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I CUORI SVELATI

L’ateneo cattolico: il Covid-19 mette a rischio Ramadan e migranti

Com’è possibile che - con la Santa Pasqua alle porte, e milioni di cristiani impossibilitati a recarsi in chiesa – il problema di un ateneo cattolico possano essere il venturo Ramadan e i migranti? Eppure è così. La Georgetown University, l’ateneo cattolico più antico del Paese, si preoccupa di capire come aiutare in emergenza Covid-19 queste due categorie.

Ecclesia 11_04_2020

Ad ormai poco dalla santa Pasqua, c’è chi sembra non essersene ancora accorto; il che in tempi di secolarizzazione non costituisce purtroppo una novità, non in senso assoluto almeno. Rappresenta però un’anomalia – e anche assai allarmante – nel momento in cui, ad ignorare l’evento pasquale e la Settimana Santa, fulcro della fede cara a miliardi di cristiani nel mondo, è un ateneo cattolico. E si dà il caso che purtroppo sia proprio quanto accaduto non più tardi di lunedì negli Stati Uniti, precisamente alla Georgetown University, che, fondata dal padre gesuita John Carroll 230 anni fa, rappresenta la più antica università cattolica americana nonché uno dei più prestigiosi atenei del Paese.

Nello specifico, è accaduto che si è organizzata, inevitabilmente via web, The Covid-19 Crisis: Taking Stock of Religious Responses, una conferenza sulle risposte e soluzioni religiose in tempi di pandemia ospitatadal Berkley Center for Religion, Peace and World Affairs della Georgetown University, per l’appunto. Fin qui tutto bene, anzi benissimo dato che la privazione dell’accesso alle funzioni pasquali – basti pensare alla situazione italiana – costituisce senza alcun dubbio uno degli aspetti più dolorosi di questo già drammatico periodo. Peccato che lunedì nell’ateneo dei gesuiti, di questo, non si sia parlato.

Infatti, nel corso del panel non è stato sfiorato né l’argomento degli impatti religiosi della pandemia nel campus né quello delle condizioni dei cristiani relativamente a detto tema; neppure il tema della Pasqua ebraica è stato ritenuto meritevole di attenzione. E allora di cosa si sarà mai parlato si chiederà adesso, giustamente, il lettore. La risposta è presto detta, anche se non è molto confortante dato che nella conferenza in oggetto il tema che ha ricevuto più attenzione sono state le conseguenze che le restrizioni in essere avranno, per la comunità islamica, nel prossimo mese di Ramadan.

Proprio così, non è uno scherzo. Tanto è vero che, tra gli intervenuti  - accanto al moderatore, Katherine Marshall del Berkley Center -, c’era anche l’imam Mohamed Magid, il quale non ha mancato di rappresentare le istanze della comunità dei fedeli cui appartiene. Accanto al leader islamico c’erano altri due relatori: Olivia Wilkinson, dirigente della Joint Learning Initiative on Faith and Local Communities, e David Robinson, consulente indipendente per le emergenze umanitarie. Quest’ultimo, nel suo intervento, ha portato l’attenzione anche al di là delle mere preoccupazioni del mondo islamico. Ma non ci si illuda: neppure Robinson ha osato farsi interprete della sensibilità dei cristiani.

Al contrario, egli si è limitato a ricordare un altro tema molto caro all’“ecclesialmente corretto”: quello dei rifugiati e dei migranti, indicate come persone «vulnerabili colpite in modo sproporzionato dalla pandemia». Ora, nessuno qui vuole ridicolizzare né ridimensionare le criticità che anche in questo periodo vivono i rifugiati – quelli veri, s’intende – in varie parti del mondo. Allo stesso modo, non si vuole qui alimentare alcuna polemica nei confronti dei seguaci di Maometto. Ciò nonostante, volendo pur fare uno sforzo per evitare qualsivoglia tono eccessivo, riesce davvero impossibile non chiederselo: com’è possibile?

Com’è possibile che - con la Santa Pasqua alle porte, e svariati milioni di cristiani impossibilitati dalla pandemia e da varie restrizioni a recarsi in chiesa per festeggiare la risurrezione di Cristo – il problema di un ateneo cattolico possano essere il venturo Ramadan e i migranti? Quale confusione spirituale e soprattutto quale mancanza di fede può aver condotto ad un paradosso di queste dimensioni? Già martedì, il giorno dopo l’assurda conferenza in parola, i redattori del sito College Fix hanno provato a vederci chiaro interpellando la dirigenza della Georgetown University. Ovviamente senza ottenere risposta.

Non resta quindi, davanti a fatti tanto sconvolgenti da apparire surreali, che augurarsi che la vittoria del Signore sulla morte, che i cristiani di tutto il mondo a breve festeggeranno, talora gravati da pesanti limitazioni, possa illuminare anche le menti e i cuori di quanti - pur lavorando in prestigiose università cattoliche - hanno da tempo anteposto il politicamente corretto alla loro religione, la sola autentica, finendo col dimenticarsi delle sofferenze dei loro fratelli nella fede.