Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
CRONACA

L'omicidio di Alika e dove sta il vero razzismo

Il brutale assassinio dell'ambulante nigeriano a Civitanova Marche non ha giustificazioni, ma dovrebbe indurre a qualche riflessione su noi e la società in cui viviamo. Invece si predilige buttarla sull'ideologia e la politica. Ma il vero razzismo è giudicare i fatti in base al colore della pelle, come dimostra un altro caso analogo...

Editoriali 01_08_2022
Fiori e bigliettini sul luogo dell'aggressione

Il brutale omicidio dell’ambulante nigeriano Alika Ogorchukwu, avvenuto a Civitanova Marche nel pomeriggio del 29 luglio, è qualcosa che lascia senza parole. Qualsiasi sia il fattore scatenante la violenza di Filippo Ferlazzo, l’autore dell’omicidio – anche se ormai appare accertato che si tratti dell’insistenza della vittima nel cercare di vendere fazzoletti e accendini – nulla può giustificare una reazione del genere. Neanche gli acclarati disturbi psichiatrici dell’aggressore, peraltro non gravi da quel che è stato dichiarato, possono costituire una spiegazione di tanta violenza. La diffusione poi di un video che riprende l’aggressione, con la forza che hanno le immagini, non può che aumentare il raccapriccio.

Ma purtroppo, come spesso accade, un fatto che dovrebbe costringerci a una seria riflessione su di noi, sul mistero del Male, su cosa poggiamo le nostre scelte, sul senso che diamo alla vita, sui valori su cui costruiamo la nostra società, è stato immediatamente strumentalizzato ai soliti scopi ideologici e politici. Figurarsi poi con una campagna elettorale già lanciata.

È per questo che il caso di Civitanova, pur gravissimo, sui giornali e nei notiziari ha preso il sopravvento su ogni altro fatto, malgrado in questi giorni la cronaca nera di omicidi e aggressioni insensate ne offra un vasto campionario. Madri che uccidono i figli, figli che uccidono le madri, ex fidanzati che eliminano i rivali in amore con l’ex amata e l’elenco potrebbe continuare: bisognerebbe verificare con dati oggettivi, ma scorrendo le pagine dei notiziari si ha l’impressione che ci sia una esplosione di violenza generalizzata che percorre tutta la società e che questi brutali omicidi siano solo la punta dell’iceberg. 

Vengono in mente i tanti interventi di papa Benedetto XVI sulle conseguenze dell’assenza di Dio nella società occidentale: «Una società nella quale Dio è assente – scrisse ad esempio intervenendo nel dibattito sugli abusi sessuali – (…) è una società che perde il suo criterio. (…) Viene meno il criterio che ci indica la direzione insegnandoci a distinguere il bene dal male. (…) Si perde la misura dell’umano». «L’assenza di Dio – aveva detto anche il 26 ottobre 2011 – porta al decadimento dell’uomo e dell’umanesimo. (…) La violenza diventa una cosa normale».

Ecco, su questo dovremmo riflettere, e invece si preferisce cavalcare la lettura ideologica. Anche Avvenire, il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana, nel caso di Alika preferisce evocare «l’ombra del razzismo» malgrado il vescovo di Fermo cerchi di rifuggire da certe letture riduttive.

In realtà il vero razzismo è quello di chi distingue i morti e gli assassini in base alla nazionalità o al colore della pelle. Ed è smascherato da un altro terribile caso di cronaca accaduto poche ore dopo l’assassinio di Civitanova Marche. Sabato 30 luglio, intorno alle 9 del mattino, a Monteforte Irpino (in provincia di Avellino) un giovane nigeriano è entrato in un negozio e, dopo una accesa discussione di cui non si conoscono i motivi, ha preso un martello e ha colpito violentemente il proprietario del negozio, un 56enne cinese, uccidendolo, e ferendo gravemente un altro cliente, di nazionalità bulgara, che cercava di fermarlo.

Per motivi, modalità ed esito ci sono molte analogie tra i fatti di Civitanova e di Monteforte. Ma dell’italiano che uccide il nigeriano ne parlano per giorni tutti i giornali in prima pagina (e la comunità nigeriana scende in piazza), per il nigeriano che uccide il cinese (e ferisce il bulgaro) ci sono solo poche righe in cronaca (e non si rendono noti neppure i nomi).

Quanto accaduto a Monteforte, peraltro, ci suggerisce anche un’altra riflessione: in questo caso chi ha tentato di fermare l’aggressore, non è riuscito a evitare la morte dell’aggredito e versa lui stesso in gravi condizioni. Si fa presto a condannare la presunta indifferenza di chi a Civitanova è stato testimone della brutale uccisione senza intervenire, ma è molto comodo farlo dal lato della tastiera di un computer (e tanto per avvalorare l’idea di trovarsi davanti a un Paese razzista in cui c’è chi uccide un nero e chi guarda con indifferenza). Trovarsi improvvisamente coinvolti in una situazione del genere è esso stesso un dramma, e decidere di intervenire e come non è semplice. Piacerebbe vedere quanti degli “indignati” di questi giorni si sarebbero gettati da soli addosso a un energumeno inferocito sapendo di rischiare la pelle. Non si tratta di giustificare l’indifferenza e l’ignavia (che purtroppo ci sono e si possono riportare ai succitati giudizi di Benedetto XVI), ma di sapersi calare nella situazione e di essere prudenti nel giudicare le persone, senza aver fretta di applicare un teorema.