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IL BUON USO DELLE PAROLE / 5

L'estinzione di retorica e logica. Perché reintrodurle

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Come può uno studente scrivere e parlare bene se non conosce le discipline  alla base di un discorso consequenziale, logico e ben scritto? Sparite dall'insegnamento, andrebbero riscoperte.

Cultura 26_02_2024

Non è possibile separare, come sostiene la prassi pedagogica contemporanea, la competenza dalla cultura. Il saper fare viene acquisito anche attraverso l’apprendimento di un sapere, mentre, ancora una volta, la contemporaneità fa rima con specializzazione e separazione.
Un tempo non c’era la parcellizzazione del sapere, ma un particolare come le figure retoriche (l’ornatus) era collegato al senso più complessivo del saper ben parlare e ben scrivere, cioè saper colorire l’espressione. La cultura di un tempo sapeva tenere assieme il dettaglio con il suo significato e la sua funzione. Oggi la specializzazione e la settorializzazione degli studi rischiano di perdere di vista il disegno più complessivo.
Così, nella scuola la retorica è ridotta allo studio delle figure retoriche, a quella che è una componente dell’elocutio, ovvero l’ornatus, un solo pezzo di quel gigantesco puzzle che è la disciplina.

Chi studia le tecniche di mnemonica a scuola? Non solo non si studiano, ma sempre più si ritiene inutile far apprendere a memoria poesie e versi. Lo studente si iscriverà più tardi ad uno dei tanti corsi che promettono di far acquisire memorie prodigiose. Chiunque insegni o svolga attività in cui è centrale il rapporto con un uditorio sa bene quanto sia incisiva l’esposizione degli argomenti senza consultare appunti o libri. Chi parla deve possedere una memoria che gli permetta di esporre senza far riferimento al testo scritto o alla scaletta.
Ma se il ragazzo fosse posto di fronte all’evidenza che la facoltà di ben parlare, di ben scrivere e di persuadere sono fondamentali nella quotidianità e vengono utilizzate in modo consapevole o inconsapevole sempre, non nutrirebbe il desiderio di studiarla e di possederla? Se lo studente avvertisse il fascino di saper parlare e scrivere bene, forse non percepirebbe addirittura come insostituibile lo studio della retorica a scuola?
La retorica dovrebbe essere reintrodotta come disciplina a sé stante. Così pure dovrebbe essere contemplato a scuola lo studio della logica, basilare per il ragionamento, per la discussione, per il dibattito e per la scrittura.

Se dovessimo sottoporre agli studenti un semplice sondaggio per verificare se sappiano che cosa siano la retorica e la logica, quali differenze intercorrano tra le due discipline, vedremmo quasi certamente che la maggior parte dei ragazzi non saprebbero rispondere in modo corretto. Escono, spesso, da un percorso di scuole superiori di secondo grado senza conoscere neppure i fondamenti di queste due discipline.
Chiediamo agli studenti del quinto anno se sappiano in quali discipline a scuola vengano applicate logica e retorica. Chiediamo loro quale sia la differenza tra «persuadere» e «convincere». L’esito del sondaggio ci direbbe che la maggior parte degli studenti di un Liceo non sa esattamente cosa siano logica e retorica.
Ma è davvero possibile che non si possano porre i fondamenti della retorica e della logica come basilari per la formazione?

Un tempo, le arti liberali, cioè le discipline degne di un uomo libero, contrapposte alle arti meccaniche, si componevano del trivio e del quadrivio. Il trivio, dedicato alle discipline umanistiche, era costituito da grammatica (cioè il latino), retorica e dialettica (che comprende in un certo senso la logica).
Delle discipline del trivio si è salvata la grammatica, mentre retorica e dialettica si sono estinte. Come può allora uno studente scrivere e parlare bene se non conosce le due materie che sono alla base di un discorso consequenziale, logico e ben scritto?
La logica ha come fine «convincere». Il verbo latino «vincio» ha il valore di «avvinghiare», «tenere legato». «Convincere» significa, quindi, dimostrare una tesi partendo da dati, ipotesi di partenza considerate veritiere, utilizzando passaggi che siano consequenziali e strettamente vincolati tra loro. Se sono veritieri i dati di partenza, anche il discorso sviluppato con logica avrà i caratteri della veridicità.
La retorica, invece, ha come fine la persuasione, che non è di necessità collegata alla verità e alla bontà del contenuto. Si può persuadere qualcuno anche a compiere cattive azioni, perfino crimini efferati. Per questo Cicerone insiste sulla necessità di formare un oratore onesto, che abbia sani principi e che si muova per il bene.
La retorica non può essere sostituita dalla storia letteraria del triennio né tantomeno dall’abbuffato quanto indigesto studio dei generi letterari del biennio che spesso sgretola le opere e le utilizza per far acquisire competenze, ma spesso crea disaffezione nei ragazzi per la letteratura e l’arte.

Alla base della logica e della retorica deve esserci l’arte del pensare e del ragionare. Ma la scuola educa davvero a pensare e a ragionare? Ritengo giusto dirlo, non come provocazione, ma perché ne sono profondamente convinto: una vera riforma della scuola non può smantellare la cultura in nome di mode pedagogiche che si modificano ogni cinque o dieci anni.
Introduciamo nuovamente le discipline della retorica e della logica in qualsiasi scuola superiore e anche all’università: non sono nuove, ma due delle più antiche, basilari per la formazione anche di uomini di scienza come Galileo Galilei. Nel corso dei secoli sono state eliminate, ma non a ragion veduta.
Tutti gli insegnanti, senza distinzione, dovrebbero avere competenze retoriche e non soltanto specifiche inerenti la loro materia.
Sono forse secondarie la capacità comunicativa e la chiarezza espositiva nell’insegnamento?



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