Ma quanti esempi di giornalismo "bastardo"
Nello sgomento collettivo per i tragici fatti di Parigi si inseriscono anche le polemiche sul ruolo dell’informazione nel fomentare le tensioni e nell’esacerbare gli animi dei violenti e, in generale, dell’opinione pubblica. Il titolo del quotidiano Libero (“Bastardi islamici”) non è stata una bella pagina per il giornalismo italiano.
Nello sgomento collettivo per i tragici fatti di Parigi si inseriscono anche le polemiche sul ruolo dell’informazione nel fomentare le tensioni e nell’esacerbare gli animi dei violenti e, in generale, dell’opinione pubblica. L’apertura del quotidiano Libero di tre giorni fa (“Bastardi islamici”) non è stata una bella pagina per il giornalismo italiano. Ha suscitato forte indignazione sui social network e prese di distanza perfino in Forza Italia e nel centrodestra, area di riferimento di quel giornale.
Maso Notarianni, giornalista e blogger del Fatto quotidiano, ha sporto denuncia a Milano contro quella prima pagina, definita «criminale e pericolosa», ricordando che «ci sono leggi che regolano la libertà di stampa e determinano il limite dell’istigazione all’odio». Il giudice dovrà quindi valutare ipotesi di reato, mentre è possibile svolgere fin da ora alcune considerazioni circa la natura delle violazioni deontologiche commesse dal direttore Maurizio Belpietro.
Ieri, peraltro, il quotidiano Libero ha rincarato la dose, replicando nel titolo di prima pagina la parola “bastardi", associata agli autori dei massacri parigini e a foto dal contenuto impressionante e raccapricciante, raffiguranti le vittime. L’Ordine dei giornalisti della Lombardia ha segnalato il titolo di tre giorni fa al Consiglio di disciplina territoriale perché faccia una approfondita valutazione del caso e verifichi se ci siano state o no violazioni delle Carte deontologiche della professione giornalistica. Senza pretendere di sostituirci all’organo giudicante, non possiamo non ravvisare una stridente contraddizione tra il tenore di quei titoli e la pacata moderazione auspicata dalla Carta di Roma (giugno 2008), che invita i giornalisti, nell’esercizio del diritto di cronaca, a non discriminare i protagonisti dei fatti in base al colore della pelle, all’etnia, allo Stato di provenienza o alla confessione religiosa di appartenenza.
Quei titoli, al di là delle altre considerazioni morali e giuridiche (incitamento all’odio razziale e religioso), rispondono a una generalizzazione astratta e colpevole, come se tutti i musulmani fossero terroristi. In Italia esistono circa 250.000 cittadini musulmani che, all’indomani dei tragici fatti consumatisi nella capitale francese, hanno mostrato un’indignazione almeno pari alla nostra. Anche il Codice deontologico sul rapporto tra privacy e giornalismo, del luglio 1998, all’articolo 9 introduce il divieto di discriminazione, che dovrebbe indurre il giornalista a non cedere a pregiudizi e a trattare situazioni uguali in modo uguale, a prescindere dall’identità, dalla nazionalità, dalla religione, dalla razza, dall’etnia dei protagonisti dei fatti. Ma questi aspetti saranno oggetto di valutazione da parte del Consiglio di disciplina dei giornalisti della Lombardia.
Va comunque detto che il caso Belpietro appare indubitabilmente contrassegnato da una buona dose di perbenismo e di ipocrisia, visto che già in passato altri giornalisti hanno mostrato atteggiamenti altrettanto iconoclasti nei confronti di figure di primo piano come Benedetto XVI. Si ricorderà il suo discorso di Ratisbona (2006), durante il quale Papa Ratzinger mise in guardia dai rischi di un islam radicale ed estremista e, per quelle parole, fu tacciato di islamofobia da moltissimi media occidentali. In Italia il più feroce e spietato critico di Benedetto XVI fu il quotidiano La Repubblica, e nessun giornalista si sognò di querelare quella testata né di denunciare la violazione della libertà d’espressione del Sommo Pontefice. E quei giornalisti non furono sottoposti a procedimento disciplinare.
Così come nessuna violazione deontologica è stata contestata, almeno finora, agli autori dei libri sugli scandali in Vaticano, che hanno pubblicato atti coperti da segreto e rubati in modo scorretto, né ai cronisti che si occupano da anni di gender e che dileggiano gratuitamente i sostenitori della famiglia naturale costruendo resoconti giornalistici spesso privi di contraddittorio. Anche questi sono esempi di violazioni deontologiche, non meno preoccupanti e devastanti di quelle probabilmente commesse da Maurizio Belpietro con il suo titolo contro gli islamici.