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LA STORIA

L'amore per Dio, ecco l'elisir di lunga vita di Lidia

Lidia, classe 1912, 104 anni, sorridente, con la messa in piega perfetta, bolzanina doc, di energia alla vita ne ha data tanta. Così come moltissima ne ha ricevuta. La ricetta della sua “felicità” e della sua longevità è una sola: l’amore per Dio. Un amore segnato dalla forza di una passione fuori misura. 

Cronaca 07_03_2016
Chiesa della Val D'Ega in Alto Adige

La vita è un boomerang: dà gioia se tu le regali vitalità ed entusiasmo. Lidia, classe 1912, 104 anni, sorridente, con la messa in piega perfetta, bolzanina doc, di energia alla vita ne ha data tanta. Così come moltissima ne ha ricevuta. La ricetta della sua “felicità” e della sua longevità è una sola: l’amore per Dio. Un amore segnato dalla forza di una passione fuori misura. «Incontro quotidianamente il Signore guardando il Cielo e le stelle della mia Val d’Ega, nel miracolo della primavera ai piedi del Latemar, nell’acqua dei ruscelli che scorre fra la neve, negli occhi dei bambini poveri, ma anche curando me stessa. Lo incontro nella felicità di darmi generosamente alle persone conosciute e sconosciute che hanno bisogno di accoglienza e calore». 

Mamma di 4 figli, nonna di 6 nipoti e bisnonna di 7 nipotini da sempre trascorre buona parte della giornata a pregare, cucire e fare la maglia per creare vestiti che manda ai bimbi poveri dell'isola Marajo in Amazzonia, ma anche a quelli italiani in condizioni di disagio. Le sue creazioni buffe riflettono i colori pastello della montagna che tanto piacciono ai piccoli. Adesso sta sferruzzando per completare alcune cuffie e sciarpe da spedire ai missionari oltreoceano ispirate alle nuvole bianche dei cieli di primavera. Nuvole di lana per bambini innocenti che soffrono. Spesso dimentichiamo il candore dei ragazzini, la loro allegria che sa andare oltre le questioni economiche, la loro capacità di essere leggeri e in grado di ridere di tutto anche della povertà con la gioia che viene dalla purezza. Noi adulti siamo prigionieri di regole, concetti, modi di dire e di fare e i bambini come l’erba, i fiori, i ruscelli della Valle, trovano la loro espressività abbandonandosi ai ritmi della vita. 

Per nonna Lidia i bimbi sono tutti suoi nipoti e per non perdere la connessione con loro e con le persone a cui vuole bene ha quattro telefoni cellulari così da mantenere sempre la copertura di rete che in montagna molte volte latita. Copertura necessaria per pregare e ascoltare. Ascoltare, ricordiamolo, è arte di comprendere, pazientare, sentire empaticamente quel che gli altri ci dicono. Nel silenzio della montagna esercitarla e confrontarla con il Vangelo è più facile. Quando mettiamo in relazione quest’arte con la parola di Gesù l’ascolto diventa non un’operazione casuale, ma il frutto di una volontà personale che cambia la quotidianità e ci permette di dare spazio a ciò che più conta. Gesù disse al suo popolo: «Perché mi invocate: Signore, Signore! e non fate quello che dico? Chiunque viene a me ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondamente e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene». Purtroppo, anche se non è piacevole ricordarlo, siamo molto spesso ascoltatori distratti inclini a concentrarci solo sul perché di un discorso, cioè il significato delle parole, e non sul come, il tono di voce, i gesti, la volontà del nostro interlocutore, su quel che vuol dirci davvero. Dov’è, allora, il nostro cuore? 

Forse non conosciamo bene il significato di questa parola perché se lo conoscessimo torneremmo a dare attenzione incondizionata ai poveri, agli ammalati, ai meno fortunati prendendo esempio da nonna Lidia. Secondo lei abbiamo bisogno di invocazioni che non siano astratte, bensì vive, capaci di suscitare entusiasmo, voglia di giustizia, impegno a schierarsi dalla parte di chi soffre. Abbiamo bisogno di preghiere appassionate, radicate nella quotidianità. «Nelle sere d’estate mi rivolgo a Maria con la finestra aperta mentre guardo il Latemar acceso dall’ultimo sole e penso che, forse, anche in paradiso ci sarà questo paesaggio così bello». Lidia non è una teologa, in buona parte deve la sua fede a due dei suoi suoi fratelli, uno francescano a Trento, l’altro Missionario dei Padri Bianchi d’Africa. Da loro ha appreso che la cattiveria è come il fuoco, la benevolenza come l’acqua delle sorgenti di montagna che dà vita.

Fino a qualche anno fa Lidia andava a Messa nel Santuario di Pietralba costruito nel 1553, quando la Vergine apparve al contadino Leonardo per guarirlo dalla sua malattia mentale. É particolarmente cara a nonna Lidia la storia di questo santuario. In uno degli eccessi di inquietudine che si alternavano a momenti di calma, il contadino riuscì a liberarsi dalle catene cui era legato in manicomio e a fuggire nel bosco, dove cadde in un burrone senza farsi male, ma recuperando all'istante la più completa lucidità. Mentre stava pensando a come uscire da lì Maria gli apparve per confortarlo e domandargli di edificare una Cappella. Scavando le fondamenta, Leonardo trovò una statuetta della Madonna raffigurante la Pietà: pensò fosse un segno del Cielo e, terminata la Cappella, la collocò al suo interno perché fosse venerata. «Ora non ho più le forze per inerpicarmi fin lassù, viene don Roberto viene a casa mia e dice Messa nella mia cucina. Ho sempre davanti a me, però, un poster che rappresenta Pietralba». 

Ma la ricetta della longevità di nonna Lidia non è solo un mix di preghiera, meditazioni, passeggiate e lavori di volontariato. Nella sua vita c’è anche la dimensione divertimento: non mancano il te delle cinque con le amiche, la partita a burraco e un buon bicchiere di vino rosso a pasto, la lettura del giornale al mattino. Perché donarsi non significa immolarsi, ma integrare i nostri bisogni con quelli degli altri e soddisfare entrambi chiedendo aiuto a Dio.