Mafia nigeriana, origini ed espansione di un "culto" nero
Il 13 dicembre il tribunale dell’Aquila ha disposto il rito abbreviato per cinque imputati accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso. Sono tutti nigeriani e affiliati alla Black Axe, una mafia pericolosissima che ha attecchito in Italia, sull'onda dell'immigrazione clandestina. L'origine è nelle confraternite dell'università di Benin City.
Il 13 dicembre il tribunale dell’Aquila ha disposto il rito abbreviato per cinque imputati accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso. Altri 13 saranno giudicati con processo ordinario. Sono tutti nigeriani e l’associazione mafiosa a cui si ritiene siano affiliati è la Black Axe dell’Aquila. Sono stati individuati e arrestati, insieme ad altri connazionali, lo scorso aprile, nell’ambito di una vasta operazione di polizia chiamata “Hello Bross”. Molti sono i reati contestati tra cui traffico di stupefacenti, immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione, truffe romantiche, truffe informatiche, riciclaggio.
Il capo dell’organizzazione ha 35 anni e si fa chiamare Titus. Era arrivato in Italia illegalmente nel 2014, attraversando il Mediterraneo. Sbarcato a Pozzallo, era stato mandato nel Centro di prima accoglienza dell’Aquila e da questa città ha poi avviato e gestito con profitto la sua Black Axe, attiva oltre che all’Aquila nelle province di Roma, Rieti, Bari, Caserta, Napoli, Reggio Emilia, Parma, Modena, Catania, Genova, Messina, Potenza e Terni. In ogni provincia l’organizzazione aveva un responsabile che obbediva a Titus: Osamuy a Roma, Esosa a Bari, Obalige a Caserta, Small Boy a Reggio Emilia...
I mass media che hanno seguito il caso in questi mesi dicono che Titus è laureato in economia, proviene da una buona famiglia e, come lui, molti affiliati alla sua mafia. Che sia di ceto medio non desta meraviglia, perché lo sono la maggior parte degli emigranti illegali africani. Si sa ormai da tempo che i viaggi clandestini sono molto costosi, alla portata solo di persone in grado di pagare migliaia di dollari. Nel caso di Titus, non stupisce neanche che abbia un titolo di studio superiore. Noi chiamiamo “mafia” la Black Axe, ma in Nigeria la chiamano “culto” oppure “confraternita”. È stata fondata 40 anni fa a Benin City, la capitale dello stato di Edo, e recluta i propri adepti tra gli studenti universitari maschi di età compresa tra 16 e 23 anni. La chiamano “culto” per via dei riti di iniziazione segreti ai quali vengono sottoposti gli adepti e per la assoluta lealtà che unisce i suoi membri. È una delle organizzazioni più temute per l’estrema violenza con cui opera.
I mass media nigeriani riportano di continuo notizie di persone uccise, mutilate e torturate dai “culti” e spesso si tratta della Black Axe. Il 14 dicembre si è saputo che uno studente della Osun State University è ricoverato con gravi ustioni in un ospedale. Per aver rifiutato di entrare in una confraternita lo hanno punito dandogli fuoco. Si sospetta di Black Axe, ma potrebbe essere anche un’altra società segreta. Altri “culti” infatti si contendono la supremazia nelle scuole e nelle università. Rivali di Black Axe sono gli Eiye, i Buccaneers, i Pirates, i Maphites. Ma Black Axe è la più temuta, oltre che per la sua ferocia, per il potere che è in grado di esercitare sulle istituzioni sociali, economiche e politiche. Si ritiene che abbia un giro d’affari illeciti per molti miliardi di dollari e che praticamente controlli la vita politica dello stato di Edo: “sono a tutti i livelli del nostro governo, dal vertice alla base – dice degli Axemen, gli Uomini Axe, un attivista di Benin City, Kurtis Ogebebor, che da anni cerca di fermare il reclutamento di giovani – li trovi dappertutto”.
The ultra-violent cult that became a global mafia (Il culto ultra violento che è diventato una mafia globale) è il titolo di un articolo della Bbc del 13 dicembre che riporta i risultati di una inchiesta svolta nei due anni precedenti da tre giornalisti. Documenta come ormai l’impero di Black Axe abbia assunto dimensioni mondiali. È presente in tutta Europa, America del nord e del sud e Asia. Si stima che abbia decine di migliaia di membri e una immensa rete di contatti. Da una indagine condotta in Canada è emerso, ad esempio, che la Black Axe canadese abbia collegamenti con affiliati in Nigeria, Gran Bretagna, Malesia, gli Stati del Golfo e decine di altri paesi. Inoltre il governo teme che esistano chissà quante altre associazioni criminali analoghe.
Che oltre a Black Axe operino sul territorio nazionale altre mafie nigeriane in Italia, meta di decine di migliaia di nigeriani, è una certezza. Di sicuro sono presenti gli Eiye, ad esempio. L’Alto commissariato Onu per i rifugiati ritiene che il 70% dei nigeriani che emigrano illegalmente provengano dallo stato di Edo e che Black Axe giochi un ruolo determinante nel traffico che li porta in Nord Africa e, da lì, in Italia attraverso il Mediterraneo.
Tornando a Titus, il suo caso solleva una domanda fondamentale. Che cosa ha raccontato al suo arrivo per non essere fermato e respinto: ha chiesto asilo dichiarandosi in fuga da persecuzione, guerra o da qualche minaccia mortale? Dal momento che non viveva in clandestinità (abitava in appartamento di cui pagava regolarmente l’affitto), dovrebbe essere una delle oltre 180mila persone che dal 2014 al 2020 hanno ottenuto protezione internazionale (status giuridico di rifugiato o protezione sussidiaria) oppure un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Con che motivazioni la commissione territoriale che ha esaminato il suo caso gli ha concesso di vivere in Italia?