Leone XIV: la sfida dell’IA ripropone la domanda sull’uomo
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Il Papa ricorda che non è possibile affrontare le questioni poste dal mondo digitale senza riferirsi alla natura e alla dignità umana irriducibile a qualsiasi androide. Ecco perché un approccio esclusivamente etico non è possibile aggirando la questione antropologica.

Prima i fatti e poi il giudizio sui fatti. Questo in sintesi il concetto di fondo di un breve passaggio contenuto nel Discorso del Santo Padre Leone XIV ai partecipanti al Simposio promosso dalla Pontificia Accademia di Teologia, discorso tenuto il 13 settembre scorso.
Il passaggio che vogliamo mettere sotto la lente d’ingrandimento è il seguente: «non basta un approccio esclusivamente etico al complesso mondo dell’intelligenza artificiale; occorre invece riferirsi a una visione antropologica che fondi l’agire etico e, dunque, ritornare alla domanda di sempre: chi è l’uomo, qual è la sua dignità infinita, irriducibile ad ogni androide digitale?».
Il Papa ricorda un aspetto ineludibile della filosofia morale: prima di giudicare occorre conoscere i fatti. È un dato intuibile. Se vogliamo capire di chi è la colpa in un incidente stradale dobbiamo prima capire come sono andati i fatti, ossia la dinamica dell’incidente. In questo caso il fatto riguarda le azioni degli uomini, nel passo citato del Papa invece questi fa riferimento all’uomo in quanto tale. Cosa vuol dire? Il Pontefice correttamente ci avverte che per formulare un valido giudizio morale sull’intelligenza artificiale (IA) occorre comprendere chi sia l’uomo realmente, come è “fatto”, perché solo tramite la comprensione dell’identità antropologica potremo capire la differenza tra persona umana e IA e dunque capire che solo la persona è essere razionale, non la macchina o un software, perché sprovvista di anima razionale. Questa differenza ontologica ci fa comprendere che l’uomo, proprio perché dotato di anima razionale, ha natura completamente differente rispetto alla natura dell’IA – è assolutamente altro – e non solo è differente per natura da questa, ma, avendo natura differente, ha una preziosità intrinseca incommensurabile e non paragonabile minimamente con l’IA.
E dunque, così ci dice il Papa, le sfide poste dall’IA ci obbligano ad approfondire la questione antropologica: chi è l’uomo? Quale la sua natura? Quale la sua identità? Affermare che una macchina è intelligente ci costringe a comprendere meglio cosa sia l’intelligenza e quindi a concludere che solo un essere dotato di anima razionale può essere intelligente, non una macchina o un software che è privo di anima. Alcuni atti, quali l’astrazione, il giudizio morale, la coscienza di sé, la libertà, etc., non possono scaturire da una causa materiale, ma solo immateriale. E l’IA è fatta solo di materia (clicca qui e qui per un approfondimento).
L’indicazione del Papa ricorda, quindi, che prima della morale c’è la gnoseologia. La morale si fonda sulla conoscenza della persona umana in quanto persona. In modo più analitico dovremmo dire che occorre conoscere la natura della persona umana per comprendere quali siano i suoi fini e quindi le sue esigenze. E questo vale per giudicare rettamente non solo l’IA, ma tutte le altre realtà e azioni dell’uomo. Facciamo un paio di esempi.
Se do dell’acqua ad una pianta faccio il suo bene, perché – per come è fatta la pianta, ossia nel rispetto della sua natura – la pianta ha bisogno dell’acqua per vivere. L’acqua soddisfa un suo bisogno naturale, cioè legato alla sua natura, e dunque è bene – giudizio morale – innaffiarla. Di contro, se dessi della benzina alla pianta questa morirebbe, perché, per come è fatta la pianta, la benzina può solo danneggiarla. All’opposto, se inserisco della benzina nel serbatoio di un’auto è, in astratto, un’azione buona perché, per come è fatta l’auto, questa necessita della benzina. Se immetto nel serbatoio acqua, danneggio l’auto, proprio perché l’auto, in genere, non è costruita per usare come combustibile acqua, ossia la sua “natura” esige benzina e non acqua.
Lo stesso vale per l’uomo. Se andiamo a studiare la sua natura scopriamo che ogni persona ha bisogno, ossia desidera, anela, tende ad alcuni fini, ad alcuni beni: la vita, la salute, la conoscenza, la socialità, la trascendenza, etc. Se diamo all’uomo tutto questo, l’uomo, al pari della pianta, fiorisce, vive pienamente. È come se avessimo dato acqua alla pianta. Se invece diamo all’uomo il contrario di questi beni – morte, malattie, menzogna, individualismo, ateismo, etc. – l’uomo appassisce e muore, a volte fisicamente (ad esempio se lo uccidiamo), ma sempre metafisicamente, ossia muore nell’anima. È come se avessimo dato benzina alla pianta.
Leone XIV dunque correttamente ci rammenta che non possiamo formulare giudizi corretti se prima non conosciamo altrettanto correttamente l’ontologia della persona umana, la sua natura, le sue esigenza profonde. Una natura che è il sinolo, ossia l’unione strettissima di due principi: uno materiale, il corpo che ha le sue esigenze, ed uno formale, l’anima che anch’essa ha le sue esigenze. Le varie ideologie che predicano la teoria gender, il femminismo, l’ateismo, l’ecologismo, l’aborto, l’eutanasia, la fecondazione artificiale, il divorzio, etc. non conoscono realmente l’uomo, ma hanno fabbricato artificiosamente un’idea di uomo che non corrisponde alla realtà – è un uomo astratto – e dunque vorrebbero somministrare a tutti noi veleno, spacciandolo per buon cibo.
Queste idee hanno una visione antropologica in cui maschio e femmina sono uguali in tutto; in cui qualsiasi orientamento sessuale è naturale perché non è vero che per sua natura il maschio è attratto dalla femmina e viceversa; in cui l’uomo non è identificato da un suo sesso biologico, ma lo può cambiare; in cui la persona umana vale uguale o meno di animali, piante e ghiacciai; in cui l’uomo non è persona sin dal concepimento e quindi si può uccidere o fabbricare in laboratorio; in cui la persona perde valore se è affetta da patologie, se soffre o se manca di alcune funzioni; in cui uomo e donna non sono chiamati a vivere insieme nel matrimonio per tutta la vita, etc. Il giudizio erroneo sulla persona umana in quanto tale porta di conseguenza a scegliere una certa morale altrettanto erronea.
Il richiamo ad una corretta antropologia fatto dal Papa è perciò un richiamo a fondare razionalmente e dunque solidamente la morale naturale. Perché se non conosci l’uomo, non puoi fare il suo bene. Non si può amare chi non si conosce.
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