L'apparente contraddizione del Natale
È solo un’apparente contraddizione quella di un Gesù che viene senza fermare la guerra, senza sradicare la povertà. Eppure pensando ai milioni di fratelli perseguitati nella fede e ai figli del divorzio e dell'aborto non si può non chiedersi come si possa sperare.
È solo un’apparente contraddizione quella di un Gesù che viene senza fermare la guerra, senza sradicare la povertà. Eppure pensando ai milioni di fratelli perseguitati nella fede, in Indocina, in Medio Oriente, in Africa, a quelli che hanno ricordato la nascita del loro Salvatore in un container (come i cristiani della Siria, ad esempio) o in un quartiere povero dell’India o in un slum egiziano non si può non chiedersi come si possa sperare.
Ancor peggio non si possono non ricordare le vittime del relativismo occidentale, i bambini dell’aborto o del divorzio (magari costretti a passare da una casa all’altra, riempiti di doni e benessere ma derubati del senso del vivere) senza domandarsi chi sia veramente quel Bambino che, unico nella storia, ha preteso di essere Dio fatto uomo venuto a salvare il mondo. Che sì nacque in una stalla, ma che ebbe, perlomeno, lo stretto necessario e l’amore incondizionato dei suoi genitori.
Eppure la Messa di Natale celebrata per la prima volta dopo quattro anni di guerra a Mosul nella Chiesa di san Paolo è stata partecipata da tutti i cristiani rimasti o tornati nella piana di Ninive, che hanno lodato con gioia e speranza a Cristo che nasce, come ha sottolineato il patriarca caldeo in Iraq Lousi Sako: “Con questa Messa, stiamo inviando a tutti un messaggio di pace e di gioia”.
Allo stesso modo in Occidente, Mary Wagner, canadese arrestata per la sua difesa delle madri e dei figli (entra nelle cliniche abortive per offrire alle donne un’alternativa all’aborto, infrangendo la legge che non permette nemmeno che si provi ad aiutarle a trovare un’altra via all’omicidio dei loro piccoli), ha partecipato anche quest'anno alla Messa di Natale celebrata in carcere. E lo ha fatto anche se sarebbe bastato sottoscrivere una dichiarazione in cui prometteva di tenersi lontana dalle cliniche abortive per essere liberata.
Non solo, perché in una lettera scritta in carcere Mary non si è lamentata, ma ha chiarito di essere lì per amore di Gesù, descrivendo un presepe “in attesa del Cristo Bambino - il simbolo del Verbo fatto carne, che abita in mezzo a noi, nella Chiesa e nel più piccolo degli esseri umani”. Perciò, ha continuato, “preghiamo affinché tutti i figli di Dio capiscano che il loro primo dovere è nei confronti del nostro Maestro. Noi siamo i suoi servi. Cerchiamo di non farci trovare negligenti nel nostro dovere verso di Lui”.
Si capisce che quel bambino, prima adorato dai Magi, che doveva adempiere le attese di salvezza messianica di Israele, è lo stesso che sarebbe dovuto andare in Croce e morire per poi risorgere. Salvandoci per mezzo di una sconfitta impensabile, apparentemente fallimentare. Contraddittoria appunto. Ma che da quando si è manifestata ha cancellato ogni disperazione, ogni obiezione al male, ai patimenti, alle persecuzioni e anche alla morte. Permettendo ai figli di Dio di intraprenderla, accettando di soffrire e offrire a Lui ogni affanno. Obbedendo alle circostanze quotidiane banali o estremanete dolorose o addirittura di martirio per la salvezza del mondo. Sapendo che solo così Lui può rinascere ancora oggi, donando al cuore l'amore che solo basta e la speranza in ogni situazione e nella vita Eterna.
Come ha ricordato Mary Wagner in cella: “Non pensavo di poter continuare su questa strada e non so se l’avrei mai imboccata, senza il dono della fede e la grazia che Dio, grazia su grazia, che Lui mi ha dato”. A dire che da quando quel Bambino è nato la povertà e la sconfitta sono diventate solo apparentemente tali, nascondendo il sé una potere sul mondo che nessun altro credo conosce.