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ORDINE DEI MEDICI

Lo scandaloso ricatto ai medici guariti

Una circolare del presidente dell'Ordine dei Medici impone il vaccino ai medici sospesi e ora guariti per poter riprendere il lavoro. Così si dimostra che il vaccino non c'entra nulla con la prevenzione dell'infezione, è diventato invece una sorta di inaccettabile "iniziazione".

Editoriali 28_01_2022

Il 25 gennaio scorso il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (FNOMCeO), Filippo Anelli, ha diramato una circolare agli Ordini dei Medici in cui nota che “presso gli Ordini stanno arrivando numerose richieste di revoca della sospensione già comminata per inadempimento vaccinale da parte di sanitari che allegano documentazione attestante la guarigione da Covid – 19.”

Questo pare ovvio, visto che la malattia conferisce immunità come e meglio del vaccino. Tuttavia, nella stessa circolare si legge che “A miglior chiarimento della faq n.16 si evidenzia che, nella fattispecie in esame, trattandosi di sanitario già sospeso, al medesimo potrà essere cancellata la sospensione solo quando fornisca dimostrazione di aver concluso almeno il primo ciclo vaccinale come disciplinato dal comma 5 dell’art.1 lett. b) del dl n.172/2021 non essendo sufficiente il certificato di differimento del medico di medicina generale”. In altre parole, anche se un medico, già sospeso perché non vaccinato, ha avuto da parte del suo medico di famiglia un certificato di differimento, non potrà esercitare la professione se non si farà iniettare almeno una dose di nanoparticelle con mRNA.

Questa raccomandazione del presidente dei medici rappresenta un’interpretazione arbitraria dello spirito e della lettera della stessa legge, che non si confà a un dirigente di questo livello. Si ricorderà che nel d.l. 172/21 la vaccinazione anti-COVID-19 è resa obbligatoria per le professioni mediche “per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2”. Tale disposizione è poi allargata, tramite il cosiddetto “pass allargato” ad altre categorie di lavoratori per lo stesso motivo. Ma le prove scientifiche ed epidemiologiche oggi schiaccianti dimostrano che questa non è una funzione di cui l’inoculo dei prodotti anti-COVID-19 sono capaci. Anzi, chi ha il “super green pass” (che prescinde dal tampone negativo) oggi è altrettanto contagioso di un non vaccinato, o forse di più se prende meno precauzioni.

Il vaccino contro il COVID-19 è diventato un requisito indispensabile per esercitare la medicina, anche se si sa benissimo che non impedisce in alcun modo il rischio di contagio del paziente da parte del medico e viceversa.
È noto invece che l’immunizzazione naturale conferisce migliore protezione dalla malattia e dalla reinfezione rispetto al trattamento iniettivo con prodotti a base di mRNA della proteina spike, ancora disegnati contro la sequenza fornita dai cinesi nel gennaio 2020 (si veda ad esempio qui)  Oltretutto impedire ai medici di lavorare nel corso di una pandemia è del tutto controproducente per la sanità pubblica e stupisce che il presidente della Federazione non se ne renda conto o non se ne preoccupi.

Allora perché la FNOMCeO insiste sul ricatto vaccinale e pretende almeno una dose, anche da chi ha avuto l’infezione naturale? Perché non viene accettata la prova di laboratorio dell'avvenuta immunizzazione naturale per poter affermare la propria immunità? Dove è finita la scienza dell’immunologia? Non è difficile pensare che i motivi di tale accanimento persecutorio verso i non inoculati siano di natura completamente diversa da quelli originariamente dichiarati dalla legge, che erano di prevenzione delle infezioni. Oggi siamo al brutale: vuoi fare il medico? Prima fatti inoculare, come fosse un “timbro”, nella carne.

Il cosiddetto vaccino - ricordiamo che è ancora in fase III di sperimentazione - non è più un farmaco più o meno utile, è divenuto una sorta di “status symbol”, una sorta di “iniziazione”, un requisito per far parte della casta. Chi rifiuta un inoculo, della cui efficacia e sicurezza con buone e sempre più solide ragioni non è convinto, non ha diritto di appartenere alla classe medica. Siamo all’apocalisse dell’etica medica, della logica, del buon senso. Giuridicamente, la Magistratura potrebbe verificare se un invito del genere, fatto agli altri Ordini territoriali, integri il reato di incitazione a delinquere.

La FNOMCeO non è nuova a questo tipo di prese di posizione, funzionali alle decisioni dello Stato in politica vaccinale. Sotto la presidenza della dottoressa Roberta Chersevani (radiologa), emanò (8 luglio 2016) un documento specificamente dedicato alla questione delle vaccinazioni (clicca qui). Questa presa di posizione rappresentò l’inizio e il primo strumento della “caccia” ai medici che non si uniformano al pensiero dominante, comportando sanzioni, ammonizioni, sospensioni e persino radiazioni in alcuni casi.

Tale documento della Federazione è inconsistente dal punto di vista scientifico e ripete molti luoghi comuni sulla presunta efficacia delle vaccinazioni (senza dire quali) come salvezza dell’umanità. Se la prende poi con le informazioni della “rete”, incolpate di deviare i genitori ignoranti dalla retta via indicata dalle autorità sanitarie. Curiosamente, primo riferimento bibliografico del documento della FNOMCeO è un libro (“I vaccini dell’era globale”) scritto da Rino Rappuoli, guarda caso capo del gruppo di ricerca del settore vaccini di Novartis e poi di GSK, la stessa azienda che produce i vaccini iniettati nei bambini italiani. Ma non lo dicono.

Eppure sempre questo documento FNOMCeO rappresenta ancora la “guida” per i provvedimenti disciplinari contro gli “inadempienti”, particolarmente in campo vaccinale: “solo in casi specifici, quali ad esempio alcuni stati di deficit immunitario, il medico può sconsigliare un intervento vaccinale. Il consiglio di non vaccinarsi nelle restanti condizioni, in particolare se fornito al pubblico con qualsiasi mezzo, costituisce infrazione deontologica”. Invero, pare evidente che qui il testo si fonda equivocamente sulla locuzione "casi specifici": il fatto che si fornisca come esempio “alcuni stati di deficit del sistema immunitario”, così genericamente indicati e senza le dovute distinzioni e precisazioni nonché correlazioni, risulta omissivo e confondente rispetto alla possibilità che vi siano altre ragioni per sconsigliare i vaccini, le quali vengono taciute.

Quest’ultima omissione è grave perché ce ne sono molte di ragioni. L’estensore del documento doveva sapere che i deficit del sistema immunitario sono delle controindicazioni solo per i vaccini con virus attenuati, mentre le controindicazioni a tutti i vaccini sono le reazioni allergiche gravi a un componente del vaccino o al lattice. Poi la valutazione pre-vaccinale deve considerare anche la eventuale presenza di malattia acuta grave o moderata, con o senza febbre. Il medico dovrebbe considerare anche la storia clinica e l’ereditarietà (clicca qui). Altrettanto equivoca è la pretesa di inquadrare il compito del medico nel senso che questi “può sconsigliare”, quindi mai “deve”, l’intervento vaccinale.

Cosa significa informare sulle controindicazioni così distortamente e omissivamente enunciate, e poi sostenere che il consiglio di non vaccinarsi “nelle restanti condizioni” “costituisce infrazione deontologica”, vale a dire addirittura illecito? Quali sarebbero le “restanti condizioni”, se le precedenti di riferimento non sono nemmeno esposte? 
Il documento della FNOMCeO rappresenta quindi una evidente minaccia e un chiaro ostacolo alla libertà di giudizio del medico in scienza e coscienza, una forma di condizionamento che non esiste per nessun altro farmaco, neppure i più pericolosi. Altrettanto continua a fare l’attuale presidente con circolari quali quella recentissima sopra citata.

I cittadini “utenti” dei servizi sanitari dovrebbero capire quanto la perdita dell’indipendenza di giudizio del medico sia foriera di conseguenze negative soprattutto per loro. L’obbligo vaccinale subito dai medici e imposto alla popolazione ha distrutto il rapporto di fiducia con gli assistiti, soverchiato da condizionamenti e forzature derivate dall’intreccio perverso tra politica, istituzioni, economia e informazione. La maggior parte dei medici oggi subisce il limite di essere dipendenti pubblici oppure, se liberi professionisti, di avere convenzioni che in ogni caso vincolano la loro operatività. Coloro che non sono né dipendenti pubblici né in convenzione, si trovano oggi sotto il controllo dell’ordine provinciale il quale a sua volta, come si è visto, ubbidisce pedissequamente ai diktat governativi. La principale organizzazione della professione medica, anziché tutelare la qualità del lavoro nell’interesse dei cittadini, diventa un “poliziotto” capace di sanzionare, sospendere e costringere.

Ma se il medico non segue più la “scienza e coscienza”, oppure nel caso estremo gli viene impedito di lavorare, la prima vittima è il suo assistito. E ciò che si vede nel corso dell’attuale situazione epidemica ne è una tragica conferma.