L'allarme per l'atomica iraniana, stavolta, è urgente
Ascolta la versione audio dell'articolo
Uno degli allarmi più ricorrenti è quello sulla bomba atomica iraniana. Torna a suonare anche in queste settimane di campagna elettorale americana e di guerra in Medio Oriente.
Uno degli allarmi più ricorrenti è quello sulla bomba atomica iraniana. Torna a suonare anche in queste settimane di campagna elettorale americana e di guerra in Medio Oriente.
Dal 2002, da quando venne scoperto un programma nucleare segreto, grazie alla denuncia di dissidenti iraniani, la (finora) irrealizzata bomba di Teheran è al centro della politica mediorientale. Che l’Iran abbia un programma nucleare è ammesso dallo stesso ayatollah Khamenei e da tutti i presidenti che si sono succeduti dal 2002 ad oggi. Ma non è chiaro se sia un programma solo civile, come nelle intenzioni ufficiali, o abbia anche uno scopo militare. Ufficialmente la bomba atomica, così come le altre armi di distruzione di massa, sono vietate dalla dottrina ufficiale islamica iraniana. Ma si tratta di una dottrina soggetta a più interpretazioni, ambiguità e cambiamenti. Ultimamente, dopo lo scambio di colpi fra Iran e Israele dello scorso aprile, un consigliere di Khamenei ha avvertito che la dottrina può mutare e permettere anche l’uso di armi di distruzione di massa, se il paese dovesse essere minacciato di distruzione.
Il Wall Street Journal e Axios, nei mesi di giugno, luglio e agosto, hanno citato anonimi funzionari statunitensi e israeliani, i quali esprimono forti preoccupazioni per i più recenti sviluppi del programma iraniano. Con l’elaborazione di nuovi modelli informatici, teoricamente per scopi civili, e con il lancio di nuove ricerche nel campo della metallurgia, Teheran si starebbe preparando rapidamente alla costruzione di armi nucleari.
L'Office of the Director of National Intelligence (ODNI) ha dichiarato che dal 2020 l’Iran ha «intrapreso attività che lo posizionano meglio per produrre un dispositivo nucleare, se decide di farlo». A rendere pubblica questa preoccupazione è stato, domenica 18, il presidente della Commissione Intelligence della Camera degli Stati Uniti, Michael Turner (Repubblicano): in un’intervista alla CBS ha parlato delle recenti scoperte dell’intelligence sul progresso del programma nucleare militare iraniano. «Quello che vediamo ora con questa amministrazione è che [l’Iran] potrebbe dichiararsi uno stato dotato di armi nucleari entro la fine di quest’anno, e i rapporti che sono stati pubblicati sostengono che vi sia questa possibilità».
Un centro studi indipendente e molto rinomato, l’Institute for Science and International Security, ha pubblicato un appello a rilanciare un nuovo dibattito nell’intelligence americana per capire a che punto sia arrivato l’Iran. Nel documento, pubblicato all’inizio del mese da David Albright e Sarah Burkhard, si legge una vera denuncia: «L’intelligence statunitense sta proteggendo l’amministrazione Biden-Harris dal dover prendere provvedimenti seri sul programma nucleare iraniano. Per anni, hanno ripetuto a gran voce che l’Iran non stava “attualmente intraprendendo le attività chiave di sviluppo di armi nucleari che sarebbero necessarie per produrre un dispositivo nucleare testabile”». Però la situazione è cambiata da anni e così anche i rapporti di intelligence hanno cambiato il linguaggio: «L'Iran ha “intrapreso attività che lo posizionano meglio per produrre un dispositivo nucleare, se decide di farlo”. Pur accennando ad attività di armamento nucleare in corso, [l’intelligence Usa] si concentra sulle dichiarazioni pubbliche iraniane e sulle vecchie notizie sulle capacità dell'Iran di produrre uranio per armi, continuando a evitare qualsiasi tipo di discussione pubblica sulle attività di armamento nucleare che l'Iran potrebbe intraprendere e su quanto tempo impiegherebbe a produrre un dispositivo nucleare testabile se iniziasse oggi».
Durante una campagna elettorale presidenziale, i toni si alzano inevitabilmente anche sulle questioni militari, di intelligence e di sicurezza internazionale, così come aumentano gli allarmismi. Però se l’Iran dovesse mostrare al mondo un suo nuovo ordigno nucleare, nessuno, a questo punto, potrebbe dirsi sorpreso. Il programma atomico di Teheran è un percorso di lunga durata, sotto i riflettori del mondo. Se venisse portato a compimento “entro la fine dell’anno”, per l’amministrazione Biden sarebbe un fallimento catastrofico.
Un parere di minoranza, anche fra i politologi americani (come gli allievi del defunto Kenneth Waltz), vede con favore l’atomica iraniana perché garantirebbe un riequilibrio di potere con Israele, attualmente l’unica potenza mediorientale ad avere armi nucleari (anche se non le dichiara). Ma nel Medio Oriente non c’è solo un equilibrio fra due potenze, fra Iran e Israele. C’è anche l’Arabia Saudita, sempre più preoccupata dall’espansionismo iraniano: il principe Mohammed Bin Salman è arrivato a paragonare Khamenei a Hitler in una sua recente intervista. L’Arabia Saudita potrebbe dotarsi a sua volta di armi nucleari, acquistandole dal Pakistan. Sarebbe una nuova corsa agli armamenti, in una regione che è già in guerra, senza garanzie che gli “equilibri” vengano mantenuti razionalmente da tutti i governi coinvolti.