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FINANZA

Le Borse affondano: è l'ennesima bolla che scoppia, non una bocciatura di Trump

Nelle ultime settimane abbiamo assistito a una marcata correzione delle Borse, in specie statunitensi, con gli indici principali che hanno ceduto anche oltre il 10% del valore. I mercati stanno punendo le politiche di Trump? Si tratta di una lettura affrettata.

Economia 13_03_2025
Wall Street (La Presse)

Ogni qualvolta accadono tracolli sui mercati finanziari, i commentatori si affannano a fornire spiegazioni, ovviamente sempre ex-post, portando acqua al proprio mulino. Se le cause reali delle discese in Borsa fossero davvero interpretabili come un semplice rapporto lineare di causa-effetto, forse le discese sarebbero anche prevedibili prima che capitino e non soltanto spiegabili dopo che si sono verificate. Data la molteplicità delle possibili cause e la complessità del reale, ogni spiegazione semplice risulta necessariamente anche semplicistica, col rischio di cadere nella fallacia logica del post hoc, ergo propter hoc: la conseguenza temporale non è mai garanzia, di per sé, di un nesso causale.

Trump ha annunciato politiche di dazi; tali politiche sono senza dubbio dannose anche per i Paesi che le impongono; quindi le Borse sono scese. Un vero e proprio paralogismo, un cattivo ragionamento. Nessun dubbio, infatti, che le politiche protezionistiche siano davvero controproducenti, anche per il Paese che le impone, se non altro in termini di maggiore prelievo fiscale, inflazione importata, redistribuzione ingiustificata della ricchezza e distorsioni nell’allocazione ottimale degli investimenti. I danni concreti dipenderanno ovviamente dai livelli dei dazi, dalla loro estensione nel tempo e nello spazio: l’impressione per il momento rimane quella che Trump li consideri come armi negoziali per spingere gli avversari, e anche gli alleati, ad allinearsi alla propria agenda, sia in campo economico che in campo geopolitico.

I danni delle politiche protezionistiche all’economia reale si vedranno nel medio-lungo periodo: anche se non si può escludere che le vendite siano in parte anche dovute a una preoccupazione per il rischio di escalation nelle guerre commerciali, rimane il fatto che analizzando i trend borsistici nel corso degli anni risultano sempre più evidenti almeno due fenomeni.

Il primo, una forte decorrelazione tra le tendenze borsistiche e l’economia reale: in un mondo “normale” le quotazioni azionarie dovrebbero scontare le attese sugli utili aziendali prospettici e quindi se l’economia va bene anche le Borse dovrebbero andare bene. Una correlazione che rimane vera in termini molto “alti”, ma che non riesce a spiegare tendenze marcatamente al rialzo, per periodi anche molto lunghi, in corrispondenza di situazioni economiche negative. Pensiamo, ad esempio, ai forti rialzi durante la crisi sanitaria CoViD-19, la cui gestione politica ha sicuramente danneggiato in modo grave il tessuto delle micro, piccole e medie imprese dei vari Paesi.

Il secondo, una forte decorrelazione tra le tendenze borsistiche e i cicli politici. Anche qui, nonostante i politici di vari colori si affannino per attribuirsi i meriti dei rialzi di Borsa, e gli oppositori specularmente cerchino di scaricare sugli avversari politici le cause dei tracolli, un esame disincantato dei numeri dimostra che non esistono correlazioni chiare. Le Borse salgono con pessimi governi e scendono con buoni governi, e viceversa; possono salire con economia in crescita e scendere con economia in calo. Insomma, analizzando le tendenze si trova proprio di tutto, e ciò dovrebbe rendere più prudenti quei commentatori che si affrettano ad attribuire il merito dei rialzi alla propria parte politica e i demeriti agli avversari: sempre ex-post, ovviamente, perché prima non ci riesce nessuno. Strano, se fosse davvero così logico e così semplice perché nessuno riesce a prevedere simili fenomeni?

Ma allora perché le Borse salgono e perché scendono, se le correlazioni con l’economia reale e con i cicli politici sono sempre più vaghe? Una prima spiegazione, apparentemente banale e tautologica, è che le Borse scendono quando c’è più pressione sulle vendite che non sugli acquisti. È l’eterna legge della domanda e dell’offerta: quando i grandi fondi decidono di alleggerire le posizioni i mercati scendono. E perché i grandi fondi decidono di vendere? Beh, questo bisognerebbe domandarlo ai gestori dei principali fondi mondiali, come BlackRock, Vanguard, Fidelity e State Street, che fanno il mercato. In genere si può dire che la variabile dominante rimane la liquidità: quando entra liquidità sui mercati questi salgono, quando viene drenata liquidità questi scendono. È quanto è accaduto pochi mesi dopo lo scoppio della crisi sanitaria: con un’economia che si avvitava le Borse presero improvvisamente a volare perché le Banche centrali iniziarono a iniettare fiumi di liquidità creata ex-nihilo nei circuiti finanziari e i governi a spendere in deficit come un marinaio ubriaco. Il rialzo borsistico derivante è stato un classico caso di asset class inflation, cioè di inflazione degli asset, a cui è seguita, a partire dalla primavera-estate 2021 anche l’inflazione in senso comune, cioè il rialzo generalizzato dei prezzi di beni e servizi. Un evidente caso di trasferimento di ricchezza dai titolari di redditi fissi, in particolare salari e stipendi, alle classi più abbienti.

La verità è che il mercato finanziario non è più un vero “mercato”, in quanto eterodiretto politicamente e controllato di fatto da pochi grandi fondi di investimento, dove l'unica variabile che conta – oltre alle politiche fiscali dei governi – alla fine della fiera è proprio la liquidità: liquidità che viene gestita dalle banche centrali, bracci armati dei rispettivi governi, e dal sistema delle banche commerciali a riserva frazionaria. Le dinamiche finanziarie perdono i contatti con la realtà dell’economia sottostante, sempre meno libera, e quindi si può passare da una situazione di euforia a una di panico senza soluzione di continuità, solo perché a un certo punto i flussi di venditori, schiacciando un interruttore, hanno rotto la diga. Ciò deve farci riflettere sul fatto che la finanza dovrebbe tornare a essere uno strumento al servizio dell'economia reale e non vivere di vita propria, in modo autoreferenziale. I mercati finanziari dovrebbero tornare a essere mercati veri, non più gestiti politicamente e condizionati dall'operato delle banche centrali, e dei governi. Ne va della libertà economica e della tutela del risparmio. L’alternativa è avere dei cicli economici e finanziari sempre più accentuati in cui senza motivazione evidente si passa da una situazione molto positiva a una molto negativa, o viceversa.

Lasciamo quindi ad altri le spiegazioni partigiane di rialzi e discese di Borsa, mischiando l’analisi economico-finanziaria al tifo politico. Le tendenze di fondo della Borsa non sono un giudizio anti-Trump, quando la Borsa scende, ma neppure pro-Trump, quando la Borsa riprenderà a salire. I mercati finanziari vivono sempre più di logiche proprie, purtroppo, e ogni tentativo di spiegare ex-post cause ed effetti lascia davvero il tempo che trova.