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educazione

L'ora di religione: la fede in balia delle opinioni

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È tutt'altro che rose e fiori l'IRC nella scuola pubblica, stretto fra il pochissimo tempo a disposizione e l'ampia accondiscendenza verso il mainstream, per non sembrare "troppo cattolici".

Editoriali 23_01_2024

In questo periodo dell’anno famiglie e studenti devono scegliere se avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica (IRC). Le diocesi fanno quindi la loro promozione. Talvolta intervengono direttamente i vescovi, altre volte i responsabili degli uffici diocesani e si stampano manifesti che vengono collocati agli ingressi delle chiese parrocchiali. Gli argomenti per convincere sono sempre gli stessi: si esclude che sia un indottrinamento, si precisa che non è catechismo, si conferma che l’approccio deve essere culturale e non confessionale, che il clima è di dialogo, che si vuole dare spazio alle domande dei giovani, che si affronteranno temi di vita concreta, che verrà analizzato il fenomeno religioso in senso lato, che si favorirà una apertura mentale per poter comprendere la storia e la cultura della nazione e così via.

Al di là di queste belle parole, l’IRC nella scuola pubblica non è affatto un mondo di rose e fiori. In molti casi gli insegnanti scelgono questa attività in via provvisoria, in attesa di migliori sistemazioni. Qualcuno di loro ha frequentato un Istituto di Scienze Religiose ma molti non hanno una preparazione specifica in campo teologico. La selezione dei docenti avviene da parte del rispettivo ufficio diocesano, che in certi casi procede con criteri poco trasparenti. Il docente, pur se nominato dalla diocesi, deve essere gradito anche al dirigente scolastico, in caso contrario costui può richiederne la rimozione. Ciò crea un certo imbarazzo nel docente che spesso si vede costretto a “compiacere” alle linee educative della dirigenza scolastica della scuola in cui insegna. Il dirigente è avvantaggiato perché le “pratiche”, comprese le sostituzioni in caso di assenza, sono a carico della diocesi e non della propria segreteria, ma nello stesso tempo è preoccupato che i docenti in questione non esprimano posizioni di cultura religiosa troppo forti e alternative. Ci sono poi i dirigenti militanti che nell’orario settimanale collocano le ore di religione cattolica nelle posizioni più adatte a disincentivare l’adesione degli studenti. Del resto, con una quarantina di minuti a disposizione alla settimana, togliendo poi le sospensioni o i rimaneggiamenti del calendario per molti motivi, cosa si può riuscire a dire di fondato?

Le difficoltà ora accennate non sono comunque le più importanti. Il fatto principale è che alla fine non sembra che l’IRC nella scuola pubblica insegni veramente la religione cattolica. Le ore di questo insegnamento vengono riempite da docenti nel modo più vario. Si parla di tutto e, spesso, senza mai parlare della religione cattolica. Si parla di sessualità e amore, di altre religioni cristiane e non cristiane, di fatti di cronaca, di problematiche morali, di educazione civica, di guerra e pace, di ecologia, di politica, di temi scottanti (sempre quelli) come l’evoluzionismo, le crociate o l’inquisizione, di “nuovi diritti”... Ci sono docenti che preparano un programmino organico, ma altri entrano in classe ed improvvisano, spesso lasciando che gli studenti pongano qualche problema per poi suscitare un dialogo attorno ad esso. Alla varietà dei temi trattati, corrisponde la varietà delle convinzioni teologiche dei docenti che sono cattolici in modo spesso molto diverso tra loro.

Va riconosciuto che in molti casi non solo non si parla di religione cattolica, ma si parla anche contro la religione cattolica. I responsabili dei progetti gender nelle scuole statali sono spesso i docenti di religione cattolica, naturalmente senza che l’ufficio diocesano competente abbia nulla da dire. Questo anche perché spesso questi docenti, per avere un “riconoscimento” vero della loro presenza nella scuola, essendo quello di insegnante di religione cattolica piuttosto debole, si impegnano in funzioni di coordinamento didattico.

Sta di fatto che non si ha alcuna certezza che questo insegnamento serva alla religione cattolica. Anzi, si può legittimamente temere che, in generale, la danneggi deformandola e adattandola al gradimento degli studenti, riducendola quando va bene ad un confronto di opinioni, una specie di talk-show scolastico. Per essere accettato, l’insegnante di religione deve adattarsi alle campagne per le quali di volta in volta il potere decide di mobilitare gli studenti: ieri la verità per Giulio Regeni, oggi le tesi di Greta Thunberg o il femminicidio.

La problematica in questione ha anche a che fare con gli Istituti di Scienze religiose. L’ultimo numero della rivista della Facoltà Teologica del Triveneto Studia Patavina riferisce che in Italia sono circa 10 mila i frequentanti questi Istituti e la maggioranza lo fa in vista dell’IRC nella scuola statale. Se questo insegnamento si riducesse sarebbe un guaio perché gli Istituti di Scienze religiose imploderebbero. 

Il 10 gennaio scorso il cardinale Zuppi e il ministro Valditara hanno firmato l’accordo per l’immissione in ruolo di cica 6400 insegnanti. La situazione dell’IRC illude la Chiesa italiana di essere efficacemente sul campo quanto a formazione, ma così non è. Essa dipende dallo Stato e dalle ideologie che entrano nella scuola statale. Lo stato di salute di questo insegnamento ci dice che con esso la Chiesa si riduce ad una minoritaria agenzia formativa di una non meglio precisata etica umanisticheggiante. Peccato che non si intravveda alcuna spinta a educare e istruire in proprio. 
 



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