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LA STORIA

Le Missionarie della Carità, com’è nata la congregazione di Madre Teresa

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È il 10 settembre 1946 quando la santa, allora tra le Suore di Loreto, avverte «la chiamata nella chiamata» di servire Cristo nei più bisognosi. Il primo atto di una congregazione oggi presente nei cinque continenti.

Ecclesia 05_09_2023

Piccola e leggera come l’aria, come il vento, è santa Teresa di Calcutta (1910-1997), della quale oggi ricorre la memoria liturgica. Lei, minuta, colosso della carità, ormai conosciuta come la «piccola matita di Dio», così amava definirsi: «In India, un giorno, un giornalista americano che mi osservava mentre medicavo un infermo colpito da cancrena mi disse: “Io non lo farei nemmeno se mi dessero un milione di dollari”. “Nemmeno io lo farei per quella cifra”, gli risposi. “Però lo faccio per amore di Dio. Questo povero sofferente rappresenta per me il corpo di Cristo”. Il giornalista fu colpito dalle mie parole e capì qual è la forza che sostiene la nostra azione» (R. Allegri, Madre Teresa mi ha detto, Milano, Ancora, 2010). Con quel termine, la «nostra azione», la santa si riferiva alla congregazione da lei fondata nel 1950: le Missionarie della Carità, il popolo che oggi conta migliaia di religiose che con amore e dedizione si trovano accanto ai bisognosi, ai più poveri dei poveri.

La nascita di una congregazione è sempre un “qualcosa” che sfugge alla comprensione dell’intelletto: lo Spirito Santo, si sa, «soffia dove vuole, ne puoi udire la voce, ma non sai né da dove viene né dove va» (Gv 3,8). Così è stato per Madre Teresa di Calcutta che mai avrebbe immaginato di costruire un’Opera così imponente come quella delle Missionarie della Carità. Eppure è avvenuto: un giorno, in una determinata ora, per un inspiegabile - e concreto - Disegno di Dio.

Era il 10 settembre del 1946, quando l’allora giovane suor Teresa (che apparteneva alla congregazione delle Suore della Beata Maria Vergine di Loreto) si stava recando da Calcutta nella sede del noviziato dell’istituto religioso di appartenenza per seguire alcuni esercizi spirituali. Quel viaggio fu per lei un viaggio nel suo cuore, nella sua sete di Dio e di Amore per il prossimo: durante il tragitto rimase profondamente colpita dalla drammatica miseria incontrata per strada. Davanti a lei c’erano persone che avevano bisogno di aiuto, di una mano tesa che potesse aiutarli.

Ed è allora che avviene l’episodio determinante per la sua vita e per quella della futura congregazione: la religiosa sente che deve dedicarsi completamente al loro servizio. Suor Teresa aveva avuto la sensazione che il Signore la chiamasse a una nuova vita e a lasciare perfino le Suore di Loreto. Questo episodio verrà definito «la chiamata nella chiamata». Una voce interiore le dirà: «Voglio suore indiane Missionarie della Carità, che sarebbero il Mio fuoco d’amore fra i più poveri, i malati, i moribondi, i bambini di strada» (Madre Teresa, Sii la mia luce, a cura di B. Kolodiejchuk, Milano, Bur, 2009). E sempre la stessa voce si farà sentire anche per gli aspetti pratici legati alla futura congregazione: «Indosserai semplici abiti indiani, o piuttosto vestirai come mia Madre si vestì, semplice e povera. […] Il tuo sari diventerà sacro perché sarà il Mio simbolo». Quel sari che vestirà diverrà, difatti, un segno “distintivo” dell’intera congregazione: il colore bianco a rappresentare la verità e la purezza; le tre strisce color blu, intenso, per richiamare gli occhi della Vergine Maria. Tre strisce così come i voti religiosi: castità, povertà e obbedienza. Oltre ai tre voti consueti, vi sarà anche quello del servizio ai più poveri.

A seguito di quella voce, la religiosa confida alla superiora il desiderio di cambiare vita: incontra ostacoli e resistenze da parte della sua comunità. Ne soffre molto perché sa bene che quella che ha sentito è la voce di Dio. Solo il suo padre spirituale e l’arcivescovo di Calcutta, il gesuita Ferdinand Périer, intuiscono che dietro alle sue parole si nasconde un Disegno grandioso. Dopo aver ottenuto l’approvazione dell’arcivescovo di Calcutta e il permesso della Santa Sede, suor Teresa lascia il convento di appartenenza e nell’agosto del 1948 inizia la sua nuova opera tra i poveri delle baraccopoli di Calcutta. Attorno a lei si riunirono presto dodici giovani donne: dodici come il numero degli Apostoli che seguirono Gesù. Questo piccolo gruppo di donne cominciò a visitare i più poveri tra i poveri nelle loro case e per strada, a prendersi cura dei malati e dei morenti e a fornire un’istruzione ai bambini di strada.

L’ufficializzazione avverrà nel 1950 quando l’arcivescovo Périer eresse le Missionarie della Carità come congregazione diocesana per l’arcidiocesi di Calcutta. Da questo evento, le prime scuole aperte, i primi centri medici e di distribuzione alimentare. Nel 1952, si apre “Nirmal Hriday”, la prima casa per gli indigenti morenti; nel 1955, sarà la volta di “Shishu Bhavan”, la prima casa per bambini abbandonati; nel 1957, la prima clinica mobile per i malati di lebbra. La prima missione fuori Calcutta, nel 1959, a Ranchi (sempre in India). Nel corso degli anni Cinquanta e all’inizio degli anni Sessanta, Madre Teresa amplierà l’Opera non solo a Calcutta ma in tutta l’India. Successivamente, dopo la prima missione all’estero nel 1965 a Cocorote, in Venezuela, cominceranno a sorgere case religiose in tutto il mondo, in tutti i cinque continenti. Al momento della morte di Madre Teresa (1997), le Missionarie della Carità contavano 3.914 religiose sparse in 594 missioni, in ben 123 Paesi.

Tra le comunità delle Missionarie della Carità in Italia spicca la storica casa del Celio, posta tra il Circo Massimo e il Colosseo: questa, si potrebbe definire una sorta di “centrale operativa” della congregazione a Roma. In questo luogo, vengono accolte le postulanti e a pochi passi dalla struttura delle religiose sorge una casa di accoglienza per i senza dimora; inoltre, due volte a settimana vengono distribuiti abiti e viveri a famiglie in difficoltà che vengono visitate anche a domicilio. Varcato il portoncino della casa religiosa al Celio vi è la piccolissima stanza dove la santa soggiornava quando veniva a Roma. Qui, in questo luogo, si avverte tutto il carisma di Madre Teresa: una piccola stanza, nulla più. Eppure, in quella piccola stanza, tanta preghiera per poi vivere pienamente tanta azione di carità. Basta poco per fare cose grandi, l’importante è sempre il cuore. Un cuore aperto all’azione della Grazia di Dio.