«L'Italia non può più fare a meno dei cattolici»
Unità, speranza e responsabilità nell'"appello" rivolto ai cattolici
e a tutti gli italiani di buona volontà dal documento finale della 46a Settimana sociale. Per contribuire serenamente a riformare il Paese.
Unità, speranza e responsabilità sono i concetti chiave su cui s’impernia il documento conclusivo della 46a Settimana sociale dei cattolici italiani - svoltasi a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre scorso -, reso pubblico nei gironi scorsi. Sono del resto concetti che, alla luce delle celebrazioni nazionali del 17 marzo per il 150° dell’Unità d’Italia, si fanno particolarmente significativi, soprattutto nell’ottica espressa dal card. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il 2 dicembre scorso nel saluto rivolto al X Forum del Progetto Culturale promosso dalla Chiesa Italiana. In quella occasione, il cardinal Bagnasco definì i cattolici “soci fondatori del Paese, rivendicandone una identità e una memoria di alto profilo e d’indubbio valor pubblico che non ne fa né dei reietti né dei tollerati nella vita socio-politico-culturale dell’Italia unita, quindi attuale, ma degli indispensabili apportatori di contributi decisivi.
In quest’ottica, i lavori della Settimana sociale, che fanno tesoro e pure strategia della Dottrina sociale della Chiesa, della fedeltà al magistero e della disponibilità a quella grandiosa opera di nuova evangelizzazione a cui i cattolici sono chiamati sempre ma in special modo ora, costituiscono una risorsa fondamentale per l’intero popolo italiano.
Stanno infatti emergendo con chiarezza - afferma il documento - «le grandi responsabilità poste oggi di fronte ai cattolici italiani, con riferimento a ogni ambito della vita della civitas» in cui il laicato «non silente, preparato, capace di dar vita a una nuova stagione del proprio insostituibile apostolato» è chiamato a svolgere un compito vero e proprio, cioè non un ruolo né solo teorico né semplicemente di contorno. E questo magari anche reagendo, con grazia e carità, ma non con meno fermezza, alla mentalità oggi dominante in Occidente, dove «particolarmente in Europa continentale e dunque anche in Italia, la visione prevalente della laicità non di rado afferma e pratica l’esclusione della Chiesa e delle religioni dallo spazio pubblico, discrimina sull’apertura alla vita, misconosce la specificità dell’istituto familiare e a volte giunge a negare o ostacolare la libertà educativa».
Ai cattolici “soci fondatori” dell’Italia tocca dunque la testimonianza che genera le opere, poiché «nella battaglia tra libertà religiosa e laicismo […] non è in gioco solo la risposta alla domanda sull’uomo, ma la possibilità stessa di porre pubblicamente tale domanda».
Il richiamo del documento si muove allora sul duplice binario della questione antropologica e dell’esigenza educativa da cui dipende interamente il significato e persino il buon esito dell’impegno pubblico dei cattolici. Il documento lo afferma del resto con chiarezza là dove nota che «la responsabilità per il bene comune, a partire dalla ricerca di forme che siano caso per caso il più possibile adeguate alla libertà religiosa, all’apertura alla vita, al riconoscimento dell’istituto familiare e alla libertà educativa, è qualcosa che da sempre la Chiesa e i cristiani hanno assunto in molti modi e che hanno condiviso con gli uomini e le donne di buona volontà».
È, insomma, nella sostanza, un appello quello che emerge dal contributo di elaborazione e d’impegno delle Settimane sociali dei cattolici italiani - come del resto nella loro migliore tradizione storica -, un appello rivolto anzitutto ai cattolici impegnati con la realtà vivente del contesto italiano attuale, dunque a ogni cittadino italiano di buona volontà a cui non sfugge - non può sfuggire - l’apporto significativo che i cattolici fattualmente offrono a quel concetto tanto concreto quanto spesso travisato o addirittura misconosciuto che è il bene comune. Perché - si legge nel documento - «l’agenda di Reggio Calabria chiede come i cattolici possano contribuire al bene comune del Paese e come continuare il percorso intrapreso nella pastorale ordinaria intercettando la vita quotidiana». E la risposta riposa sulla necessità di «pensare e lavorare a quelle riforme che possono concludere in modo positivo una fin troppo lunga transizione delle istituzioni politiche».
I cattolici debbono cioè affrontare direttamente e responsabilmente «le questioni cruciali» che «riguardano le forme da dare al processo di rafforzamento dell’esecutivo - anche come condizione di più efficaci politiche di solidarietà - e, allo stesso tempo, dell’equilibrio tra i poteri; allo sviluppo di un autentico federalismo unitario, responsabile e solidale; al perfezionamento di un sistema elettorale di tipo maggioritario; alla stabilizzazione dell’assetto bipolare del sistema politico».
La realtà politica dell’Italia odierna - afferma in sostanza la Chiesa italiana -, persino il suo assetto istituzionale, non possono permettersi il lusso di fare a meno dei cattolici, i quali - forti di una verità delle cose che essi non posseggono ma che li possiede – possono farsi significativamente portatori di una intelligenza pratica che può fare la differenza. In meglio.