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EFFETTO SCHLEIN

Le case dei diritti negati, dove la gaycrazia è realtà

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Nei comuni Pd, il discriminato Lgbt+ ha accesso ai fondi pubblici più di altri. A Milano lo sportello della Casa dei diritti non è per le donne incinte cacciate, nonostante un'apposita legge; a Reggio Emilia, la Casa Arcobaleno è del Comune, ma è Arcigay che decide chi deve entrare. L'inchiesta in incognito della Bussola svela che la gaycrazia è già realtà. 

Vita e bioetica 02_03_2023

Elly Schlein è il nuovo segretario del Pd e gongolano soprattutto le sigle Lgbt+, che l’hanno fortemente voluta alla guida del Nazareno. Anzi, si può dire che Arcigay et similia siano tra i grandi elettori di Elly, la quale, si presenta come paladina dei diritti in salsa omo, essendo lei per sua stessa ammissione bisessuale o per usare un termine oggi in voga non binaria.  

Con la Schlein le milizie omosessualiste sperano di realizzare, dunque, anche la tanto agognata gaycrazia, che provvedimenti come il Ddl Zan vorrebbero imporre a tutti. L’hanno eletta per questo e non è un caso che l’estensore del contestato e liberticida Ddl sia stato tra i suoi principali supporter alle primarie di domenica.  

La gaycrazia, o lgbtcrazia sarà dunque uno dei leitmotiv della nuova segreteria, ma le avvisaglie le vediamo già da tempo in un partito come il Pd che ancora vuole fare credere che i gay siano discriminati quando semmai sono la quintessenza della tutela declinata in chiave politically correct.  

Due casi interessanti possono mostrare il grado di infiltrazione di questa dittatura gender nelle pubbliche amministrazioni Pd e che sarà sicuramente accentuata adesso che la segreteria Dem è “finalmente” a trazione arcobaleno. Ecco che cosa ci aspetta.  

Il primo caso ha come teatro Reggio Emilia, dove da novembre il Comune targato Pd ha messo a disposizione di Arcigay un appartamento di edilizia popolare con il solo scopo di dare ospitalità a un certo tipo di “rifugiati”: gay e trans cacciati di casa per la loro condizione.  

Delle ambiguità di questa discutibile operazione con i beni della collettività, la Bussola si era occupata a suo tempo quando il gruppo consigliare leghista in Regione aveva chiesto delucidazioni all’assessore della giunta di Stefano Bonaccini mettendo in discussione non solo la correttezza dell’operazione, svoltasi attraverso un apposito bando, ma anche la sua fumosità dato che per dare appartamenti a presunti discriminati (i supposti gay cacciati) bisogna toglierli ad altri magari più bisognosi e con più diritti in graduatoria.  

Ebbene, la consigliera del Carroccio Maura Catellani ha poi ricevuto risposta dall’assessore regionale alle pari opportunità Barbara Lori, la quale le ha essenzialmente confermato che la casa non è gestita da Acer (l’azienda per le case popolari della Regione), ma direttamente da Arcigay, che decide, dunque, a suo insindacabile giudizio chi deve entrare, chi è discriminato, da chi e a che livello. Il controllo pubblico sull’assegnazione dei letti è completamente assente: pensa a tutto Arcigay.  

La reazione della Catellani non si è fatta attendere il 2 febbraio scorso quando, nel replicare alla titolare delle Pari Opportunità si è definita non soddisfatta della risposta perché “abbiamo parlato di soldi pubblici, quindi, il conoscere come queste persone vengono scelte dovrebbe essere fondamentale”, ha detto stigmatizzando la discrezionalità del concessionario e aggiunto “che può portare ad una nuova discriminazione verso un soggetto che avrebbe diritto di entrare, e tutto questo il pubblico non è nemmeno in grado di controllarlo”.  

Per far comprendere che la questione dell’alloggio è “cosa loro”, è persino successo che, alle legittime richieste della consigliera regionale che ha utilizzato il suo ruolo di eletta in assemblea per chiedere spiegazioni e formulare critiche, Arcigay abbia reagito stizzita all’esponente del Carroccio per il solo fatto di aver anche solo provato ad indagare. Invitato a parlare il 15 febbraio alla I Commissione, il presidente di Arcigay Rimini Marco Tonti ha bollato come “attacchi beceri e omofobi le interrogazioni strumentali per colpire e intimidire realtà che stanno cercando di strutturarsi per contrastare gli effetti dell’odio transfobico”. Della serie: si danno le case, poi bollano di omofobo chiunque si permette di criticare.  

Effettivamente, la discrezionalità sull’assegnazione dell’alloggio pubblico del Comune è davvero in capo ad Arcigay. Come la Bussola ha potuto verificare direttamente telefonando alla Casa Arcobaleno reggiana. Per squisite ragioni di cronaca, onde evitare risposte “accomodanti”, questa volta non ci siamo presentati, ma ci siamo finti operatori di una fantomatica onlus che opera nel sociale. Abbiamo presentato il caso: una persona trans che è stata cacciata dalla sua comunità perché ha intrapreso il percorso cosiddetto di detransition, cioè ha deciso di smettere di essere trans e ora chiede aiuto dopo essere stata cacciata.  

Dall’altra parte del ricevitore, una gentile addetta ci ha risposto che “è la prima volta che ci vengono fatte richieste di questo tipo, di solito accade il contrario perché noi diamo ospitalità a persone trans che vengono cacciate di casa a causa della loro scelta di vita”. In ogni caso, ci ha proposto di inviare una mail illustrativa del caso e poi ci avrebbero pensato loro a indirizzare, eventualmente, quella persona all’ospedale. Ha confermato che la decisione su chi viene accolto spetta unicamente a loro, cioè ad Arcigay.  

Una discrezionalità simile avviene, cambiando amministrazione, nel comune di Milano, ma rimanendo sempre nell'ambito Pd. Qui, il Comune ha aperto la Casa dei diritti, nata sotto l’amministrazione Sala “con l’obiettivo di rappresentare un polo unico per l’affermazione dei diritti di tutti, ma anche per la difesa di quelli che ogni giorno vengono violati”.  

Ma di quali diritti si tratta?  

Anche qui ci siamo finti operatori e abbiamo chiesto informazioni a favore di una ragazza incinta, cacciata di casa dai genitori che volevano costringerla ad abortire; lei è intenzionata a tenere il bambino e pertanto cerca un aiuto e un tetto. La risposta della centralinista non si è fatta attendere: “Non è questa la sede, ci occupiamo solo di persone transgender o omosessuali discriminati oppure di donne vittima di violenza derivante dalla tratta”. Facciamo notare che anche in questo caso si tratta di una violenza, anche se non legata al racket della prostituzione. A quel punto la donna ci invia ad un responsabile della casa.  

Una volta contattato, il signor Ermanno Foini, ci spiega che per questo tipo di problematiche se ne occupa il Cav Mangiagalli: “Se volete posso prenotarvi un incontro con le assistenti sociali del Comune”, ci risponde. Ringraziamo, ma diciamo che conosciamo la realtà della Mangiagalli e che, nel caso, ci saremmo rivolti direttamente noi.  

La risposta evidenzia un primo dato. Se si tratta di gay discriminati o cacciati di casa dai genitori, a farsi carico di loro è direttamente il pubblico, se invece si tratta di ragazze incinte che non vogliono abortire e subiscono comunque una pesante discriminazione in ambito famigliare, a prendersi cura di loro è il privato sociale. Lodevole, perché comunque viene rispettata la collaborazione tra la Mangiagalli e il Comune in un’ottica di sussidiarietà, ma vuoi mettere la differenza tra un servizio offerto direttamente dal Comune e finanziato con i soldi dei contribuenti da uno squisitamente privato, anche se convenzionato?  

Questa differenza di trattamento pone, infine, un secondo problema che la dice lunga su come la Casa dei diritti venga considerata. La proprietà è di una cooperativa, ma il Comune si fa carico dei due terzi della spesa mensile, che nel 2019 ammontava a circa 3500 euro al mese. Mentre l’help center inaugurato nel 2020 per dare ascolto e aiuto a chi è discriminato per “l’orientamento sessuale, l’identità di genere, l’origine etnica e religiosa, la disabilità fisica”, è interamente finanziato dal Comune di Milano dai Fondi ministeriali della Legge 285/1997.  

Ebbene: si tratta di una legge nata sotto il Governo Prodi I nella quale si istituisce il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza. Al comma g dell’articolo 4 si dice espressamente che il Fondo è destinato anche per “la realizzazione di case di accoglienza per donne in difficoltà con figli minori, o in stato di gravidanza”. Eppure, per quel tipo di donne in difficoltà, l’offerta di accoglienza avviene fuori dal Comune. 

Questi due episodi mostrano chiaramente come, col Pd alla guida di un'amministrazione, le discriminazioni che vengono combattute con i soldi pubblici sono solo quelle che riguardano gli omosessuali, per quelle inerenti la vita nascente, per fortuna che ci pensa il privato sociale. Ma la discriminazione resta. Con la Schlein alla guida del Pd questo schema rischia di essere replicato anche in altre realtà.