Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Cecilia a cura di Ermes Dovico
RADICI CRISTIANE

L’Europa e san Benedetto spiegati da Wojtyla

Nella lettera apostolica Sanctorum Altrix, pubblicata per il XV centenario della nascita di san Benedetto, Giovanni Paolo II ricordava il profondo connubio tra l’opera del santo da Norcia e la civiltà europea. E partendo dal significato di essere uomo, dai suoi bisogni, il Papa polacco spiegava un principio che dovrebbe far riflettere i governanti di oggi.

Ecclesia 11_07_2021

«Quando egli moriva nell’anno 547, già erano state gettate le solide fondamenta della disciplina monastica, la quale, specialmente dopo i sinodi dell’epoca carolingia, divenne il monachesimo occidentale. Questo, poi, attraverso le abazie e le altre case benedettine, diffuse per ogni dove, costituì la struttura della nuova Europa, dell’Europa, diciamo, alle cui “popolazioni sparse dal Mediterraneo alla Scandinavia, dall’Irlanda alle pianure della Polonia, egli principalmente e i suoi figli portarono con la croce, con il libro e con l’aratro, la civiltà cristiana”».

Così san Giovanni Paolo II - rifacendosi anche alla Pacis Nuntius di san Paolo VI - esprimeva il profondo connubio tra san Benedetto da Norcia e le radici cristiane dell’Europa. Giovanni Paolo II scriveva queste indelebili parole nella lettera apostolica Sanctorum Altrix, pubblicata proprio per il XV centenario della nascita di san Benedetto. Era l’11 luglio 1980.

Otto anni dopo, Wojtyla volle esprimere, con ancora più forza, le sue “idee europeiste” facendo una visita ufficiale al Parlamento Europeo. Era l’11 ottobre 1988. Ed era la prima volta che un pontefice entrava nell’aula di Strasburgo. Era un atto forte, importante per la storia della Chiesa. Un segnale, decisamente, anche politico. Le parole del pontefice polacco - un anno prima della caduta del muro di Berlino - indicavano l’impegno della Chiesa per la costruzione dell’Europa. Dirà, infatti, san Giovanni Paolo II: «Come potrebbe la Chiesa disinteressarsi della costruzione dell’Europa, lei che è radicata da secoli nei popoli che la compongono e che ha condotto un giorno al fonte battesimale popoli per i quali la fede cristiana è e rimane uno degli elementi della loro identità culturale?».

Karol Wojtyla parla di identità culturale. Un’identità che guarda profondamente alla dimensione morale e spirituale del continente europeo: per lui, era importante rileggere la storia e ricordare che nel corso dei secoli - proprio a partire da quel monachesimo “europeo” di san Benedetto da Norcia - i valori antropologici, morali e spirituali cristiani hanno largamente contribuito a modellare le diverse nazioni e a tessere i legami profondi tra loro. Sono stati proprio questi valori il fondamento dei rapporti tra le persone e tra i popoli europei. Per Wojtyla - facendo capo sempre al santo di Norcia - i rapporti e i vincoli tra i diversi Paesi non potevano fondarsi unicamente sugli interessi economici o politici, oppure su delle alleanze di convenienza. Bensì, c’era ben altro: la visione profondamente antropologica che rappresentava parte viva del magistero di Giovanni Paolo II.

Per il pontefice polacco, per comprendere l’unione dei popoli europei era importante prima di tutto capire: cosa vuol dire essere uomo? Quali sono i suoi bisogni materiali e spirituali? Solo partendo da queste domande, è possibile delineare la visione dell’Europa di Giovanni Paolo II. Entrare nell’idea antropologica dell’uomo - inteso come “figlio di Dio”, abitante di questa terra, “sognata” da Paolo VI come “civiltà dell’Amore” - vuol dire rifarsi alla concezione dell’ora et labora della Regola benedettina: «L’uomo, nella visione di san Benedetto, non può essere considerato una macchina anonima da sfruttare con l’unico intento di trarne i massimi profitti, affermando che l’operaio non merita alcuna considerazione morale e denegandogli la giusta mercede. Si deve infatti ricordare che in quel tempo il lavoro era fatto ordinariamente da schiavi ai quali non si riconosceva la dignità di persone umane. Ma san Benedetto ritiene il lavoro, per qualsiasi motivo esercitato, parte essenziale della vita, e obbliga ad esso ciascun monaco per dovere di coscienza» (SA, 5).

E, poi, Wojtyla continua con uno dei passaggi più importanti del documento, che dovrebbe far riflettere molto i governanti di oggi:

«L’Europa è divenuta terra cristiana, specialmente perché i figli di san Benedetto hanno comunicato ai nostri antenati una istruzione che abbracciava tutto, insegnando appunto loro non solo le arti e il lavoro manuale, ma anche, specialmente, infondendo in loro lo spirito evangelico, necessario per proteggere i tesori spirituali della persona umana».

Leggendo le parole persona umana, arti e lavoro manuale, spirito evangelico, una domanda si fa presente nel mondo d’oggi: l’Europa - per non rimanere astrazione, ma realtà concreta - non dovrebbe ritornare a guardare questi punti?