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LA SETTIMANA

L'Ue non promuove l'Italia. Siamo rimandati a marzo

La notizia della settimana dovrebbe essere l’accordo raggiunto tra i ministri delle Finanze degli Stati membri sul bilancio preventivo dell’Unione per il 2015. Ma in Italia interessa a pochi, evidentemente. Molto male, perché l'Italia, assieme a Francia e Belgio, è uno dei tre Paesi "rimandati".

La Settimana 10_12_2014
Il ministro Padoan

Sul fronte dell’Unione Europea la notizia della settimana dovrebbe essere l’accordo raggiunto tra i ministri delle Finanze degli Stati membri sul bilancio preventivo dell’Unione per il 2015, la cui spesa è stata definita in 141,2 miliardi di euro, più 3,5 di stanziamenti straordinari a copertura di una modesta quota dei debiti maturati a tutto il 2014 (che complessivamente ammontano a quasi 30 miliardi di euro).

In quanto al famoso piano di rilancio dell’economia europea per un valore di 315 miliardi di euro annunciato dal nuovo presidente della Commissione Jean-Claude Junker, lo stanziamento per il 2015 è di soli 8 miliardi di euro. E’ vero che tale cifra dovrebbe avere un effetto moltiplicatore essendo a garanzia di investimenti privati, ma anche così relativamente sono briciole. Siamo dunque ben lontani dal salutare “colpo di frusta” all’economia del Continente che era stato preannunciato. Beninteso, siamo solo all’annuncio dell’accordo sul progetto di bilancio in questione, che dovrebbe poi venire pubblicato entro la fine di questa settimana per essere poi sottoposto al voto del Parlamento europeo. Sarebbe insomma il momento per discuterne ampiamente. 

E’ molto probabile invece che in Italia se ne parlerà poco o nulla. Al grosso infatti dei nostri giornali e telegiornali ciò che accade a Bruxelles interessa soltanto per i suoi riflessi sulla “politica” intesa come cronaca politica interna del Palazzo romano. Sembra che i ministri riunitisi a Bruxelles abbiano fatto sapere di attendersi dall’Italia “Uno sforzo in più entro marzo per ridurre il debito, ma non una manovra né misure aggiuntive”. Su questa frase sibillina i commenti si sprecano. Sarebbe come dire che condividono i  timori della Commissione europea sulla legge di stabilità italiana, la quale “rischia di non rispettare” le regole del Patto; e quindi chiedono a Roma di muoversi prima del nuovo esame straordinario dei bilanci fissato per il prossimo marzo. Non c’è bisogno di fare alcuna nuova mossa, sostiene invece il ministro Pier Carlo Padoan. Secondo lui infatti, se attuata in modo efficace, la legge di stabilità 2015 “rilancerà l’economia italiana". Ciò detto si sottolinea trionfalmente che alla Francia sono state chieste "misure aggiuntive", e all'Italia invece "misure efficaci". A quanto pare si tratterebbe di una differenza decisiva.

I ministri, che si erano riuniti per esaminare i giudizi della Commissione sulle leggi di bilancio degli Stati che fanno parte dell’Eurozona, hanno deciso il rinvio di Francia, Italia e Belgio a un nuovo esame straordinario in programma a marzo. In cambio fino ad allora la Commissione dovrebbe rinunciare ad aprire “procedure di infrazione”. Nel caso dell'Italia i ministri hanno tuttavia sottolineato che "l'alto debito resta motivo di preoccupazione" e che servono "misure efficaci per migliorare lo sforzo strutturale". "Lo sforzo strutturale italiano nel 2015 sarà di 0,1%, mentre nel Patto è richiesto lo 0,5%". Questo vuol dire che il 'gap' da colmare è di 0,4%”, spiega il loro presidente di turno Jerön Dijsselblöm, evidentemente forte in matematica, “e l'Italia da qui a marzo può farlo in tre modi: "Nuove misure, oppure misure più efficaci, oppure con un accordo con la Commissione" magari sulla valutazione dell'impatto delle misure già prese o sui tempi per vederne l'effetto. "Tutto è possibile”, ha concluso, “ma qualcosa va fatto".

In quanto insomma a bizantinismi di parole e di cifre, la politica di Bruxelles non ha più niente da invidiare a quella di Roma. Si sta parlando di differenze pari a frazioni di unità, ovvero a valori che si possono poi, in caso di necessità, manipolare a piacere. Tornando invece alle questioni  che contano, ovvero alla capacità o meno dell’Unione di fare quella che sarebbe la sua parte, pesa piuttosto come un macigno la differenza fra le dimensioni del piano di rilancio promesso e la (relativa) miseria degli 8 miliardi di euro stanziati al riguardo per il 2015.