Leone Magno: lotta contro le eresie, perdono e liturgia
Papa Leone Magono condannò le eresie nella Chiesa di chi parlava solo della divinità o solo dell'umanità di Cristo. Quanto ai colpevoli scrisse: «Può darsi che il Signore abbia permesso tale prova perché venissero smascherati. Ma mai procedere a cuor leggero nei loro confronti». E insegnò che la liturgia cristiana non è il ricordo di avvenimenti passati, ma l’attualizzazione di realtà invisibili che agiscono nella vita di ognuno.
La Chiesa cattolica ha avuto, nel corso della sua lunga storia, tanti Papi di eccezionale valore umano e spirituale. Ci sono stati anche Papi umanamente indegni, ma questo fa parte delle cose di questo mondo. Siamo sempre chiamati alla conversione, noi come i Papi. Fra i grandi un posto speciale lo occupa Leone I, che tutti conosciamo con il nome di Leone Magno (390-461) e che la Chiesa cattolica festeggia il 10 novembre.
Questo Pontefice, di cui non sono ben chiare le origini, si trovò ad operare in un tempo di prova per la vita della Chiesa, tempo di prova che in fondo è tutta la storia della salvezza, palcoscenico per il combattimento fra il bene e il male. Con Costantino la Chiesa aveva avuto una nuova libertà dopo le persecuzioni dei primi secoli, con una particolarmente sanguinosa proprio all’inizio del IV secolo. L’Editto di Milano, come detto, aveva aperto una nuova pagina per l’azione della Chiesa, ma questo non faceva cessare i problemi, come per esempio le eresie.
Papa Leone si trovò a combattere contro le invasioni barbariche che minacciavano Roma e contro le tendenze eretiche nella Chiesa, a suo tempo rappresentate specialmente da Eutiche e Nestorio. I due rappresentavano due tendenze eretiche opposte: Eutiche affermava che la natura umana in Cristo era completamente assorbita da quella divina (monofisismo) mentre Nestorio metteva la sua enfasi sulla umanità di Cristo a scapito della sua divinità (Nestorianesimo). Il Concilio di Calcedonia convocato nel 451 sotto papa Leone servirà proprio per ribadire la perenne dottrina Cattolica: «Il santo sinodo anatematizza tutti coloro che hanno potuto pensare che, nel Signore Gesù, prima dell’unione, vi erano sì due nature ma che, ad unione avvenuta, ve ne sia una soltanto. Tenendo perciò fede al magistero dei santi Padri, tutti noi – unanimemente – insegniamo che occorre confessare che il Figlio e Signore nostro Gesù Cristo è uno solo e sempre il medesimo. Insegniamo altresì che egli è egualmente sempre lo stesso e perfetto quanto alla divinità, lo stesso e perfetto quanto all’umanità. Insegniamo che egli è vero Dio, che è anche vero uomo, e che consta di anima razionale e di corpo vero; che è consostanziale con il Padre quanto alla divinità; consostanziale con noi quanto alla natura umana, in tutto simile a noi, fuorché nel peccato. Affermiamo che è stato generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità; ma che, – negli ultimi tempi – per noi, per la nostra salvezza, è nato dalla madre e Vergine Maria, madre di Dio secondo la natura umana. Insegniamo altresì che Cristo, Figlio di Dio, è uno solo ed è sempre lo stesso, unigenito (dal Padre), in due nature, non confuse tra di loro, immutabili e tali che non si possono dividere».
Questo concetto era stato ben presentato da papa Leone nella sua Lettera a Flaviano, Vescovo di Costantinopoli: «Per scontare il debito della nostra colpa d’origine piombata nella condizione terrena, la natura divina che non soffre variazioni di sorta, s’è voluta unire alla nostra che è passibile. Per fare quanto era congruente a portare rimedio al nostro essere, l’unico e medesimo mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Gesù Cristo, fece sì che, per un verso, potesse morire, e, per un altro, morire non potesse» (le "Lettere Dogmatiche" di Leone Magno sono consultate in una edizione curata da Giulio Trettel per Città Nuova Editrice e pubblicata nel 1993). Nella stessa Lettera Leone afferma: «La nascita nella carne è chiara prova della natura umana; il parto da una vergine è prova della divina potenza. Il neonato si rende manifesto nell’umiltà del presepio, ma la sublimità dell’Altissimo trova testimonianza nelle voce degli angeli».
Ora, i propagatori di tesi eretiche chiaramente denunciate dal grande Papa sono in grave peccato ma possono essere sempre perdonati, qualora si pentissero. Questo viene chiaramente affermato da Leone, quando dice a proposito di Eutiche: «Se tornerà alla fede coerentemente, perché pentito, capirà facilmente perché l’autorità del vescovo abbia dovuto fare ricorso a interventi disciplinari, sia pure - per lui - tardivamente. Se verrà ad una abiura corretta e completa, e lo farà verbalmente, ma anche mediante una dichiarazione firmata, egli non sarà più da riprendere e ci sarà misericordia nei suoi confronti, per quanto magnanima essa possa parere».
Insomma, la misericordia è vera quando si basa sulla giustizia, che si manifesta nella identificazione del peccato e nel suo rigetto. La misericordia passa dalla conversione. Sempre riferendosi ad Eutiche, Leone affermava: «Quanto poi ad Eutiche, che è caduto in un errore così grave, perché più sapientemente gli si dia una mano al fine ch rinsavisca, - nel caso che si ravveda -, così occorre che si corregga cominciando proprio là dove aveva dato il via all’errore; e là dove era stato a buon diritto condannato, proprio dallo stesso punto gli sia consentito di meritare il perdono».
Il perdono non si può ottenere cambiando la natura del peccato. E questo non per andare contro il peccatore, ma proprio per muovere a suo favore, come spiega papa Leone in una sua lettera all’Imperatrice Pulcheria: «Dato che io ho grande fiducia nella tua pietà che so incrollabile, ti supplico con grande forza che, come sempre hai favorito la fede cattolica, ora è il momento giusto che tu ne tuteli pure la libertà. Può darsi che il Signore abbia permesso tale prova perché coloro che si sono annidati entro il seno della Chiesa, venissero smascherati. Ma mai si deve procedere a cuor leggero nei loro confronti, perché non se ne debba rimpiangere la perdita».
Nella sua udienza del 5 marzo 2008, così Benedetto XVI parlava di Leone Magno: «Consapevole del momento storico in cui viveva e del passaggio che stava avvenendo - in un periodo di profonda crisi - dalla Roma pagana a quella cristiana, Leone Magno seppe essere vicino al popolo e ai fedeli con l’azione pastorale e la predicazione. Animò la carità in una Roma provata dalle carestie, dall’afflusso dei profughi, dalle ingiustizie e dalla povertà. Contrastò le superstizioni pagane e l’azione dei gruppi manichei. Legò la liturgia alla vita quotidiana dei cristiani: per esempio, unendo la pratica del digiuno alla carità e all’elemosina soprattutto in occasione delle Quattro tempora, che segnano nel corso dell’anno il cambiamento delle stagioni. In particolare Leone Magno insegnò ai suoi fedeli - e ancora oggi le sue parole valgono per noi - che la liturgia cristiana non è il ricordo di avvenimenti passati, ma l’attualizzazione di realtà invisibili che agiscono nella vita di ognuno. È quanto egli sottolinea in un sermone (64,1-2) a proposito della Pasqua, da celebrare in ogni tempo dell’anno “non tanto come qualcosa di passato, quanto piuttosto come un evento del presente”. Tutto questo rientra in un progetto preciso, insiste il santo Pontefice: come infatti il Creatore ha animato con il soffio della vita razionale l’uomo plasmato dal fango della terra, così, dopo il peccato d’origine, ha inviato il suo Figlio nel mondo per restituire all’uomo la dignità perduta e distruggere il dominio del diavolo mediante la vita nuova della grazia». Liturgia, conversione e perdono: ecco la grande attualità della lezione di questo grande Papa.