Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
CRISI DEL PAESE DEI CEDRI

Libano, da "Svizzera" a colonia povera dell'Iran

A Beirut il ministro degli Esteri iraniano viene accolto da manifestazioni di protesta. Il Libano è in ginocchio a causa della crisi economica e l’Iran, che si presenta come una soluzione, viene invece visto (non a torto) come parte principale del problema, a causa di Hezbollah, sua emanazione locale, che ha creato uno Stato parallelo

Esteri 07_10_2021
Manifestazione contro l'Iran a Beirut

A Beirut il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian viene accolto da manifestazioni di protesta. Il Libano è in ginocchio a causa della crisi economica e l’Iran, che si presenta come una soluzione, viene invece visto (non a torto) come parte principale del problema.

Per comprendere appieno il malumore dei libanesi occorre ripercorrere almeno le tappe principali del loro calvario. La crisi è scoppiata nel 2019, dopo che le banche del Paese hanno chiuso gli sportelli. La popolazione è scesa in massa a protestare dopo che tutti i prezzi hanno incominciato a lievitare. A causa delle proteste di piazza, che hanno caratterizzato gli ultimi mesi del 2019, il governo di Saad Hariri ha rassegnato le dimissioni. Nei primi mesi del governo successivo, guidato da Hassan Diab, il Libano ha fatto default. Il governo ha annunciando che non sarebbero stati ripagati gli interessi sul debito pubblico, il 9 marzo 2020. Contemporaneamente iniziava la pandemia di Covid-19 e per un Paese che, sin dalla fine della Guerra Civile (1975-1990) aveva puntato tutto su servizi e turismo, è stato un vero colpo di grazia. Come se non bastasse ancora, il 4 agosto 2020, è esploso un deposito carico di nitrato di ammonio, lasciando sul terreno 200 morti e circa 250mila senza-tetto, distruggendo il porto commerciale della capitale (il principale punto di accesso delle importazione) e le più grandi riserve di grano del Paese. Il governo Diab si è dimesso e per 13 mesi il Paese dei Cedri è rimasto senza esecutivo, fino alla nomina, lo scorso settembre, del nuovo governo guidato da Nagib Mikati, un imprenditore accusato dai movimenti di protesta anti-corruzione, di essere responsabile della crisi quanto i suoi predecessori. Attualmente il 55% della popolazione libanese vive sotto la soglia di povertà, secondo le stime della Banca Mondiale. Scarseggiano il cibo, le medicine, il carburante.

Prima della Guerra Civile il Libano era considerato come una Svizzera orientale. Neanche il conflitto di 15 anni aveva spinto il Paese alla bancarotta. Le cause della crisi economica sono molteplici e molte ancora da chiarire. La causa di breve periodo è lo scoppio di una bolla finanziaria causata da una sorta di “schema Ponzi” adottato dalla Banca Centrale per incoraggiare depositi di valuta estera: offriva tassi di interessi di volta in volta più alti, che però non riusciva a ripagare, quindi ne offriva di più alti per incoraggiare nuovi depositi con cui ripagare i precedenti. Quando gli investitori hanno dubitato della sostenibilità del sistema e hanno smesso di depositare, le banche hanno bloccato il prelievo dei dollari da parte dei cittadini, mentre la lira libanese perdeva rapidamente il suo valore. Prima dello scoppio del sistema finanziario, l’economia libanese era stata colpita, nel 2018, dal calo del prezzo del petrolio e dal ritiro del sostegno economico saudita nel 2016, quando il governo di Beirut non aveva condannato l'attacco alle missioni diplomatiche saudite in Iran.

La causa di più lungo periodo, però, risiede in una spesa pubblica fuori controllo che ha generato il terzo debito più alto del mondo (dopo Giappone e Grecia), pari al 170% del Pil (al momento dei default). E la spesa è stata aumentata soprattutto per motivi di clan e clientela. Perché il Libano, anche dopo la Guerra Civile, è una realtà estremamente frammentata. La pace, oltre ad essere garantita da una divisione dei poteri su base confessionale (il presidente è cristiano, il premier musulmano sunnita, il presidente del Parlamento musulmano sciita), è mantenuta da un sistema di redistribuzione di cariche, aziende, posti di lavoro e ricchezza pubblica ai membri del proprio clan o della propria fazione politico-religiosa. Questo è anche il motivo per cui il Libano non intende affrontare le riforme di austerity richieste dai creditori internazionali come condizione per gli aiuti economici.

L’Iran e il suo braccio armato locale, Hezbollah (il “Partito di Dio” che risponde direttamente all’ayatollah iraniano, per suo stesso statuto) sono parte in causa di questo giro di corruzione. Hezbollah ha un esercito che, di fatto, è potente quanto quello regolare e ha costituito un suo Stato parallelo, con un proprio bilancio e sue attività economiche non controllabili. L’esempio più recente è stato a metà settembre, con l’importazione di un carico di carburante dall’Iran, direttamente in territorio Hezbollah, da un valico di frontiera controllato dalla sua milizia e aggirando sia le sanzioni internazionali (imposte all’Iran), sia il controllo dello Stato libanese. A questa palese violazione della legge, il governo non ha reagito. Sempre di Hezbollah era il controllo dei depositi di nitrato di ammonio, esplosi nel 2020. E se le indagini sono ferme, è perché il giudice istruttore Bitar Tarek è stato minacciato (con dichiarazioni anonime riportate da giornalisti) dal Partito di Dio. Nonostante tutto, Hezbollah si presenta come il salvatore del popolo in tempi di crisi. Ha infatti promesso di usare tutto il carburante ricevuto per riavviare opere di bene e nelle città ridotte alla fame si sostituisce ad un welfare state che non c’è più. Paradossalmente, pur essendo fra le cause della crisi, Hezbollah si presenta come la soluzione.

La sua grande ipocrisia è denunciata anche dal patriarca maronita Beshara Raï che, in vista della visita del ministro iraniano, ha dichiarato, con coraggio: “Il Libano ha bisogno di liberarsi dei furbi e dei mentitori che sfruttano la bontà della gente con il loro discorsi al miele”. Quando, in realtà, “si dedicano alla corruzione e si appropriano indebitamente di fondi pubblici mentre lo Stato crolla”. “Il Libano non può più sopportare che si continuino ad arrotondare gli angoli, che si cerchi di conciliare la legge con ciò che non riguarda il diritto, la sovranità con la subordinazione, l’assassino con la vittima”. Nel denunciare lo Stato parallelo di Hezbollah, il capo della Chiesa maronita, è stato esplicito: “Non possiamo pretendere di preservare la sovranità libanese e lasciare aperti passaggi illegali, né lasciare posizioni strane, dannose per questa stessa sovranità, senza risposta o reazione. Non possiamo sostenere la legalità e tollerare la presenza di armi (illegali) e il disprezzo per le istituzioni attraverso la costituzione di un esercito dipendente da uno Stato straniero, per stessa ammissione di un alto funzionario di quello Stato”, riferendosi a Gholam Ali Rachid, ufficiale delle Guardie Rivoluzionarie che ha ammesso l’esistenza di eserciti iraniani all’estero, fra cui, appunto, Hezbollah in Libano.