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IL NUOVO LIBRO NERO DELLA MAGISTRATURA

Magistratura. L'attualità e Zurlo svelano i segreti del terzo strapotere

Il vero problema della magistratura è la mancanza di controllo interno e la quasi totale impunità dei giudici che sbagliano. Lo si vede nell'attualità e lo si legge nel saggio di Stefano Zurlo, Il nuovo libro nero della magistratura.

Politica 22_10_2024
Inaugurazione dell'anno giudiziario (La Presse)

Per riaccendere i riflettori sul problema magistratura ci è voluto Marco Patarnello, magistrato che nella mailing list interna dell’Anm ha scritto: «Giorgia Meloni si muove per visioni politiche, e questo rende molto più pericolosa la sua azione... A questo dobbiamo assolutamente porre rimedio». La magistratura, come un sol uomo, si è sempre difesa affermando di non essere politicizzata, di non agire per pregiudizio politico. Le parole di Patarnello, pochi anni dopo le rivelazioni di Palamara, sono invece la dimostrazione che esistono magistrati con un programma politico.

Ma se il problema della magistratura fosse solo la politicizzazione, potremmo dormire sonni relativamente tranquilli. Basta non fare politica e, da comuni cittadini apolitici, siamo immuni dalla persecuzione, come in tutti i regimi autoritari che si rispettino. Invece no: anche da comuni cittadini possiamo finire ugualmente nel tritacarne della giustizia e rimanere vittima di uno degli innumerevoli errori giudiziari. Su questi errori e orrori sono stati scritti i due libri del giornalista Stefano Zurlo, Il libro nero della magistratura (Baldini+Castoldi, Milano 2024). Di recente è uscita la seconda parte, Il nuovo libro nero della magistratura. Casi di uomini comuni in toga, vittime di istinti, passioni, pregiudizi, ambizioni come tutti. Ma con una marcia in più: la possibilità di privare una persona della sua libertà.

Tutte le storie di magistrati riportate da Zurlo sono tratte dalle carte ufficiali della Sezione disciplinare del Csm. Sono dunque le carte dei giudici che hanno dovuto processare i loro colleghi, per atti illeciti compiuti durante lo svolgimento delle loro funzioni. E quasi sempre finiscono con un’assoluzione, o con pene veramente ridicole.

Ci sono casi lievi e divertenti, come Il magistrato ciclista che era solito viaggiare in bicicletta nei corridoi del tribunale, disobbedendo ai regolamenti, agli ordini e ai richiami. Ma ci sono anche giudici che si sono arrogati il diritto di minacciare, ricattare, estorcere, o non lavorare, provocando danni enormi a cittadini innocenti, il tutto nella quasi completa impunità. «Noi le vogliamo così bene che vogliamo farla tornare in città, ma dentro… perché guardi che meraviglia… guardi guardi… lei la conosceva la città? E’ bellissima, guardi, dal carcere c’è una vista stupenda». Sono minacce, neanche troppo sottili, che parrebbero quelle di un mafioso che sta facendo un’offerta che non si può rifiutare. Invece è un Pubblico Ministero che sta interrogando un testimone (non un imputato, ma solo testimone) e vuole estorcergli la confessione che desidera. Tutto è stato trascritto, parola per parola e messo a disposizione della Sezione disciplinare. Solo i nomi sono omessi.

Oltre ai Pm giustizieri ci sono anche quelli che, al contrario, si rifiutano di lavorare ai casi che vengono loro sottoposti, affossandoli sul nascere, anche se si tratta di gravissime vicende di pedofilia. Nel capitolo La Pm che non ha indagato sugli orchi si legge la vicenda, altrettanto incredibile di una magistrata che ha mandato in prescrizione (quasi sempre senza neppure chiedere l’archiviazione) ben cinque denunce di pedofilia, circostanziate e con prove e testimonianze solide. Cinque vicende di violenza su minorenni, che nel frattempo sono diventati maggiorenni, e che non hanno mai avuto giustizia. La Pm è stata condannata ad una sospensione per sei mesi e al trasferimento in un altro tribunale con funzione di giudice civile. Tutto lì.

C’è il caso apparentemente tenero de Il giudice poeta uomo sensibile che non si sentiva portato per quel mestiere. E quindi lasciava marcire le pratiche, qualunque cosa fossero. Essendo stato anche giudice del Riesame, dunque quello che decide se un uomo deve stare in carcere o uscire, la sua indole poetica ha fatto sì che rimanessero a piede libero dei criminali o ha fatto restare in cella persone che avevano diritto di essere scarcerate (con rivolte e scioperi della fame di prigionieri ingiustamente detenuti). Sospeso dalla disciplinare, dimessosi dalla magistratura, il “giudice poeta” ha confessato, in un’intervista, che se fosse stato sottoposto a un test psico-attitudinale, non lo avrebbe passato. Altro punto importante: i test periodici, sempre chiesti da chi vuole riformare la magistratura e sempre bocciati dai magistrati.

Ci sono casi di brutale abuso di potere, come Il giudice che picchia la moglie e poi, non si sa come, la induce a ritirare la denuncia e a confessare che si è praticamente fatta male non intenzionalmente. Caso concluso con una condanna alla “perdita di anzianità di sei mesi”. E quello, più divertente (per chi legge, non per chi lo ha vissuto) del magistrato che minaccia mezzo mondo pur di non far aprire un bar nel suo condominio. «Lei non sa chi sono io, se voglio il fascicolo lo visiono io stesso, lo faccio sequestrare e me lo porto in tribunale», urla alla funzionaria del Comune. E all’aspirante barista intima: «non so se lei è miliardario, lei questa cosa la poteva fare nel 99,9% degli stabili, ma non in questo. Lei è caduto nel condominio sbagliato».

Storie di ordinaria follia. E storia di ordinaria impunità. «Il vero problema è che all’interno della magistratura il controllo non funziona – commenta Francesco Petrelli, presidente dell’Unione delle Camere Penali, nella serata di Lodi Liberale dedicata al libro di Zurlo - I casi difficili vengono nascosti, ma i dati sono preoccupanti. L’ingiusta detenzione è molto frequente: dal 2017 sono stati 4368 i casi riconosciuti. A fronte di questo dato enorme di errori giudiziari, è irrisorio quello sulle azioni disciplinari nei confronti dei giudici che hanno sbagliato: solo 87. Di cui appena 9 hanno portato a sanzioni disciplinari (8 censure e 1 ammonizione). Su 2000 segnalazioni, le archiviazioni sono il 95%. Del 5% residuo solo il 20% porta a sanzioni».