Leopardi, la domanda religiosa e il mistero della sua morte da cristiano
In un mondo in cui sembrano dominare l’homo oeconomicus, che pensa a soddisfare i suoi bisogni e i piaceri, e l’homo technologicus, che provvede a fare e a realizzare sempre meglio, Leopardi riporta in primo piano l’unico uomo che sia veramente tale, che non sia bestia e gregge. Quell’homo religiosus con le sue domande sulla vita e sul destino, che permangono oggi come un tempo con tutta la loro urgenza di risposta e che riecheggiano con potenza nei versi del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia quando il poeta si rivolge alla Luna: «Ove tende/ Questo vagar mio breve,/ Il tuo corso immortale? […] Che fa l’aria infinita, e quel profondo/ Infinito sereno? […] E io che sono?».
Nella società dove comandano i bisogni Leopardi chiarisce il vero e originario desiderio dell’uomo (di felicità, di amore e di bellezza) e ci parla di un cuore che è capacità di Infinito, proprio come se fosse un contenitore che non può mai essere colmato da beni terreni finiti.
Ciò che occorre davvero al lettore di Leopardi è un cuore aperto e che domandi la vita. Solo un cuore che palpiti e che percepisca l’abisso di vita che provava Leopardi può cogliere il vero valore della sua opera. Leopardi, come pochi altri, riesce a ricordarci la vera statura dell’uomo e la grandezza del suo desiderio.
Nell’aperitivo di oggi, partendo dalla domanda di felicità di Leopardi, affronteremo in sintesi il suo rapporto con il cristianesimo. È vero che morì da cristiano?