Lega-5S, "nozze" con sospetto. Senza programma
La spinta giallo-verde verso un esecutivo presieduto da un uomo delle istituzioni che gestisca l’ordinario e l'essenziale (legge di stabilità e legge elettorale) e rinvii consensualmente di un anno la resa dei conti. Dove si avrà la vera sfida alle urne con una legge elettorale che assegni un premio di maggioranza ai vincitori.
Subito dopo Pasqua si apriranno le consultazioni del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella per la formazione del nuovo governo. Per ora resta in carica per il disbrigo degli affari correnti l’esecutivo guidato dal dimissionario Paolo Gentiloni e questo passaggio potrebbe anche durare più del previsto, in caso di impasse nelle trattative tra i partiti.
Apparentemente sembra filare via tutto liscio. La rapidità nell’elezione dei Presidenti delle due Camere sembra aver ringalluzzito i due vincitori del 4 marzo, Cinque Stelle e Lega, pronti a quanto sembra a fare un governo insieme.
Secondo alcuni si tratta dell’unica formula possibile in questa legislatura, peraltro rispettosa della volontà popolare che ha attribuito a quelle due forze politiche il maggior numero di consensi. Ma alcune precisazioni appaiono doverose. I pentastellati hanno fatto il pieno di voti, soprattutto al sud, anche in nome del rifiuto di qualsiasi alleanza con i partiti tradizionali. La Lega in campagna elettorale ha più volte attaccato i Cinque Stelle e, soprattutto, ha stretto un’alleanza organica con chi, come Silvio Berlusconi, aveva definito Di Maio e soci “una setta di incompetenti e disoccupati, che non hanno mai lavorato in vita loro”.
Pensare, quindi, che i grillini, indisponibili perfino a incontrare Berlusconi per parlare dei Presidenti delle due Camere, siano ora disposti a fare un governo con l’intero centrodestra, appare azzardato. Al massimo potrebbero immaginare un accordo con la sola Lega di Salvini, che a quel punto dovrebbe staccarsi da azzurri e Fratelli d’Italia.
E’ realizzabile uno scenario del genere? In politica tutto è possibile e i giochi di potere degli ultimi anni, prodromici alla legittimazione di esecutivi tecnici o figli di alleanze spurie e innaturali, ne sono la riprova.
Tuttavia in questo caso le argomentazioni contro un’intesa Movimento Cinque Stelle-Carroccio appaiono ben più pregnanti e persuasive di quelle a favore. Anzitutto perché il 26 maggio 2019 si voterà per il rinnovo del Parlamento europeo e per il 60% delle amministrazioni locali e in quell’occasione i due vincitori delle elezioni politiche del 4 marzo scorso dovranno fronteggiarsi a viso aperto, l’un contro l’altro armati, e non potrebbero evidentemente farlo se fossero al governo insieme. Entrambi sono convinti di poter consolidare il loro trend di crescita: i Cinque Stelle puntano a prosciugare nei prossimi mesi il bacino elettorale dei partiti di centrosinistra, ma anche a rastrellare voti tra i delusi del centrodestra; Salvini ha da tempo lanciato un’Opa ostile su Forza Italia e punta a egemonizzare l’intera sua coalizione prosciugando il serbatoio di voti azzurri.
Le votazioni per l’elezione dei due Presidenti delle Camere hanno anticipato tali moventi: Di Maio, appoggiando la candidatura di Roberto Fico, ha ricompattato il Movimento e collocato alla terza carica dello Stato il massimo esponente dell’ala ortodossa, che darà filo da torcere agli altri partiti e farà campagna elettorale attraverso provvedimenti assai popolari come il taglio dei vitalizi. Il leader della Lega, invece, bocciando l’ascesa alla Presidenza di Palazzo Madama di Paolo Romani e bruciando la candidatura di Anna Maria Bernini, ha spaccato Forza Italia e riaffermato i rapporti di forza all’interno del centrodestra. Per andare all’incasso sul piano elettorale ci vogliono, però, elezioni ravvicinate, al massimo tra un anno.
Ovvio che il Rosatellum non possa assicurare la vittoria a nessuno. Di qui la spinta giallo-verde verso un esecutivo presieduto da un uomo delle istituzioni, estraneo ai partiti, che, con l’appoggio di Lega e Cinque Stelle, gestisca l’ordinario, faccia le cose essenziali (legge di stabilità e legge elettorale) e rinvii consensualmente di un anno la resa dei conti e la vera sfida alle urne con una legge elettorale maggioritaria che assegni un premio di maggioranza consistente ai vincitori.
Meglio, quindi, non sporcarsi troppo le mani in questa legislatura di transizione, chiamata peraltro a varare una legge di stabilità nemica delle promesse fatte in campagna elettorale da Lega e Cinque Stelle. Si stima che occorrono 50 miliardi per realizzare la flat tax e 30 per varare il reddito di cittadinanza. Nell’immediato occorre trovare 12,5 miliardi per scongiurare l’aumento dell’Iva, 5 per alcune spese indifferibili come le missioni all’estero e i trasferimenti agli enti e altri 2 per garantire gli aumenti per il pubblico impiego.
E’ vero, quindi, che Lega e Cinque Stelle sono d’accordo su molte cose. Un approccio anti-establishment indubbiamente li accomuna, così come un certo filo-putinismo. Su singoli punti come la battaglia contro i vaccini o in difesa dell’economia reale e per un nuovo welfare o come l’introduzione del vincolo di mandato e il varo di una differente gestione dei flussi migratori le affinità sono molte. Sui temi sensibili, invece, c’è un abisso. Salvini si è battuto per la difesa della famiglia naturale e ha difeso le tradizioni cattoliche, Di Maio e i suoi hanno appoggiato le unioni civili e sono per una regolamentazione ancora più laica della società. Ma, a prescindere da queste comparazioni, ben difficilmente le due forze politiche che navigano con il vento in poppa saranno disposte ad abbracciarsi fino in fondo. Sanno bene che un matrimonio ne comprometterebbe l’avanzata elettorale e le costringerebbe ad assumere decisioni impopolari e contrarie ai rispettivi programmi. Ad entrambe conviene allargare i propri confini, nelle rispettive zone d’influenza, per poi, fra un anno, ricompetere ad armi pari nell’agone politico per la guida del Paese.