L'effetto Draghi sta sfasciando tutti i partiti
All'interno di tutti i partiti è in corso un unico tipo di lotta: fra quelli che vorrebbero formare un centro a supporto del governo Draghi, anche dopo la fine della legislatura e quelli che, invece, mettono il loro partito al centro della vita politica. Gli sfascia-partiti che vogliono Draghi sono trasversali, da Di Maio a Giorgetti passando per Brunetta.
La battaglia per il Quirinale, conclusasi con la riconferma di Sergio Mattarella, ha forse rafforzato il governo, e il forse è davvero doveroso, ma appare destinata a mandare in frantumi il sistema partitico. Ragionare in termini di centrodestra e centrosinistra è davvero fuorviante, alla luce di quanto sta accadendo. La cronaca della vita dei partiti ci regala ogni giorno spunti per immaginare una rapida deflagrazione delle principali forze politiche. Un processo di scomposizione che porterà prima o poi a una ricomposizione su nuove basi, ma con tante macerie da rimuovere.
Ieri il Tribunale di Napoli ha in qualche modo contribuito alla demolizione degli attuali assetti, sospendendo l’elezione di Giuseppe Conte alla guida del Movimento Cinque Stelle, avvenuta a seguito della modifica dello statuto, che i magistrati partenopei hanno ritenuto irregolare. Dunque, alla guida del Movimento, tornano Beppe Grillo e Vito Crimi. L’"avvocato del popolo" dovrà ripartire da zero e attendere pazientemente di superare tutti gli step interni per poter riconquistare la guida del Movimento. Nel frattempo, i leader storici come Luigi Di Maio avranno buon gioco nel ridimensionare il potere di Conte e nel riappropriarsi degli spazi di manovra che avevano perso da quando l’ex premier aveva ricevuto carta bianca nella riorganizzazione delle truppe.
Se, dunque, Draghi poteva attendersi qualche insidia dal Movimento Cinque Stelle a guida Conte, ora può dormire sonni tranquilli, perché la conduzione dell’esercito pentastellato torna saldamente nelle mani dei suoi fondatori, in primis il Ministro degli esteri, fedelissimo del premier. Esiste, infatti, un trasversale “partito del premier”, che punta alla distruzione dei partiti attuali e alla costruzione di un nuovo raggruppamento di centro, filo-americano, europeista, in grado di governare il Paese anche nella prossima legislatura. Non a caso si tratta di un cartello che sponsorizza la riforma della legge elettorale in senso proporzionale, per evitare di indicare prima del voto alleanze e candidati premier e poi fare accordi di convenienza a urne chiuse rimettendo, a Palazzo Chigi, Draghi o un uomo comunque sganciato dagli apparati di partito e più sensibile alle sirene dei poteri forti.
E chi farebbe parte di questo partito filo-Draghi? Anzitutto, come detto, Luigi Di Maio, che ha bisogno di sopravvivere politicamente e non potrebbe farlo se Conte prendesse il pieno controllo del Movimento, magari giocando di sponda con l’ala movimentista di Alessandro Di Battista. Conte e Di Battista hanno interesse a stoppare le velleità di Di Maio e si impunterebbero sul vincolo dei due mandati, che impedirebbe al Ministro degli esteri di ricandidarsi alle politiche. Ma ve lo immaginate ora come ora un Di Maio fuori dalla politica? Ecco perché per quest’ultimo è questione di vita o di morte: o riesce a far passare nel Movimento la linea della deroga ai due mandati, oppure cercherà il pretesto per uscire dai 5 Stelle e aderire a un nuovo raggruppamento di centro filo-Draghi. Per lui ci sono due possibilità: vince la battaglia interna al Movimento, ne assume la guida e lo mette al servizio di Draghi oppure esce dal Movimento e drena il maggior numero possibile di parlamentari, dirigenti e consensi, per portarli alla corte del premier.
Anche nel Pd c’è un uomo decisamente più legato a Draghi che non al segretario Enrico Letta. Si tratta di Lorenzo Guerini, Ministro della difesa, molto apprezzato oltreoceano. Era tra gli sponsor di Draghi al Quirinale e rimane uno dei principali uomini di riferimento internazionale dell’attuale esecutivo. Pure nel centrodestra il premier può contare su alcuni fedelissimi. Anzitutto Giancarlo Giorgetti, che marca stretto Matteo Salvini e lo costringe costantemente a riposizionare la linea della Lega in una direzione filo-governativa. Il Capitano sbraita ma poi si allinea sempre, perché gran parte della classe dirigente leghista crede nella ripresa economica e ha fiducia in Draghi. Risultato finale: se Salvini strappa, il Carroccio che conta rimane sulle posizioni moderate di Giorgetti, che risponde a Draghi.
L’ala governativa di Forza Italia è appiattita sul premier, in particolare Renato Brunetta, che con Draghi ha un rapporto personale. Lo “sfasciacarrozze” di Forza Italia è proprio il Ministro della pubblica amministrazione, che sogna un decennio draghiano con ruoli importanti per se stesso e scioglierebbe volentieri Forza Italia domani mattina. Le stesse ministre Mariastella Gelmini e Mara Carfagna si troverebbero meglio in un rassemblement di centro filo-Draghi piuttosto che sotto lo stesso tetto con l’ala di partito che è rimasta fuori dal governo (Antonio Tajani, Annamaria Bernini, Licia Ronzulli) e che è più tiepida nei confronti dell’esecutivo perché teme la dissoluzione di Forza Italia.
In primavera, però, ci saranno le elezioni amministrative in oltre 1000 comuni e anche in capoluoghi importanti. Come si comporteranno i partiti visto che le coalizioni si sono praticamente liquefatte? E come incideranno i risultati delle urne sul percorso del governo Draghi? Molto dipenderà dai risultati che il governo riuscirà a portare a casa in economia, dove la situazione però appare sempre più esplosiva.