Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Ora di dottrina / 110 – La trascrizione

Le divisioni della legge – Il testo del video

Ci sono diversi tipi di legge. Ogni vera legge implica una ordinatio rationis e dunque ha il suo fondamento nel Logos: Dio. La legge eterna partecipata alla creatura razionale si chiama legge naturale. La necessità delle leggi umane e della legge divina positiva.

Catechismo 07_04_2024

Proseguiamo la nostra riflessione sulla legge. La scorsa volta abbiamo cercato di focalizzare che cos’è la legge nella visione di san Tommaso d’Aquino, quali sono gli effetti della legge. Ne abbiamo parlato in riferimento alle azioni morali, in particolare al peccato. E abbiamo visto come all’interno della nozione di peccato è richiamato in qualche modo l’elemento della legge. Cioè, il peccato è sempre qualcosa che l’uomo compie contro la legge divina, dove qui l’espressione “legge divina” va intesa in senso molto ampio. Può essere la legge divina esplicita: esplicitata per esempio nei comandamenti, o la legge naturale; non sono “o – o”, sono aspetti diversi della questione. E per questa ragione oggi dedichiamo una catechesi proprio alle divisioni della legge: in sostanza, quante leggi esistono. Non fatevi prendere dal panico: non andremo a vedere il codice penale, il codice civile e il codice amministrativo… stiamo parlando di tipologie di leggi in un senso più filosofico, più teologico.

Ricordiamo la definizione di legge che abbiamo visto la scorsa volta. Abbiamo spiegato che ogni legge realmente tale, realmente degna di questo nome, deve avere quattro caratteristiche. Abbiamo usato una formula latina, che esprime con chiarezza e concisione gli elementi caratteristici di una legge. Prima di tutto, sostanzialmente, una legge è un ordo, una ordinatio rationis, cioè è una disposizione secondo ragione, un ordinamento secondo ragione.

Poi, secondo elemento caratteristico, come abbiamo detto: ad bonum commune. Cioè, una legge si riferisce sempre a un bene comune. Terzo e quarto aspetto: ab eo qui curam communitatis habet, promulgata. Cioè, la legge viene promulgata da colui che ha l’incarico di prendersi cura della comunità, quindi di un’autorità legittima; e deve essere promulgata da questa autorità, perché tutti la possano conoscere.

Ora, sulla base del pensiero di san Tommaso, questa è la definizione della legge. Però abbiamo diversi tipi di legge. San Tommaso, diciamo così, parte in alto. Parte in alto non perché abbia una particolare fantasia, ma perché ha il senso del fondamento. Ora, essendo l'ordinatio rationis il fondamento di ogni legge, qualunque essa sia, purché sia legge appunto – cioè purché sia una ordinatio rationis e non una contraddizione della legge, una difformità rispetto a questa ordinatio rationis –, proviene da una ratio primaria, una Ragione, con la “R” maiuscola, che non ha nulla a che fare con la ragione di stampo illuministico. Ma ha a che fare con una concezione di Dio: del Dio Logos, cioè del Dio che è ordine, che è razionalità, che non è caos, che non è illogicità. In principio, era il Logos (cfr. Gv 1,1). E il Logos che cos’è? Il Logos esprime Dio tramite la parola, è la promulgazione: la parola promulga una legge che è una ordinatio rationis.

Quindi, in principio il legislatore per eccellenza è Dio stesso. E, questa legge, Dio la imprime in tutto ciò che esiste, in tutta la sua creazione, nell’universo. Perché la imprime? Perché tutto quello che Dio compie, lo fa secondo un ordine di ragione, a cui spesso noi non riusciamo ad attingere pienamente. Ma c’è un ordine: all’inizio non c’è un caos, che gradualmente in qualche modo si sistema. In principio, c’è il Logos, c’è un ordine di ragione. E questa ragione prima, che in qualche modo si imprime nell’universo, nell’atto creativo di Dio, perché Dio crea secondo ragione, questo “imprinting” che viene dato all’universo, per cui l’universo è ordinato – lo dice la parola stessa, “universo”, c’è una direzione, c’è un ordine –, questa razionalità presente in tutte le cose, nell’universo nel suo insieme e in ogni cosa, viene chiamata legge eterna.

Perché eterna? Perché appunto precede l’ordine temporale. Se l’ordine temporale nasce secondo questa ordinatio rationis, secondo questa Ragione con la R maiuscola, è chiaro che questa legge che viene impressa, lo diciamo balbettando, era nella mente di Dio prima che la creazione iniziasse ad esistere.

Se prendiamo la quæstio 91 della I-II della Somma Teologica, che parla appunto delle divisioni della legge, troviamo che nell’art. 1 san Tommaso subito sostiene, difende l’esistenza di una legge eterna. Lui dice che, siccome «il mondo è retto dalla divina provvidenza, è chiaro che tutta la comunità dell’universo è governata dalla ragione divina. Perciò il piano stesso col quale Dio, come principe dell’universo, governa le cose ha natura di legge» (I-II, q. 91, a. 1). Punto chiave: questa legge è il modo con cui Dio governa l’universo, è l’ordine che Dio ha impresso nell’universo. Questo ordine ha natura di legge. Perché ha natura di legge? Perché è un ordine di ragione, è rivolto al bene comune, cioè al bene dell’universo, da parte di colui che chiaramente ha la cura della comunità; ed è promulgato, per cui questa promulgazione avviene, è avvenuta.

Com’è avvenuta la promulgazione? Una delle obiezioni presentate da san Tommaso sta proprio in questo: chi ha promulgato questa legge? Dov’è l’editto di promulgazione di questa legge? Abbiamo visto che la promulgazione è un elemento costitutivo della legge. San Tommaso risponde in questo modo: «La promulgazione avviene a parole e per iscritto; e in tutti e due i modi la legge eterna ha la sua promulgazione da parte di Dio che la promulga: infatti il Verbo di Dio è eterno come pure è eterna la scrittura del libro della vita» (ibidem). Quindi noi sappiamo che la legge di Dio è stata promulgata da parte del Verbo di Dio in virtù del quale e in vista del quale, sul cui modello, tutto l’universo è creato. E, dice, «come pure è eterna la scrittura del libro della vita»: il libro della vita è un linguaggio metaforico ma non per questo non corrisponde alla realtà; il libro della vita è una “scrittura”. Abbiamo visto che la creazione non è semplicemente uno starter, la creazione è un atto, un’opera che ha un ordine e che prosegue, nella conservazione della creazione, nel governo della creazione.

Per creazione non intendiamo dunque qualcosa che è stato e che non ha nulla a che vedere con il nostro oggi. Dunque, in quel tempo in cui si aveva ancora il senso della creazione in tutta la sua densità, la creazione era ritenuta un libro. Un libro da cui imparare a leggere. Perché? Perché in questa creazione, nel libro della vita, è impressa l’ordinatio rationis, cioè la logica di Dio, l’alfabeto di Dio. E, ci dice san Tommaso, questa legge eterna ha natura di legge, dunque è qualcosa che deve essere conosciuto dall’uomo e osservato, rispettato. L’uomo non può stravolgere l’ordine della creazione. Pensiamo, per esempio, al dato biologico del maschio e della femmina: è iscritto nella creazione, l’uomo non lo può stravolgere, ha natura di legge. Non è un dato grezzo su cui l’uomo può fare quello che vuole. E così si potrebbe dire per tante altre cose, per tanti altri aspetti.

Ora, vediamo l’art. 2 della quæstio 91. Questa legge eterna è partecipata ad ogni cosa che esiste, ad ogni creatura. Ma è partecipata chiaramente in misura diversa, in modalità diversa. Cosa vuol dire che è partecipata? Vuol dire che tutte le cose ricevono in qualche modo un’inclinazione, un ordine, un fine verso cui sono appunto inclinate, orientate. San Tommaso dice che «ricevono un’inclinazione ai propri atti e ai propri fini». Dunque, in questo senso ogni cosa partecipa di questa legge eterna, perché in ogni cosa è impressa questa legge eterna. E lo vediamo in questa inclinazione, nel fine proprio di ogni cosa. Non c’è un caos, non c’è una realtà che non ha delle finalità, un ordine, delle inclinazioni.

Ora, questa partecipazione della legge eterna a tutte le creature incontra delle creature intelligenti e libere, cioè noi uomini e gli angeli. Ora, la partecipazione della legge eterna a quelle creature che sono creature razionali, cioè gli uomini, prende un nome particolare: non è un’altra cosa rispetto alla legge eterna, ma è quella legge eterna partecipata alla creatura razionale. E prende il nome di legge naturale. Punto importantissimo, oggi contestato, dibattuto, prevalentemente incompreso. Nel finale del corpo dell’art. 2, san Tommaso dà una bellissima descrizione della legge naturale, citando il Salmo 4: «“Molti dicono: chi ci farà vedere il bene?”. E così [il Salmista] risponde: “Quale sigillo è impressa su di noi la luce del tuo volto, o Signore” [signatum est super nos lumen vultus tui, Domine]» (I-II, q. 91, a. 2). Cioè, su di noi è impresso il sigillo, l’impronta, il marchio della luce del volto di Dio: la luce del volto è in qualche modo l’irradiazione della legge eterna impressa nell’uomo. Questa è la descrizione tratta da un testo biblico che san Tommaso dà della legge naturale.

E poi commenta: «Come per dire che la luce della ragione naturale [ecco il sigillo impresso da Dio nell’uomo], che ci permette di discernere quale sia il bene e il male, non è altro che un’impronta della luce divina in noi. Per cui è evidente che la legge naturale non è altro che la partecipazione della legge eterna nella creatura razionale» (ibidem). Quindi, la ragione dell’uomo – attenzione al linguaggio – ci permette di discernere il bene e il male, non di costruire il bene e il male, di stabilire il bene e il male, ma di discernere il bene e il male. Ora, siccome la ragione naturale discerne, ha una connaturalità con la ragione divina, che invece fonda il bene e il male. E, quale riflesso di questa mente divina, di questa ragione divina, l’uomo ha la ragione naturale con la quale discerne il bene e il male. E dunque, la ragione divina, la legge eterna viene partecipata all’uomo in un modo singolare, in un modo unico, potremmo dire, in un modo più profondo che non negli altri esseri non razionali.

San Tommaso risponde a due obiezioni. Sono due testi molto importanti. Nella risposta alla seconda obiezione dell’art. 2, san Tommaso ci dice: «Tutti gli atti della ragione e della volontà derivano in noi da ciò che è secondo natura: infatti ogni raziocinio deriva dai primi principi noti per natura, e ogni appetito riguardante i mezzi deriva dall’appetito naturale del fine ultimo. E così anche il primo orientamento dei nostri atti verso il fine avviene mediante la legge naturale» (ibidem). Qual era l’obiezione? L’obiezione era che non possiamo dire che nell’uomo ci sia una legge naturale, perché l’uomo agisce per un fine, non per legge ma con la ragione e la volontà. Ma san Tommaso dice che non c’è contraddizione, perché quel primo orientamento dei nostri atti verso il fine – quindi, la volontà verso il bene, l’intelletto verso il vero – avviene mediante la legge naturale. Chiaro? La legge naturale fonda precisamente il fatto che l’uomo agisca tramite la ragione e la volontà: è il suo fondamento. Non c’è contrasto tra il fatto che l’uomo agisca tramite ragione e volontà e il fatto che l’uomo in qualche modo sia orientato al suo fine per legge naturale. È proprio della legge naturale che l’uomo agisca tramite la ragione e la volontà.

Anche l’altra obiezione potremmo sentirla molto nel nostro tempo: se uno è libero, non è soggetto alla legge; l’uomo è libero rispetto agli altri animali, quindi non è soggetto come loro alla legge naturale. Come risponde san Tommaso? Dice che tutti, animali e uomini, partecipano alla legge eterna. Abbiamo visto che la legge eterna è ciò che caratterizza ogni creatura e la creazione in quanto tale, quell’ordine che è stato impresso in ogni cosa. Tommaso spiega: «Siccome però le creature razionali la partecipano mediante l’intelletto e la ragione [a differenza delle altre creature], questa partecipazione viene detta legge in senso proprio» (ibidem). Attenzione, proprio perché l’uomo partecipa, tramite intelletto e ragione, questa partecipazione «viene detta legge in senso proprio». E perché? La legge, dice san Tommaso, «appartiene alla ragione. Invece, le creature irrazionali non ne partecipano mediante la ragione, per cui nel loro caso non si può parlare di legge, se non in senso metaforico» (ibidem). Cioè, se la legge è una ordinatio rationis, chi è dotato di ragione ne partecipa in modo più pieno rispetto a chi non è dotato di ragione e in qualche modo semplicemente “la subisce”. Tanto più l’uomo è caratterizzato da libertà e ragione, da volontà e intelligenza, tanto più egli partecipa di questa legge eterna. Ecco, dunque, il senso della legge naturale, che chiaramente è questa partecipazione.

Se la legge naturale è questa partecipazione della legge eterna alla creatura razionale, l’uomo, allora uno potrebbe dire: “Basta, abbiamo una legge eterna partecipata, quindi una legge naturale, non serve altro”. Invece san Tommaso nell’art. 3 della quæstio 91 si pone proprio questa domanda: ma esiste una legge umana? Che senso ha parlare di una legge umana? E l’obiezione che egli si auto-muove è proprio questa: se la legge naturale è quello che abbiamo detto, dovrebbe essere sufficiente. Invece san Tommaso dice “no”: esiste una legge umana. «È necessario che la ragione umana, dai precetti della legge naturale, come da principi universali e indimostrabili, arrivi a disporre delle cose in maniera più particolareggiata. E queste particolari disposizioni, elaborate dalla ragione umana, vengono dette leggi umane, se si riscontrano le altre condizioni richieste per la nozione di legge» (I-II, q. 91, a. 3).

Allora, che cos’è la legge umana? La legge umana è una sorta di derivazione, nei casi particolari – perché la vita è fatta di situazioni precise e circostanziate –, dei principi universali della legge naturale. Dunque, il fondamento della legge umana è la legge naturale. Ma perché? Perché la legge umana, se è legge – san Tommaso dice «se si riscontrano le altre condizioni richieste per la nozione di legge» –, è legge: e se è una legge, è una ordinatio rationis. E se è una ordinatio rationis, allora chiaramente essa attinge da quella partecipazione, alla creatura razionale, della legge eterna, che è la legge naturale, legge eterna partecipata. La legge naturale mi dà i principi da cui trarre le leggi umane degne di questo nome, cioè le leggi umane che siano veramente degli ordinamenti della ragione, con le altre tre caratteristiche di cui abbiamo parlato anche all’inizio di questa lezione.

Così san Tommaso risponde a quell’obiezione secondo cui sarebbe sufficiente la legge naturale: «In campo pratico l’uomo è partecipe naturalmente della legge eterna secondo certi principi universali, ma non secondo le direttive particolari dei singoli atti, che tuttavia sono contenute nella legge eterna. Perciò è necessario che la legge umana passi a stabilire particolari decreti legali» (ibidem). Cioè, l’uomo ha dei principi, partecipa della legge eterna con dei principi; ma, in ragione della sua natura, non è in grado di esaurire tutti gli aspetti della legge eterna che gli viene partecipata. La ragione umana coglie i suoi principi, e da questi principi trae, come da principi universali indimostrabili e ricevuti (la legge eterna non va dimostrata; i principi della legge eterna sono ricevuti, non vanno dimostrati, quindi chiaramente non vanno messi in questione, come non si mettono in questione dei postulati), le applicazioni, le conseguenze: di qui le leggi umane.

Dunque, ancora una volta, vediamo come nella mente di san Tommaso non ha senso una contrapposizione tra la legge naturale e le leggi umane. Le leggi umane che non discendono dalla legge naturale, semplicemente, non hanno natura di legge. Punto. Perché non hanno la caratteristica di quella ordinatio rationis, che è propria della legge naturale, che è partecipazione della legge eterna. Deve esserci questo fondamento importantissimo in Dio, delle leggi umane, della legge naturale e quindi della legge eterna: questa è la scala, più che di derivazione, di partecipazione. Termine che ho già tirato fuori molte altre volte, densissimo, importantissimo, presente ovunque nell’opera di Tommaso.

Quarto e ultimo articolo per quel che ci interessa (ce ne sarebbero altri due a completamento della quæstio 91). San Tommaso si pone un’altra domanda, cioè dice: abbiamo una legge eterna, abbiamo una legge naturale, abbiamo delle leggi umane che sono la concretizzazione circostanziata dei principi della legge naturale, allora che senso ha parlare di una legge divina positiva? Cos’è una legge divina positiva? Dei comandi, dei comandamenti espliciti di Dio, per esempio i Dieci comandamenti. Quali obiezioni si potrebbero muovere alla presenza di una legge divina positiva, cioè al fatto che Dio comandi esplicitamente qualcosa? Chiaramente l’obiezione fondamentale sarebbe quella di dire: “Se ho già la legge naturale, se ho già le leggi umane, la legge divina è un doppione dell’uno e dell’altro; o è un doppione della legge naturale o è un doppione della legge umana, perché o sono dei principi – e allora ho la legge naturale – o sono delle conseguenze nelle circostanze concrete – e allora ho già la legge umana”.

Seconda obiezione: nell’applicazione pratica l’uomo si deve governare con la propria ragione, ecco perché esistono le leggi umane, cioè la ragione dell’uomo dirige i propri atti e gli atti della comunità nelle situazioni, tramite appunto la ragione. E dunque la legge divina non diventa forse un elemento esterno? Un elemento quasi concorrente o addirittura opprimente rispetto a questo ruolo della ragione che deve governarsi e governare?

Allora, nel corpo dell’art. 4, san Tommaso presenta quattro ragioni per cui invece è necessaria la legge divina, che poi, come vedremo, rispondono a queste due obiezioni fondamentali. Il primo e più decisivo, fondamentale motivo (non che gli altri non siano importanti) per cui è necessaria la legge divina positiva, san Tommaso ce lo spiega in questo modo: l’uomo ha un fine ultimo – ricordate le lezioni che abbiamo dedicato a questo tema – unico, che ha una caratteristica, ossia è soprannaturale. Cioè, questo fine ultimo sorpassa le facoltà dell’uomo. Dunque, per raggiungere questo fine, all’uomo non basta la legge naturale della creazione, appunto perché il fine è soprannaturale; e non gli bastano chiaramente le leggi umane che egli stesso pone in essere come applicazioni nel concreto dei principi generali della legge naturale, perché siamo comunque al livello della legge di creazione, della legge naturale.

Ora, l’uomo ha un fine che non contraddice, ma che eccede questo ordine naturale. E dunque san Tommaso spiega: «Essendo l’uomo ordinato al fine della beatitudine eterna, la quale sorpassa (...) le capacità naturali dell’uomo, era necessario che egli fosse diretto al suo fine, al di sopra della legge naturale e umana, da una legge data espressamente da Dio» (I-II, q. 91, a. 4). Dio ci dà una legge speciale, specifica, perché l’uomo ha un fine che oltrepassa la sua natura; e, dunque, Dio interviene a mostrare all’uomo il cammino da percorrere per raggiungere questo fine. Chiaramente non si tratta, ripeto, di due ordini in contrasto, divergenti, ma sono pur sempre due ordini: l’ordine naturale è ordinato al fine soprannaturale, ma al tempo stesso l’ordine naturale, da solo, non è in grado di ordinare al soprannaturale. Questo è il senso radicale, fondamentale, per cui è necessaria una legge divina: non è un doppione della legge naturale, non è un doppione delle leggi umane.

Secondo motivo più “pratico”. San Tommaso ci dice che «a proposito degli atti umani ci sono troppe diversità di valutazione, data l’incertezza dell’umano giudizio, specialmente riguardo ai fatti contingenti e particolari. Affinché dunque l’uomo potesse sapere senza alcun dubbio quanto deve fare, o evitare, era necessario che nei suoi atti fosse guidato da una legge rivelata da Dio nella quale non ci può essere alcun errore» (ibidem). Dunque, questa affermazione risponde a tante domande fondamentali, che qualcuno ha anche posto via email. E cioè: l’uomo ci può arrivare o no a certe cose, a capire che non deve uccidere, che non deve commettere adulterio, eccetera? La risposta è: dipende, potenzialmente sì, ma di fatto la ragione umana ha comunque dei limiti, tanto più perché dopo il peccato originale si è oscurata, è incerta, subisce anche l’incertezza che le viene dalle passioni disordinate. Posso avere il principio chiaro: fare il bene, evitare il male. Ma poi, nel contesto concreto, quando entro nella situazione particolare, mi posso perdere. Ora, perché gli uomini non si perdano, perché possano sapere senza alcun dubbio, come dice san Tommaso, cosa fare e cosa evitare, ecco che Dio interviene con una legge divina positiva. La quale, dunque, non è un intralcio, non è un peso, non è qualcosa di cui possiamo fare a meno e speriamo che ce ne siano poche e quelle poche che ci sono le facciamo sparire, secondo una certa tendenza odierna nel mondo della teologia morale… La legge divina positiva, rivelata, è un bene. Perché, se io sono in mezzo alla nebbia e non so che strada devo prendere, se vedo un cartello dico: “Oh, menomale!”. Non dico: “Maledetto questo cartello, si stava così bene a girare attorno a questa rotonda…”. Scusate la banalità, ma a volte è a questi livelli che si giocano obiezioni invece molto articolate.

Terza ragione per cui è necessaria, è importante ed è una benedizione la legge divina rivelata. San Tommaso dice che «l’uomo si limita a legiferare su ciò che può giudicare». E su che cosa può giudicare l’uomo? Sui fatti esterni, su atti esterni. L’uomo non può legiferare sugli atti interni. Non può esserci una legge che ti dica che non devi pensare di volere il male di una persona. Chi la verifica? Poi si crea quello che si sta creando oggi, lo psicoreato, l’interpretazione del pensiero, che è una follia completa. Le leggi giudicano perciò gli atti esterni.

«E tuttavia – dice san Tommaso – la perfezione della virtù richiede che l’uomo sia retto negli uni e negli altri», sia negli atti esterni che negli atti interni. Ecco dunque che la legge divina viene a indicarci anche le disposizioni interne. Vediamo i due lati della medaglia. Prima di tutto, il fatto che sia la legge divina a entrare, a regolare, normare gli atti interni significa che non ci deve entrare un’altra legge e, dunque, questo ci mette al riparo da tutti i potenziali psicoreati che l’uomo s’inventa per dominare, opprimere le persone, gli individui, le piccole comunità.

L’altro lato della medaglia è che la perfezione dell’atto dell’uomo implica l’interno e l’esterno, gli atti interni e gli atti esterni. E dunque Dio non ci lascia sprovvisti di quelle indicazioni che hanno valore di legge divina che riguardano gli atti interni. Pensiamo a quello che il Signore dice nel Vangelo: «Avete inteso che fu detto (…), ma io vi dico: se uno guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio» (cf. Mt 5,27-28). Questo “guardare per” è un atto interno e Dio interviene e legifera su questo: solo Dio può legiferare sugli atti interni dell’uomo. E questo legiferare sugli atti interni dell’uomo è una luce per l’uomo, perché l’uomo non si perda non solo nell’incertezza dei giudizi esterni – seconda ragione dell’importanza della legge divina –, ma non si smarrisca anche nel perdere il giudizio sui propri atti interni, terza ragione della necessità della legge divina.

Quarta e ultima ragione, curiosa, della necessità della legge divina. Ci dice san Tommaso: «La legge umana non è capace di punire e di proibire tutte le azioni malvagie, perché se volesse colpirle tutte, verrebbero eliminati molti beni e sarebbe compromesso il bene comune, che è necessario all’umano consorzio» (ibidem). Cioè, non tutto ciò che è peccato è proibito dalla legge umana, lo abbiamo già visto la volta scorsa. Ed è importante che sia così, perché a volte la tolleranza di un male è meglio della sua punizione: chiaramente dipende di cosa stiamo parlando. Pensiamo per esempio a un atto impuro che una persona commette da sola, con sé stessa: è chiaro che è un peccato, ma immaginatevi che cosa vorrebbe dire se, essendo peccato, la legge umana dovesse intervenire a punirlo. Andrebbe leso che cosa? Un diritto fondamentale della persona, quello alla propria riservatezza, oggi si chiama privacy.

Eppure, ci dice san Tommaso, «perché nessuna colpa rimanga impunita» – cioè non si pensi che il bene coincida solo con l’osservanza di quelle leggi che puniscono solo alcuni mali e non tutti; e non si pensi che quelli che non vengono puniti dalle leggi umane non sono un male e quindi si possono fare… – ecco che abbiamo la legge divina positiva, che ci proibisce quello che una legge umana non può proibire. Di nuovo, vediamo anche il ruolo di tutela della legge divina. La legge divina interviene anche per lasciar fuori certe leggi umane, per esempio dagli atti interni o da alcuni atti malvagi non interni e che tuttavia non è bene che vengano perseguiti dalla legge per non creare uno Stato etico e di polizia.

Leggiamo il finale, molto bello, con cui Tommaso riassume i quattro motivi per cui è buono, giusto e necessario che ci sia una legge divina positiva. Commenta il versetto 8 del Salmo 18: «“La legge del Signore è perfetta”, cioè non ammette alcuna bruttura di peccato [è il quarto motivo, mentre le leggi umane devono in qualche modo concedere, diciamo così, alcuni peccati per un bene più grande, non punendoli. Invece, la legge del Signore è perfetta, quindi non permette alcun peccato, nulla di male deve entrare nell’azione dell’uomo]; “rinfranca l’anima”, poiché regola non soltanto gli atti esterni, ma anche quelli interni [rinfranca l’anima nella sua interiorità, è il terzo motivo dell’importanza della legge divina]; “la testimonianza del Signore è verace”, per la certezza della verità e della rettitudine [è il secondo motivo: vincere l’incertezza del giudizio umano]; “rende saggio il semplice”, in quanto ordina l’uomo al fine soprannaturale e divino [che è il primo e più importante motivo della necessità della legge divina positiva]» (ibidem).

La prossima volta proseguiamo con la nostra riflessione.



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Il fine soggettivo della Creazione - che è opera di tutte e tre le persone della Trinità - è la libera bontà di Dio, che vuole condividere il proprio bene. Il fine oggettivo, cioè lo scopo di ciò che è creato, è perciò la gloria di Dio. Ogni cosa creata porta in sé l'impronta del Creatore. Per questo il primo atteggiamento che dobbiamo avere davanti alla creazione è un atteggiamento di contemplazione, non di uso.