Leone XIV per i 500 anni di Giovanni Pierluigi da Palestrina
La tradizione polifonica romana è ancora oggi un punto di riferimento: così il Papa nell'udienza di mercoledì scorso per il V centenario della nascita del grande compositore.

Chi canta prega due volte, diceva sant'Agostino. Ma è importante anche come canta. Cinquecento anni fa nasceva Giovanni Pierluigi da Palestrina, modello della tradizione polifonica romana che ancora oggi il Papa ha indicato come riferimento nell'udienza di mercoledì scorso in Sala Regia ai partecipanti all'evento promosso dalla Fondazione Domenico Bartolucci. Per inciso, Bartolucci, scomparso nel 2013, è stato a sua volta protagonista di quella tradizione in qualità di maestro "perpetuo" della Cappella Musicale Pontificia Sistina fino all'inspiegabile allontanamento avvenuto negli anni Novanta (sul "caso Bartolucci" si veda quanto scrisse a suo tempo Sandro Magister). Benedetto XVI all'inizio del suo pontificato gli aveva rivolto parole di grande elogio in occasione di un concerto tenuto proprio nella Cappella Sistina e volle crearlo cardinale nel 2010.
Tornando al 2025 e al V centenario di Palestrina, Leone XIV lo ha definito «uno dei compositori che più hanno contribuito alla promozione della musica sacra, per "la gloria di Dio e la santificazione ed edificazione dei fedeli", nel contesto delicato, e al tempo stesso entusiasmante, della Controriforma. Le sue composizioni, solenni e austere, ispirate al canto gregoriano, uniscono strettamente musica e liturgia, "sia dando alla preghiera un’espressione più soave e favorendo l’unanimità, sia arricchendo di maggior solennità i riti sacri"».
La polifonia è «una forma musicale carica di significato, per la preghiera e per la vita cristiana», ha detto Leone XIV nel suo discorso – citando alternativamente il motu proprio Inter sollicitudines di san Pio X e la Sacrosanctum concilium del Vaticano II – poiché «si ispira al Testo sacro, che si propone di "rivestire con acconcia melodia" perché giunga meglio "all’intelligenza dei fedeli"». E lo fa «affidando le parole a più voci», «nel rispetto delle regole del contrappunto, rendendole le une eco delle altre, a volte creando anche dissonanze, che poi trovano risoluzione in nuovi accordi» – immagine «del nostro comune cammino di fede sotto la guida dello Spirito Santo».
Una «ricchezza di forma e di contenuto» di cui abbiamo ancora bisogno, poiché «la tradizione polifonica romana, oltre ad averci lasciato un patrimonio immenso di arte e spiritualità, continua ad essere anche oggi, in campo musicale, un punto di riferimento a cui guardare, pur coi dovuti adattamenti, nella composizione sacra e liturgica, affinché attraverso il canto "i fedeli partecipino pienamente, consapevolmente e attivamente alla liturgia", con profondo coinvolgimento di voce, mente e cuore». Ne è «un esempio per eccellenza» la Missa Papae Marcelli di Palestrina, così come «il prezioso repertorio di composizioni lasciatoci dall’indimenticabile Cardinale Domenico Bartolucci». Tra cui, O sacrum convivium, eseguita anche il 9 maggio durante la prima Messa del neoeletto Leone XIV.