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LA "PIAZZA" ARABA

Maghreb e Medioriente in fiamme

Yemen e Bahrein in fiamme, Arabia Saudita in subbuglio, Giordania in bilico.

Attualità 15_02_2011
Yemen

 

Algeria
Dalla caduta del presidente Zin el-Abidin Ben Ali, sono circa 10mila i tunisini entrati in territorio algerino, con grande in allarme degli organi di sicurezza del Paese. Lo riporta il quotidiano locale En-Nahar. Sventolando bandiere algerine e chiedendo di poter rimanere in Algeria per cercare lavoro, i giovani tunisini premono su valichi di confine: per esempio quello di Lam al-Tubul, dal quale nei giorni seguenti la cosiddetta “rivoluzione dei gelsomini” sono transitati 6mila tunisini, con una media di 600 ingressi al giorno.

Arabia Saudita
Il malcontento della popolazione si sta manifestando oramai da settimane a Jedda, dopo che dieci persone sono morte a causa dalle recenti alluvioni. La “piazza” si è così coagulata in una rara protesta contro al dirigenza del regno wahhabita, dove da sempre impera l’islam del rigorismmo “puritano” più intransigente. Nel mirino dei manifestanti è  la cattiva gestione dell’emergenza - si dice - da parte delle autorità.
L’economista britannica Jane Kinninmont, esperta di questioni mediorientali, afferma: «In un sistema decisionale verticistico, l’assenza del leader rallenta sensibilmente l’attività politica». Proprio questo è oggi essere il caso del regime monarchico di Riad. Primo Paese produttore di petrolio del mondo, l’Arabia Saudita ha visto arenarsi i primi segni di riforme a causa delle cattive condizioni di salute dell’86enne re Abdullah, il quale, dopo essere stato sottoposto a due interventi chirurgici, ha trascorso gli ultimi tre mesi in convalescenza a New York. In assenza del sovrano, il potere è gestito dal fratello Sultan, peraltro pure lui anziano e malato. Terzo in linea di successione al trono sarebbe l’altro fratello e attuale ministro dell’Interno Nayef, inviso però alla popolazione per le sue posizioni ultraconservatrici.
Un analista saudita, che ha scelto l’anonimato, osserva: «Molti progetti del governo sono in fase di stallo. Le riforme che richiedono l’autorità del re sembrano in sospeso». Da qui la grande incertezza diffusa tra la gente.
Per Khaled al-Dakhil, assistente di Sociologia politica all’Università re Saud di Riad, la popolazione si aspetta che i leader affrontino seriamente i problemi del Paese, incominciando dalla disoccupazione, dalla carenza di alloggi, dalla forte dipendenza dell’Arabia Saudita da manodopera straniera e dalla lotta alla corruzione.

Yemen
Nella capitale San’a si sono verificati oggi nuovi scontri tra manifestanti, circa 3mila, soprattutto studenti, e sostenitori del regime. È il quinto giorno consecutivo di protesta [nella foto]. Gl’insorti, che chiedono le dimissioni del presidente Ali Abdallah Saleh, al potere da 32 anni, hanno cercato di raggiungere il Palazzo presidenziale e a circa 1,5 chilometri dalla meta sono stati affrontati dai partigiani del partito di governo, il Congresso popolare generale, armati di manganello, che hanno iniziato un lancio di pietre. I dimostranti hanno risposto, lanciando a loro volta altri sassi. La “piazza” non gode peraltro del sostegno dei partiti di opposizione presenti in parlamento, che hanno deciso di riprendere il dialogo con il regime.
Venerdì,  il “venerdì della collera”, ha visto manifestare circa 3mila persone anche ad Aden, Dalea e Zinjibar, nel Sud del Paese: domandavano la separazione dal Nord. Lo Yemen, retto dall’unico regime repubblicano della penisola araba, è il più povero del Medioriente e il 40% della sua popolazione è disoccupata. È nato nel 1990 dall’unione politica fra Yemen del Nord e Yemen del Sud.  Saleh era al potere dal 1978, a capo dello Yemen del Nord e, dopo l’unione fra i due Paesi, ha proseguito guidando il neonato Stato unitario.
Il movimento secessionista ha subito la dura repressione delle forze dell’ordine e in questo modo la “tregua armata” che si protraeva da un paio di settimane dopo le prime manifestazioni a favore delle “piazze” tunisina ed egiziana si è infranta.

Bahrein
Ieri in due villaggi del Paese, Nuweidrat e Karzakan, le comunità sciite sono scese in piazza per il “giorno della rabbia”. Il bilancio degli scontri tra polizia e manifestanti è stato di un morto, un 20enne caduto a Daih, sobborgo della capitale Manama, più una ventina di feriti. Nel villaggio di Nuweidrat la polizia ha usato lacrimogeni e proiettili di gomma per disperdere una folla di circa 2mila persone.
Il grosso della popolazione del Bahrein è sciita e da tempo si sente aspramente discriminato dalla dinastia sunnita che governa il Paese. Nel tentativo di abbassare la tensione dei scorsi giorni, il re sunnita Hamad bin Isa al Khalifa ha promesso mille dinari (circa 2mila euro) a ogni famiglia, aggiungendo di avere l’intenzione di liberare i minorenni arrestati l’anno scorso durante una operazione condotta dalle forze di sicurezza.
«Chiediamo solo riforme, il diritto alla partecipazione politica, il rispetto dei diritti umani e la fine delle discriminazioni sistematiche contro gli sciiti», ha detto Nabeel Rajab, uno dei leader del Centro del Bahrein per i diritti umani, in un collegamento telefonico con l’emittente televisiva araba al-Jazeera.

Giordania
Proseguono le proteste contro la regina Rania, accusata di corruzione e di malversazione. Il vero obiettivo resta però l’intera famiglia reale ashemita, incrollabilmente da decenni al potere nel Paese mediorientale. Non osando attaccare direttamente re Abdullah, discendente diretto del Profeta, 36 leader tribali - in rappresentanza del 40% della popolazione, la parte autoctona a differenza del 60% composta di profughi palestinesi - hanno accusato la regina Rania di «aver rubato i fondi del Tesoro e di manipolazione manipolazione per promuovere la sua immagine pubblica contro la volontà del popolo giordano». Aggiugendo «che prima o poi la Giordania sarà destinata a una rivolta simile a quelle verificatesi in Tunisia ed Egitto a causa dell’oppressione della libertà e le sottrazioni dei fondi pubblici».
Intanto colpisce la frase choc pronunciata dal ministro giordano della Giustizia, Hussein Mujalli, che nei giorni scorsi ha definito «eroe» Ahmad Dakamseh, un soldato del regno hashemita condannato all’ergastolo per aver ucciso nel 1997 a colpi di pistola un gruppo di studentesse israeliane in gita scolastica Baqura, nel Paese arabo. Il re Abdullah ha prontamente rimosso il ministro dall’incarico, che pure ricopriva da soli pochi giorni, dopo che il sovrano aveva azzerato il precedente governo.

- Dal Marocco allo Yemen, la paura del contagio, di M. Respinti