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FEDERALISMO

Più poteri a Roma capitale? Meglio l'autonomia differenziata

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Poteri speciali a Roma: questo prevede il progetto di legge caldeggiato dalla Meloni. Una città avrebbe lo stesso potere di una regione. Ma il principio che conta è l'autonomia, che fa bene a tutti, anche alla capitale. 

Politica 24_07_2025
Roberto Gualtieri (La Presse)

L’idea di dare poteri speciali a Roma, trasformandola in una regione con competenze simili a quelli delle regioni ordinarie e con l’autorità di scrivere leggi, lascia molto perplessi. La riforma strutturale e di sistema della quale il Paese ha veramente bisogno è quella dell’autonomia differenziata, un processo che garantirebbe alle regioni maggiori competenze su spesa, indirizzo e programmazione e che, se attuato con coerenza e responsabilità, rappresenterebbe una svolta concreta per il Paese.

È in quest’ottica che si deve leggere con attenzione il progetto di legge in cantiere a Palazzo Chigi, sostenuto da Giorgia Meloni e dai ministri Elisabetta Casellati e Roberto Calderoli, che prevede poteri speciali per Roma Capitale.

Il contesto è il solito: il sindaco Roberto Gualtieri lamenta l’insufficienza delle risorse e le difficoltà connesse al ruolo speciale che Roma ricopre come sede delle istituzioni, centro diplomatico e turistico, crocevia di eventi internazionali e nazionali. A fronte di questi oneri, dice il sindaco, le risorse sono poche, il trasporto pubblico è sottofinanziato, la gestione dei rifiuti inadeguata e il fondo di solidarietà comunale penalizzante. Ma la domanda è semplice: questi problemi dipendono davvero dalla carenza di poteri o piuttosto da una gestione che da anni si dimostra inefficiente e poco incisiva? Davvero qualcuno crede che basti una legge, magari una riforma costituzionale, per far funzionare meglio una macchina amministrativa ferma da troppo tempo? È evidente che non è una questione di poteri, ma di capacità amministrativa e responsabilità gestionale.

Roma ha già oggi prerogative che non riesce a esercitare pienamente, strumenti che non sa utilizzare in modo efficace. Dare più poteri alla Capitale rischia di tradursi semplicemente in una dilatazione dell’inefficienza, non in una soluzione. Il rischio concreto è di creare una nuova sovrastruttura, un ibrido amministrativo che richiederebbe anni di sperimentazione per trovare un equilibrio, mentre i problemi veri rimarrebbero sul tappeto, irrisolti. La proposta di creare una sorta di ente giuridico nuovo, differente dal Comune, non solo aprirebbe una fase di incertezza, ma allontanerebbe ulteriormente Roma dai cittadini, rafforzando una burocrazia già oggi distante, pesante e spesso autoreferenziale.

Il sindaco stesso ammette che non c’è tempo per costruire un nuovo assetto da zero e per questo propone due binari paralleli: una riforma costituzionale, lenta e complessa, e una legge ordinaria, più rapida, per attribuire da subito nuove competenze come la gestione del trasporto pubblico o del fiume Tevere. Ma anche qui il sospetto è forte: non si tratta forse di un escamotage per ottenere risorse senza affrontare i nodi strutturali di una città in crisi da anni? Non è forse un modo per invocare l’autonomia solo quando fa comodo? Gualtieri, grande oppositore dell’autonomia differenziata delle regioni, scopre d’improvviso la bontà dell’autonomia quando si tratta del suo Comune. È una posizione che suona opportunistica, poco coerente e che svela una concezione utilitaristica del decentramento: va bene se serve a Roma, male se rafforza le regioni.

Ma è proprio questo il punto: l’autonomia fa bene a tutti, sia alle regioni sia alla Capitale. È un principio virtuoso che va applicato con equità e trasparenza, non con furbizia e convenienza. Calderoli, in questo senso, ha il merito di tenere insieme i due filoni, ribadendo che l’autonomia deve valere sia per le regioni, sia per Roma, purché accompagnata da responsabilità. Il guaio, però, è che mentre si lavora per rafforzare Roma, il processo dell’autonomia differenziata rischia di rallentare ancora una volta. È già accaduto in passato: ogni volta che si riaccende la fiamma del decentramento, qualcuno interviene per mettere un freno, per diluire, per complicare. E così siamo ancora fermi a discutere dei Lep, dei negoziati con le regioni che hanno avanzato la richiesta – Veneto, Lombardia, Piemonte, Liguria – mentre Roma si prepara a ottenere nuovi poteri con una corsia preferenziale.

Se l’accelerazione su Roma servisse davvero a sbloccare l’autonomia regionale, allora si potrebbe anche accettare questo compromesso, purché sia chiaro che il percorso non si deve interrompere e che l’Italia ha bisogno di regioni forti, capaci di autogovernarsi, non di una Capitale ancora più ingombrante. Il vero paradosso è che l’Italia continua a pagare un prezzo altissimo per l’accentramento. Tutto passa da Roma: le risorse, le nomine, i permessi, le linee guida. Le regioni vengono spesso ridotte a esecutrici, senza potere reale di scelta o programmazione. Eppure sono proprio le regioni a conoscere meglio i propri territori, a sapere quali sono le priorità, dove vanno allocate le risorse, come migliorare i servizi.

L’autonomia differenziata non è una secessione dei ricchi, come qualcuno continua a ripetere in modo ideologico, ma una scelta di modernizzazione e responsabilità. Non tutte le regioni sono uguali, e non ha senso trattarle come tali. Alcune hanno dimostrato di avere capacità amministrativa e una visione strategica. È giusto che possano sperimentare modelli diversi, nel rispetto dell’unità nazionale ma anche della diversità dei contesti. Roma ha certamente bisogno di strumenti più efficaci, ma trasformarla in una regione è la soluzione sbagliata a un problema reale. Si rischia di costruire un mostro istituzionale, complicato da governare e ancora più difficile da riformare. E si manda un segnale pericoloso: che i problemi si risolvono con nuovi poteri, non con una buona amministrazione. È questa la cultura politica che bisogna cambiare.

Non si tratta di dire no a Roma, ma di dire sì al Paese intero. L’autonomia differenziata è una riforma che va realizzata subito, senza più scuse, senza dilazioni, senza subordinarla ad altri disegni politici. Serve una visione coraggiosa, che dia fiducia ai territori e riconosca la loro capacità di autogoverno. Solo così l’Italia potrà diventare un Paese efficiente e competitivo, non certo creando una nuova regione all’ombra del Colosseo.