L’anno di Francesco con i nuovi martiri cristiani
Esiliati, uccisi, crocefissi e decapitati per il solo fatto di essere cristiani. Da un anno, da quando cioè il mondo è sotto il terrore dell’Isis, papa Francesco non ha mai cessato di denunciare il genocidio dei cristiani, una persecuzione più cruenta oggi che nei primi secoli, e il silenzio della comunità internazionale.
Papa Francesco ha indirizzato una lettera a monsignor Maroun Lahham, vescovo ausiliare di Gerusalemme dei Latini e vicario patriarcale per la Giordania, in occasione del primo anniversario dell’arrivo nel Regno Giordano dei profughi iracheni in fuga dall'Isis. Il Papa ha denunciato «le atroci, disumane e inspiegabili persecuzioni di chi in tante parti del mondo – e soprattutto tra i cristiani – è vittima del fanatismo e dell’intolleranza, spesso sotto gli occhi e nel silenzio di tutti. Sono i martiri di oggi, umiliati e discriminati per la loro fedeltà al Vangelo». È occasione per riflettere sugli interventi di papa Francesco, negli ultimi dodici mesi, per richiamare l'attenzione del mondo sul tema dei cristiani perseguitati, uno dei più citati nel suo magistero. Dividendo i discorsi del Pontefice secondo i temi principali che affrontano, quello dei cristiani perseguitati e della libertà religiosa viene al secondo posto, subito dopo la misericordia. Non è possibile dare conto, tanto sono numerosi, di tutti gli interventi del Pontefice sul tema: mi limito a ricordare i più significativi.
L'anno in cui Francesco ha accompagnato i cristiani perseguitati, levando la voce perché il mondo presti attenzione al loro dramma, si è aperto il 16 agosto 2014 in Corea. Richiamando l'esempio dei martiri coreani, il Papa ha affermato che il martirio è una dimensione essenziale della vita della Chiesa e che i martiri ci sono ancora oggi. Al viaggio in Corea ha fatto seguito quello in Albania, dove il Papa ha ricordato le vittime del comunismo. Di ritorno a Roma, il 24 settembre 2014, Francesco ha definito quello albanese un «regime ateo e disumano». «Percorrendo il viale principale di Tirana che dall’aeroporto porta alla grande piazza centrale», ha raccontato, «ho potuto scorgere i ritratti dei quaranta sacerdoti assassinati durante la dittatura comunista e per i quali è stata avviata la causa di beatificazione. Questi si sommano alle centinaia di religiosi cristiani e musulmani assassinati, torturati, incarcerati e deportati solo perché credevano in Dio. Sono stati anni bui, durante i quali è stata rasa al suolo la libertà religiosa ed era proibito credere in Dio, migliaia di chiese e moschee furono distrutte, trasformate in magazzini e cinema che propagavano l’ideologia marxista, i libri religiosi furono bruciati e ai genitori si proibì di mettere ai figli i nomi religiosi degli antenati». Ma il sangue dei martiri «non è stato versato invano» e «i martiri non sono degli sconfitti, ma dei vincitori: nella loro eroica testimonianza risplende l’onnipotenza di Dio».
Il 12 novembre 2014, all'udienza generale, Francesco ha ricordato «le drammatiche vicende dei cristiani che in varie parti del mondo sono perseguitati e uccisi a motivo del loro credo religioso» e «le comunità cristiane duramente colpite da un’assurda violenza che non accenna a fermarsi». «Ancora una volta», ha aggiunto, «rivolgo un accorato appello a quanti hanno responsabilità politiche a livello locale e internazionale, come pure a tutte le persone di buona volontà, affinché si intraprenda una vasta mobilitazione di coscienze in favore dei cristiani perseguitati. Essi hanno il diritto di ritrovare nei propri Paesi sicurezza e serenità, professando liberamente la nostra fede». Nel viaggio successivo, quello del 25 novembre 2014 a Strasburgo, il Papa ha ricordato al Parlamento europeo «le numerose ingiustizie e persecuzioni che colpiscono quotidianamente le minoranze religiose, e particolarmente cristiane, in diverse parti del mondo. Comunità e persone che si trovano ad essere oggetto di barbare violenze: cacciate dalle proprie case e patrie; vendute come schiave; uccise, decapitate, crocefisse e bruciate vive, sotto il silenzio vergognoso e complice di tanti».
Il 28 novembre 2014 - nel corso di un nuovo viaggio, questa volta in Turchia -, Francesco ha detto ai musulmani che ha incontrato al Diyanet, il ministero degli affari religiosi turco, che «veramente tragica è la situazione in Medio Oriente, specialmente in Iraq e Siria.», dove «soprattutto a causa di un gruppo estremista e fondamentalista, intere comunità, specialmente – ma non solo – i cristiani e gli yazidi, hanno patito e tuttora soffrono violenze disumane», che hanno aggredito «anche edifici sacri, monumenti, simboli religiosi e il patrimonio culturale, quasi a voler cancellare ogni traccia, ogni memoria dell’altro». Nel passaggio più forte del discorso, Francesco ha affermato che «in qualità di capi religiosi, abbiamo l’obbligo di denunciare tutte le violazioni della dignità e dei diritti umani. La vita umana, dono di Dio Creatore, possiede un carattere sacro. Pertanto, la violenza che cerca una giustificazione religiosa merita la più forte condanna, perché l’Onnipotente è Dio della vita e della pace».
Il 21 dicembre 2014, Papa Francesco ha pubblicato una «Lettera ai cristiani del Medio Oriente», dove ha nuovamente denunciato una «organizzazione terrorista» capace di «azioni prima inimmaginabili, che commette ogni sorta di abusi e pratiche indegne dell’uomo, colpendo in modo particolare alcuni di voi che sono stati cacciati via in maniera brutale dalle proprie terre, dove i cristiani sono presenti fin dall’epoca apostolica». Dopo avere denunciato nel messaggio di Natale 2014 «gli attuali Erode», che perseguitano anche i bambini, nel giorno successivo, Santo Stefano, ha affermato che Stefano non si limita a un cristianesimo “soft” ma pensa e agisce da cristiano in tutte le dimensioni della sua vita: per questo lo uccidono. La stessa scelta si presenta a noi oggi. I poteri forti tollerano un blando riferimento al cristianesimo, purché si tratti di un «pensare come cristiano» - magari neppure in tutti gli ambiti del pensiero - accompagnato dal «vivere come pagano». Non tollera invece la «coerenza cristiana, cioè pensare, sentire e vivere come cristiano». Chi pensa e vive così rischia il martirio, in diverse forme, ancora oggi. Nel viaggio del gennaio 2015 nello Sri Lanka e nelle Filippine, Francesco ha parlato ripetutamente della libertà religiosa, «diritto umano fondamentale» minacciato anche dalle «colonizzazioni ideologiche», termine con cui ha spiegato di fare riferimento al tentativo di imporre l'ideologia del gender.
Nell'udienza generale del 1° aprile 2015, il Pontefice ha ricordato don Andrea Santoro, il missionario romano assassinato in Turchia il 5 febbraio 2006, «un eroico testimone dei nostri giorni». Il caso di don Santoro, ha detto, non è certo isolato. «Anche oggi», ha commentato il Papa», ci sono tanti uomini e donne, veri martiri che offrono la loro vita con Gesù per confessare la fede, soltanto per quel motivo. E Il 3 aprile 2015, concludendo la Via Crucis al Colosseo, Francesco ha ricordato come nel cammino doloroso di Gesù abbiamo visto «ancora oggi i nostri fratelli perseguitati, decapitati e crocifissi per la loro fede in Cristo sotto i nostri occhi e spesso con il nostro silenzio complice».
Al Regina Coeli del 6 aprile 2015, Papa Francesco ha iniziato la settimana successiva alla Pasqua in continuità con la Settimana Santa, che aveva voluto ampiamente dedicare al tema dei cristiani perseguitati. Ha chiesto che ci si mobiliti «in difesa e protezione dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, perseguitati, esiliati, uccisi, decapitati per il solo fatto di essere cristiani. Loro sono i nostri martiri di oggi, e sono tanti, possiamo dire che sono più numerosi che nei primi secoli». Francesco ha chiesto che «la Comunità Internazionale non assista muta e inerte di fronte a tale inaccettabile crimine, che costituisce una preoccupante deriva dei diritti umani più elementari. Auspico veramente che la Comunità Internazionale non volga lo sguardo dall’altra parte».
Nell'omelia a Santa Marta del 21 aprile 2015 Papa Francesco, partendo nuovamente dal martirio di santo Stefano, è tornato a parlare dei martiri dei nostri giorni, uccisi in Africa e in Asia in nome di una visione di Dio deviata da un «cuore corrotto», o discriminati in Occidente da «Sinedri moderni» che cercano d'imporre con la forza una loro verità è gettano il sospetto o il ridicolo su chi afferma il valore della fedeltà nella famiglia. «In questi giorni, quanti Stefani ci sono nel mondo! Pensiamo ai nostri fratelli sgozzati sulla spiaggia della Libia; pensiamo a quel ragazzino bruciato vivo dai compagni perché cristiano; pensiamo a quei migranti che in alto mare sono buttati in mare dagli altri, perché cristiani; pensiamo – l'altro ieri – a quegli etiopi, assassinati perché cristiani ... e tanti altri. E tanti altri che noi non sappiamo, che soffrono nelle carceri, perché cristiani ...».
Il 6 giugno 2015, a Sarajevo, incontrando nuovamente dirigenti musulmani, il Papa ha affermato che «non c'è pace senza libertà religiosa» e rispetto delle minoranze religiose. Il 3 luglio 2015 Francesco è intervenuto a Piazza San Pietro al grande raduno ecumenico promosso dal Rinnovamento nello Spirito in solidarietà con i cristiani perseguitati, dove ha insistito sulla sua nozione di «ecumenismo del sangue». Perseguitati insieme, i cristiani possono e devono testimoniare insieme. Ricordando i ventitré copti egiziani sgozzati in Libia, il Pontefice si è chiesto: «Se il nemico ci unisce nella morte, ma chi siamo noi per dividerci nella vita?». Anche nel viaggio in Ecuador, Bolivia e Paraguay, Francesco non ha mancato di fare cenno ai cristiani perseguitati. Il 9 luglio 2015 a La Paz, parlando ai movimenti popolari, il Papa ha ricordato che «in Medio Oriente e in altre parti del mondo si perseguitano, si torturano, si assassinano molti nostri fratelli a causa della loro fede in Gesù. Dobbiamo denunciare anche questo: in questa terza guerra mondiale “a rate” che stiamo vivendo, c’è una sorta di genocidio in corso che deve fermarsi». E un cenno al tema della libertà religiosa e delle persecuzioni c'è anche nell'enciclica «Laudato si'».
Siamo quindi di fronte a un magistero cospicuo e coerente, che si articola in quattro punti principali. Il Papa denuncia un «genocidio», ricordando che la persecuzione è più cruenta oggi che nei primi secoli. Secondo: ricorda che cattolici, ortodossi e protestanti sono uccisi insieme, invocando un «ecumenismo del sangue». Terzo: indica fra i colpevoli del genocidio, accanto ai fondamentalismi che uccidono in nome di Dio, anche l'Occidente, che mantiene spesso un «silenzio complice». Quarto: mette in relazione i silenzi occidentali sui cristiani uccisi in Africa e in Asia con il fatto che neppure l'Occidente rispetta totalmente la libertà religiosa. Troppo spesso tenta di emarginare i cristiani e discrimina chi non si conforma alle «colonizzazioni ideologiche» delle nuove ideologie, fra le quali quella del gender è imposta con metodi particolarmente dittatoriali.