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OGGI IL VERTICE

Libia, l'incognita Italia nel processo di stabilizzazione

Prende il via oggi con la prima riunione online, il Forum di dialogo politico libico, a tre giorni dalla firma dell'accordo sul cessate il fuoco. Se l’ONU pretendesse anche il ritiro della nostra missione navale di addestramento e cooperazione con la Guardia costiera libica la sicurezza dell’Italia in tema di flussi migratori illegali verrebbe ulteriormente compromessa invece che rafforzata.  

Editoriali 26_10_2020

Prende il via oggi con la prima riunione online, il Forum di dialogo politico libico, a tre giorni dalla firma dell'accordo sul cessate il fuoco. Lo ha annunciato in una nota il rappresentante aggiunto dell'Onu in Libia (Unsmil), Stephanie Williams, confermando che il primo incontro in presenza si terrà invece il 9 novembre a Tunisi. 

L'avvio del Forum di dialogo politico, sottolinea l’Unsmil, "avviene in un momento di eccezionale speranza in Libia" dopo la firma dell'accordo del 23 ottobre scorso, che "ha aperto la strada" alla ripresa dei colloqui intra-libici. 

L'Unsmil precisa che i partecipanti sono stati scelti "sulla base dei principi di inclusività ed equa rappresentanza geografica, politica, economica e sociale" e ci saranno esponenti della Camera dei rappresentanti di Tobruk, dell'Alto consiglio di Stato di Tripoli e "attori politici libici importanti che non sono membri delle due istituzioni". 

L’accordo in 17 punti per il cessate il fuoco firmato a Ginevra il 23 ottobre si basa sulla risoluzione 2510 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che invitava il Comitato militare misto 5+5 (Jmc) a raggiungere e impegnarsi per un accordo per un cessate il fuoco permanente.

Le parti sottolineano l'integrità territoriale della Libia e la protezione dei suoi confini e si impegnano ad astenersi dall’occupare le risorse del paese, a rinunciare alla propaganda reciprocamente ostile, a garantire la libertà di movimento lungo le strade principali (inclusa quella costiera) tra le “due libie” a combattere il terrorismo e a dar vita a una politica nazionale comune condivisa tra tutte le istituzioni politiche e di sicurezza dello Stato nel rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario.

Il cessate il fuoco è entrato in vigore con la firma dell’accordo ma le due forze libiche si impegnano a smobilitare e disarmare le milizie i cui membri verranno inseriti nelle strutture del futuro Stato libico e a costituire “una forza militare limitata" composta da truppe di GNA e LNA inquadrata in una "Sala operativa stabilita dal JMC 5+5 per prevenire le violazioni".

Se quest’ultimo sembra essere un punto che potrebbe mostrare criticità, tenuto conto che le forze di Tripoli sono composte da diverse milizie, un altro punto potrebbe rivelarsi ancor più arduo da attuare. 

L’intesa infatti prevede entro 3 mesi il ritiro dalla Libia di tutti i combattenti e mercenari stranieri e la sospensione di tutti gli accordi di addestramento sottoscritti con altri Stati dal Governo di accordo nazionale (GNA) con sede a Tripoli e dall'Esercito nazionale libico (LNA) con quartier generale a Bengasi, finchè non vi sarà un nuovo governo.

Un aspetto delicato poiché sembra imporre a turchi, russi ed emiratini di ritirare le proprie forze, i mercenari e i consiglieri militari schierati nella ex colonia italiana di fatto pretendendo che le potenze egemoni oggi in Libia rinuncino alla loro presenza militare.

A supporto di Tripoli i turchi schierano centinaia di istruttori e consiglieri militari oltre a reparti di difesa aerea, velivoli (inclusi droni), unità navali e qualche migliaio di mercenari siriani.

A sostegno delle forze del generale Khalifa Haftar la Russia schiera, non ufficialmente, circa 3mila contractors della compagnia militare Wagner (che si sono da pochi giorni ritirati dalle installazioni petrolifere della “Mezzaluna” di Sidra e Ras Lanuf nel Golfo di Sirte) con una ventina di aerei da combattimento Mig e Sukhoi mentre gli Emirati Arabi uniti hanno inviato in Libia mercenari sudanesi e ciadiani oltre a disporre di aerei, droni ed elicotteri basati in Cirenaica.

Da chiarire se questo punto dell’accordo possa riguardare anche l’Italia che in base alle recenti intese con il GNA dovrebbe contribuire ad addestrare le forze di Tripoli e già schiera a Misurata una missione militare sanitaria e nel porto tripolino di Abu Sitta una missione della Marina Militare che assiste e addestra la Guardia costiera libica (da pochi giorni addestrata anche dai militari turchi) occupandosi anche della manutenzione delle motovedette e coordinando le attività in mare contro i flussi di immigrati illegali diretti in Italia.

Il ruolo dei militari italiani in Libia non ha mai avuto nulla a che fare con gli scontri tra GNA e LNA e va chiarito se la norma approvata a Ginevra abbia o meno un impatto soprattutto sulla missione navale italiana il cui ritiro non cambierebbe nulla nella gestione della crisi tra le fazioni libiche ma favorirebbe senza dubbio l’intensificarsi dei flussi di migranti illegali verso Lampedusa e la Sicilia indebolendo le capacità della Guardia costiera di Tripoli.

Per questo sorprende che nella reazione dell’Italia all’accordo di Ginevra, che si associa al plauso espresso da quasi tutti gli Stati coinvolti nella crisi (Francia, Egitto, Ue, Russia, Germania…), non venga posta in evidenza questa possibile criticità. Per il ministro degli Esteri Luigi Di Maio l'accordo di Ginevra rappresenta "un passaggio di grande rilievo per la sicurezza del nostro Paese e dell'intero Mediterraneo. Tripoli dista circa 250 chilometri in linea d'aria dalle nostre coste e la stabilizzazione della Libia è fondamentale per controllare i flussi migratori irregolari e combattere i gruppi terroristici che infestano il Sahel”.

Tutto vero ma se l’ONU pretendesse anche il ritiro della nostra missione navale di addestramento e cooperazione con la Guardia costiera libica la sicurezza dell’Italia in tema di flussi migratori illegali verrebbe ulteriormente compromessa invece che rafforzata.  

Tra gli Stati che schierano forze militari in Libia l'accordo per il cessate il fuoco permanente è stato definito un "passo importante" dal portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova che ha auspicato un "dialogo politico globale e sostenibile, con l'obiettivo finale di ripristinare l'unità del Paese, creare organi di governo capaci e rilanciare la sua infrastruttura socioeconomica". 

Mosca però ha sempre negato di avere truppe in Libia dal momento che gli uomini della Wagner appartengono a una società privata, circostanza duramente condannata soprattutto dagli Stati Uniti ma che indubbiamente consente alla Russia una maggiore autonomia e disinvoltura.

Improntata allo scetticismo la reazione della Turchia. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha sottolineato il basso livello dei funzionari militari del JMC che hanno firmato l’intesa di Ginevra. “L’accordo di cessate il fuoco non è stato raggiunto al massimo livello, ma a un livello inferiore e mi sembra manchi di credibilità" ha detto Erdogan azzardando un parallelo con l’accordo per il cessate il fuoco tra armeni e azeri in Nagorno Karabakh a cui hanno fatto seguito nuovi scontri che Ankara attribuisce a violazioni compiute dall’Armenia.

In realtà se l’accordo mediato da Mosca per il cessate il fuoco tra armeni e azeri spiazza la Turchia affidando il negoziato di pace al Gruppo di Minsk (Russia, USA e Francia), quello per il cessate il fuoco in Libia rischia di imporre il ritiro delle truppe turche benché un accordo di cooperazione militare tra Ankara e Tripoli attribuisca ai militari turchi l’uso di basi aeree e navali in territorio libico che assicurano alla Turchia un ruolo di potenza nel Mediterraneo centro-orientale. Difficile credere che Erdogan sia pronto a rinunciarvi.