Caso Epstein: cresce la pressione su Trump perché tolga il segreto
Trump ordina di pubblicare un'altra parte delle carte sullo scandalo Epstein, il milionario morto in carcere nel 2019 dopo l'accusa di un traffico di prostituzione anche minorile. Opinione pubblica e media si interrogano sulla riluttanza di Trump a pubblicare tutto.

Il 18 luglio pomeriggio, alla Casa Bianca, si è tenuta la conferenza stampa per la firma della legge Genius, che regola le criptovalute. La folla di giornalisti di tutto il mondo era però poco attenta alle criptovalute e alla nuova legge promulgata dal presidente americano. Era in attesa di sapere qualcosa sulle carte del caso Epstein. Trump ha deluso le attese, non ha dichiarato nulla e neppure risposto alle domande. Ieri ha ordinato alla procuratrice generale Pam Bondi di desecretare altre carte sul caso del milionario Jeffrey Epstein morto suicida (almeno fino a prova contraria) in carcere, nel 2019, dopo che era stato arrestato per tratta delle bianche.
Epstein era un amico di Trump, almeno fino ai primi anni 2000, come documentano numerose foto. In campagna elettorale, l’attuale presidente aveva promesso di pubblicare tutte le carte. C’era il fondato sospetto che queste potessero affondare i Democratici in un mare di scandali. Ma una volta insediatosi alla Casa Bianca, Trump ha pubblicato poco o nulla. E anche le carte che ha ordinato di desecretare (le testimonianze di fronte alla giuria dopo il suicidio di Epstein) sono solo una parte della documentazione raccolta in cinque anni dall’Fbi. Trump sta difendendo la procuratrice generale Pam Bondi, la più bersagliata dalle critiche della base di Trump. Al tempo stesso ha licenziato, senza dar spiegazioni, Maurene Comey, procuratrice del distretto meridionale di New York, che aveva indagato su Epstein e sulla Maxwell.
La fama di donnaiolo non era un mistero, Epstein era stato anche arrestato nel 2006 per sesso con minorenni. Ma nel 2019 l’accusa era molto più pesante: era sospettato di aver gestito un giro internazionale di prostituzione, anche con minorenni, da “offrire” a clienti di alto bordo. Lo scandalo è emerso subito come prova per incolpare Donald Trump, ma i clienti che sono emersi dalle agende di Epstein erano soprattutto personaggi della sinistra americana (oltre al principe Andrea, la cui reputazione è stata rovinata dalla vicenda). Morto Epstein, resta in carcere la sua segretaria e presunta complice Ghislaine Maxwell, figlia del magnate dei media britannico Robert Maxwell (anch’egli morto in circostanze abbastanza misteriose alle Canarie, nel 1991).
Sul caso Epstein le prove provengono da quattro fonti: l’agenda di Jeffrey Epstein, le carte di Ghislaine Maxwell, il registro di bordo del Lolita Express (l’aereo privato di Epstein) e le testimonianze delle vittime. Il registro di bordo è stato declassificato in febbraio, ma altri documenti restano segreti. Ora saranno divulgate anche le testimonianze.
L’indignazione della base elettorale di Trump è palpabile e cresce la pressione mediatica. Qualche crepa si sta aprendo anche all’interno della stessa amministrazione. La domanda degli elettori è legittima: se Trump ha promesso di togliere il segreto sulle carte di Epstein, perché non lo ha ancora fatto in sei mesi di governo? Deve sbianchettare qualche nome? È coinvolto lui personalmente nel giro di prostituzione? Deve coprire qualche segreto? In Congresso è stata firmata una petizione bipartisan, promossa dai deputati Thomas Massie (Repubblicano) e Ro Khanna (Democratico) per la completa declassificazione di tutti i documenti di Epstein. Anche un’oppositrice interna moderata come Nikki Haley (ex candidata alla presidenza nelle primarie) chiede che Trump pubblichi tutto. Se non altro perché, più tempo passa, più crescono le teorie e i teoremi sul rinnovato segreto.
Tucker Carlson, assieme a tutto l’ambiente di influencer repubblicani che hanno sostenuto Trump nel 2024, ne fanno anche una questione di politica estera. Visto che Epstein era ebreo e la Maxwell è di padre ebreo (e Robert Maxwell era una presunta spia del Mossad), allora Tucker Carlson sta lanciando l’idea che l’amministrazione stia coprendo un’operazione di spionaggio. In pratica Epstein avrebbe raccolto materiale compromettente sulle abitudini sessuali dei politici per poi ricattarli. La questione è diventata particolarmente scottante da quando Trump, scontentando la base più isolazionista, è intervenuto nel breve conflitto in Iran al fianco di Israele. Lo ha fatto perché ricattato? È uno schema che ricorda molto l’inchiesta sul Russiagate (2016-17), poi rivelatosi falso. E non esiste una prova che sia una del legame di Epstein, o della Maxwell, con il Mossad.
La stampa sta aumentando il pressing. Il 17 luglio ha fatto scalpore la pubblicazione di un vero scoop del Wall Street Journal: il ritrovamento di un libro di auguri, confezionato da Ghislaine Maxwell per il 50mo compleanno di Epstein nel 2003, contenente lettere e biglietti di auguri di tutti i suoi amici. Fra questi spicca un biglietto firmato da Trump, con auguri molto ambigui scritti dentro la figurina di una donna nuda. Un atto di goliardia che tuttavia il presidente rinnega, accusando il Wall Street Journal di aver pubblicato un falso e minacciando una querela all’editore Rupert Murdoch, amico e nemico al tempo stesso, da sempre.
L’amministrazione è compatta, almeno all’apparenza. Ma fonti ben informate dell'agenzia Axios parlano di una lite, con urla, fra la procuratrice generale Pam Bondi e il vice-direttore dell’Fbi, Dan Bongino. Quest’ultimo, ex poliziotto, già servizio segreto, divenuto celebre per la sua autobiografia e per il suo programma in podcast, era uno dei più attivi in assoluto sullo scandalo delle carte di Epstein. Il fatto che sia rimasto il segreto su gran parte di esse deve essere stato terribilmente frustrante.
Trump che lascia la conferenza stampa, senza dichiarazioni e senza risposte, è finora tutto quel che abbiamo sul mistero Epstein. In attesa di scoprire qualcosa di più, ci chiediamo se ci sia veramente qualcosa di nuovo da scoprire. O se non sia stato solo materiale da campagna elettorale, adatto a galvanizzare una base conservatrice che ora Trump stenta a richiamare all’ordine.