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INTERVISTA

«Libia, ma perchè gli Usa stanno a guardare?»

Mentre il raìs riguadagna terreno militare sulle tribù ribelli, colpisce l'immobilismo americano. Parla l'analista Gaiani.

Attualità 09_03_2011
Truppe fedeli a Gheddafi

«Sul piano militare, siamo allo stallo». Così fotografa lo scenario libico Gianandrea Gaiani, esperto di strategia e studioso dei teatri di guerra, opinionista del Giornale Radio RAI e di Radio Capital, direttore del mensile web Analisi Difesa, collaboratore de Il Foglio, Libero, Il Sole 24 Ore, Panorama e Gente.

In che senso?
Nonostante le aspettative della comunità internazionale, forse formulate anche un po’ troppo precipitosamente, le truppe fedeli a Muhammar Gheddafi stanno reggendo l’urto dei ribelli. Il tracollo annunciato non c’è stato e addirittura il raìs sembra ora riguadagnare terreno. I ribelli si mantengono lontani da Tripoli e il regime controlla piuttosto bene diverse zone del Paese.

Un sostanziale equilibrio?
Quello in atto è un conflitto decisamente a bassa intensità – credo che anche il numero dei morti verrà presto ridimensionato a cifre più veritiere – e la notizia principale è che Gheddafi, già dato per spacciato, resta invece al suo posto.
Del resto il regime sembra, sul piano militare, godere di salute migliore rispetto alle forze ribelli. Per ammissione delle sue stesse guide, queste ultime sono composte da circa un 60% di civili e per il resto si tratta di militari ammutinati. Insomma, spesso è gente che imbraccia un’arma da fuoco per la prima volta. Più si allontanano da Bengasi, inoltre, più i ribelli mostrano di avere grandi difficoltà logistiche per l’approvvigionamento di viveri e munizioni. Quello che vediamo oggi in Libia resta insomma una rivolta tribale contro il regime, il quale conta però su una organizzazione ben diversa…

Un pronostico sul futuro immediato?
Sempre sul piano militare, la battaglia vera si svolgerà per il controllo del territorio tra la Sirte e i centri petroliferi che Gheddafi vuole assolutamente tenere sotto il proprio scettro. Quanto al resto, è davvero impossibile ipotizzare come andrà a finire.

Con il rischio appunto che Gheddafi resti in sella...
Possibile. E questo sarebbe motivo di imbarazzo enorme per le potenze occidentali, che dopo esserne state giocoforza alleate, sono repentinamente passate alla demonizzazione, salvo poi potersi ritrovare domani a dover tornare sui propri passi…

E se invece Gheddafi dovesse alla fine soccombere?
Altro enorme imbarazzo. Chi sono infatti gl’interlocutori con cui rapportarsi? Ho l’impressione che i comitati dei ribelli siano in realtà luoghi dove capi tribù o guide di piccoli potentati esprimono liberamente la propria opinione, ma senza una reale autorevolezza sull’insieme di quel mondo. Il dopo Gheddafi, cioè, potrebbe rivelarsi un salto nel buio…

Le potenze occidentali potrebbero scegliere davvero l’opzione militare?
Se lo facessero non avrebbero la copertura dell’Onu. Russia e Cina sono contrarie. Si dovrebbe quindi scegliere la via dell’intervento unilaterale degli Stati Uniti, o di essi più qualche alleato.

Oltre che possibile, giudica probabile l’intervento bellico?
Dirlo è arduo. Certamente i toni sono molto accesi. L’Occidente sta intimando a Gheddafi di gettare la spugna sotto la minaccia dell’impiego della forza perché torna quanto ricordato poc’anzi: se la situazione non varia, si rischia che tra un mese la Libia sia governata da un Gheddafi vittorioso che a quel punto guarderà dritto negli occhi l’Occidente che oggi lo condanna… L’Occidente può permetterselo?

Gli Usa avrebbero la forza militare per intervenire? Stanno combattendo in Iraq e in Afghnistan, la Marina è impegnata altrove…
A Washington non serve granché per sbaragliare Gheddafi. A 20 miglia dalle coste libiche sono pronte unità anfibie di marine che, con adeguata copertura aerea, possono liquidare la questione in breve tempo. Basta una portaerei a giusto tiro. Il vero problema è il dopo: a chi lasciare il Paese? Chi controllerebbe le fonti energetiche? Con chi si rapporterebbe l’Occidente? Sul “dopo” incombe peraltro sempre l’incognita islamista, e Gheddafi ha sempre avuto buon gioco nell’accreditarsi come argine sicuro contro il suo dilagare. L’Occidente è costantemente stato al gioco e così tutti, nessuno escluso, han fatto business con il raìs.

E la voglia per intervenire gli Usa ce l’hanno?
Il grande punto di domanda è Barack Obama, che naviga a vista, senza schemi, senza prospettive, forse persino senza coraggio per andare sino in fondo. Oggi la Casa Bianca è assolutamente imprevedibile. Solo un anno fa, quando qualcuno a Washington osò insinuare che forse Gheddafi non era da annoverare tra i “buoni”, scattarono le smentite e il Segretario di Stato Hillary Clinton dovette far pervenire le scuse ufficiali per non perdere preziose concessioni petrolifere. Oggi di Gheddafi si grida l’esatto contrario. La questione vera è che Obama non sa quali pesci pigliare. Tutto è letteralmente possibile.