Lockdown, l'Australia sdogana l'uso dell'esercito
L’Australia manda le truppe a presidiare il Nuovo Galles del Sud, a seguito delle grandi manifestazioni di Sydney contro il nuovo lockdown. Si sta creando un precedente pericoloso: l'uso dell'esercito per implementare misure anti-Covid. Finora non era pensabile, se non nei peggiori film catastrofici.
L’Australia manda le truppe a presidiare il Nuovo Galles del Sud. Non c’è un aumento del rischio terrorismo e neppure è in corso una catastrofe naturale, come gli incendi di inizio 2020. Questa volta sono i cittadini l’obiettivo dell’operazione. Il Nuovo Galles del Sud, in particolare Sydney è finito di nuovo sotto un regime di lockdown da sei settimane e vi rimarrà almeno fino al 28 agosto. La popolazione, esasperata a questo punto dopo un anno e mezzo di lockdown a intermittenza, è scesa in piazza in modo massiccio il 24 luglio. La polizia ha chiesto e ottenuto, da questa settimana entrante, l’appoggio di almeno 300 militari dell’esercito, inviati dal governo federale. Questo episodio è uno dei tanti esempi di come si stia sdoganando l’uso dell’esercito per mantenere l’ordine pubblico all’interno delle democrazie liberali.
Se fosse accaduto anche solo nel 2019, oggi si inizierebbe a parlare di “dittatura” o di “golpe”. Al contrario, oggi l’uso dell’esercito appare normale, quasi scontato. Nel ringraziare l’intervento del governo nel suo Stato, il ministro della Salute del Nuovo Galles del Sud dichiara che negli ultimi 18 mesi le forze armate hanno già giocato un ruolo fondamentale, nel controllo delle dogane, quindi anche nei rimpatri e nel far rispettare le quarantene. Adesso, però, i soldati dell’esercito affiancheranno la polizia. Benché si tratti di pattuglie non armate e con regole di ingaggio strettissime, è il ruolo che può legittimamente destare preoccupazione. Come rileva l’Australian Lawyers Alliance, associazione di avvocati e docenti per la difesa dei diritti di libertà individuale, questo uso delle forze armate è “un precedente pericoloso” e dovrebbe essere “chiaramente definito” dal governo.
Nessuna remora da parte della premier dello Stato australiano. Gladys Berejiklian, piuttosto, aveva condannato con parole durissime le manifestazioni contro il lockdown. I manifestanti, aveva detto, “dovrebbero vergognarsi”, perché “milioni di persone in tutto lo Stato stanno facendo la cosa giusta, mi piange il cuore a vedere che certe persone abbiano così tanto disprezzo per i loro concittadini”. Nessuna ammissione di colpe o autocritica, però, sul fatto che, nonostante il lockdown vi siano sempre centinaia di nuovi casi ogni giorno e che il virus, comunque, stia dilagando.
Quindi abbiamo: un’autorità pubblica che condanna dei manifestanti (con buona pace della libertà di assemblea e di parola) e manda l’esercito per far rispettare regole sempre più strette che limitano i diritti dei cittadini. Ma è “normale”, ormai. La normalizzazione delle forze armate impiegate non in guerra ma all’interno, anche in una democrazia liberale, deriva da decenni di loro compiti civili. Un esercito viene impiegato per aiutare la polizia a sedare disordini che provocano distruzioni di proprietà, morti e feriti. La Guardia Nazionale americana, ad esempio, interviene quando tumulti stanno andando fuori controllo. Un salto di qualità, negli Usa, c’è stato all’inizio dell’anno, con il dispiegamento di decine di migliaia di uomini della Guardia Nazionale a protezione del Campidoglio, dopo l’incursione dei manifestanti pro-Trump del 6 gennaio. E nessuno ha notato l’anomalia. Le forze armate, in tutti i Paesi democratici, sono di aiuto anche per far fronte a disastri e catastrofi naturali, perché hanno l’organizzazione, l’addestramento e i mezzi per aiutare i soccorsi civili. In alcuni casi, per altro molto contestati, svolgono compiti di presidio contro il terrorismo, come l’operazione Strade Sicure in Italia. In piena crisi di Covid, sono anche generali specializzati in logistica che organizzano la distribuzione dei vaccini, come avviene, ad esempio negli Usa e in Italia. Qui, però, ci troviamo di fronte ad un fatto nuovo: una forza militare dispiegata per prevenire eventuali ribellioni di cittadini finora pacifici è più simile a quanto accade nei regimi autoritari.
Pian piano ci stiamo abituando al concetto che l’esercito diventi uno strumento che, oltre a proteggere i cittadini da un nemico esterno, protegga le istituzioni dai cittadini stessi. Compito finora riservato a corpi civili di polizia o corpi militari appositi controllati strettamente da autorità civili. Tuttavia, dopo un anno e mezzo di pandemia, l’odio diffuso a piene mani dai media contro i “nemici del popolo”, di volta in volta identificati nel runner, nel furbetto, nel negazionista, nel no-mask, nei ragazzi della movida e infine nei no-vax, sta aumentando la richiesta di uso della forza. Anche militare. Un giornalista come Marcello Sorgi, su La Stampa, in tempi normali non avrebbe mai scritto, nero su bianco, della formazione di un governo di militare in caso di sfiducia e caduta del governo Draghi. Oggi è un pensiero possibile ed è pubblicabile, anche su un grande quotidiano nazionale. Ma non è una buona notizia.