo Opernkapellmeister Mahler. Già allora avevamo un piccolo presentimento in merito all’origine dell’illustre personaggio, e per questo motivo non volevamo entrare in merito alla sua origine ebraica […]. La stampa ebraica starà a vedere se tutti gli elogi fatti a Mahler non saranno prematuri e se non saranno spazzati via dal vento della realtà quando si presenterà sul podio "con atteggiamenti da ebreo”» (Jens Malte Fischer, Gustav Mahler, Yale University Press 2013, p. 252). Alla fine fu cacciato dal suo incarico nel 1907 da una velenosa campagna stampa che sosteneva la «cattiva gestione» dell’Opera Imperiale di Vienna da parte di Mahler.
Il 160° anniversario della nascita di questo musicista problematico non può essere l’occasione di ascoltare una sua sinfonia, da lui considerata come l’espressione musicale più alta? Proponiamo la sua Sinfonia n. 2 in do minore «Risurrezione»: un’ora e venti di musica, composta fra il 1887 e il 1894, quando il nostro era direttore del Teatro dell'Opera di Budapest e di Amburgo, che si giova di un’orchestra dalle proporzioni notevolissime (cui si aggiungono quattro corni e quattro trombe «in lontananza», utili a particolari effetti fonici), di soprano e contralto solisti, del coro misto e dell’organo, ed è divisa in cinque movimenti, invece dei tradizionali quattro.
Giovanni Paolo II, parlando di questa sinfonia - che, insieme alla Terza, alla Quarta e all’Ottava, si potrebbe chiamare «cantata sinfonica» - disse: «In essa è stato riproposto il grido dell’uomo, che, pur in una condizione di morte, chiede di vivere, rivelando il suo potente ed incoercibile anelito verso una risurrezione ed una luce, che lo illumini sino alla beatitudine eterna» (Giovanni Paolo II, Discorso al termine del concerto sinfonico offerto dalla RAI, 11 novembre 1989).
L’ultimo movimento, in particolare, include l'inno Die Auferstehung (La Resurrezione) del poeta tedesco Friedrich Klopstock (1724-1803), rielaborato dal compositore, che dà il titolo all’intera composizione. Spiega Mahler in una lettera del 15 dicembre 1901 ad Alma Schindler, sua futura moglie: «Si ode la voce di Colui che chiama: è giunta l’ora della fine per tutti gli esseri viventi, si annuncia il Giudizio Universale, è scoppiato il terrore del Giorno dei Giorni. La terra trema, le tombe si scoperchiano, i morti si levano e procedono in un corteo senza fine. I grandi e i piccoli di questa terra - i re e i mendicanti, i giusti e i senza Dio - tutti vogliono avanzare, l’invocazione di misericordia e di grazia risuona spaventosa al nostro orecchio. La marcia si fa sempre più terrificante, tutti i nostri sensi svaniscono, la nostra coscienza vien meno all’avvicinarsi dello Spirito eterno. Il “Grande Appello” risuona - squillano le trombe dell’Apocalisse; nel terribile silenzio crediamo d’intendere un usignolo lontano lontano, come un’ultima, tremolante eco della vita terrena! Piano si leva un coro dei santi e dei celesti: "Risorgerai, sì, risorgerai”. Qui appare la maestà di Dio! Una luce meravigliosa, soave, penetra fino al nostro cuore - tutto è pace e beatitudine!» (a cura di G. Fournier-Facio, Gustav Mahler: il mio tempo verrà, Il Saggiatore, Milano 2010, p. 592).
Chissà se, ascoltando questa musica, qualche adolescente in cerca di un significato per la sua vita non senta la presenza di Dio, come nel 1989 capitò a un quindicenne, Erik Varden, oggi monaco trappista e vescovo-prelato di Trondheim, in Norvegia. Ecco il suo racconto: «Avevo quasi sedici anni, e stavo maturando un interesse verso Gustav Mahler. Avendo impiegato i miei risparmi per un lettore CD, comprai una registrazione di Leonard Bernstein, la sua seconda sinfonia, Resurrezione. Mi era chiaro il significato cristiano del tema, ma mi lasciava freddo. Benché io fossi battezzato, non avevo mai aderito alla fede, piuttosto, le ero ostile. La cristianità mi sembrava un volo velleitario lontano dal dramma interiore che stavo cercando di superare (e che era denso di ambivalenze), molto lontano dalle studiate certezze dei predicatori. […] Appena ascoltai la sinfonia, non riuscii a rimanerne distaccato. Non mi sarei mai aspettato che mi commuovesse fino a tal punto. […] Il quinto movimento, l’ultimo, prende vita come una tempesta. Esso fa apparire immagini di caos. […] Gradualmente, un tema ritmico si forma all’interno di ciò che potrebbe passare come puro rumore. […] “Abbi fede: tu non sei nato invano. Non hai vissuto né sofferto invano”. A queste parole, qualcosa esplose. […] Una voce cantava dentro di me: “Non invano!”. Mahler mi portò a sentire che si può affrontare la vita senza cedere allo sconforto o alla pazzia, poiché l’angoscia del mondo è abbracciata da un’infinita benevolenza che la investe con uno scopo» (E. Varden, La solitudine spezzata. Sulla memoria cristiana, Qiqajon 2019, pp. 10-12).