Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Federico di Utrecht a cura di Ermes Dovico
La relazione

L’Agcom: gli italiani usano sempre meno la Tv per informarsi

Ascolta la versione audio dell'articolo

Solo il 46,5% della popolazione adulta utilizza oggi la televisione come fonte principale per informarsi, mentre la maggior parte degli italiani si rivolge a Internet. Ecco l’ultima relazione dell’Agcom, che tratta anche di telemarketing, influencer ed equo compenso.

Attualità 17_07_2025
Giacomo Lasorella, Agcom, 16 luglio 2025 (ImagoEconomica)

La televisione non è più il faro dell’informazione per gli italiani. La relazione annuale dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), presentata ieri dal presidente Giacomo Lasorella alla Camera dei Deputati, lo certifica con chiarezza numerica e con un giudizio netto: il piccolo schermo, per decenni pilastro dell’identità nazionale e principale veicolo di notizie, ha ceduto il passo a Internet.

Solo il 46,5% della popolazione adulta utilizza oggi la televisione come fonte principale per informarsi, contro il 67,4% del 2019. Al contrario, il 52,4% degli italiani si affida a Internet, dove motori di ricerca, social media, siti e app dei giornali sono diventati la porta d’ingresso privilegiata all’universo dell’informazione. «Se volessimo identificare un unico elemento, capace di rappresentare la portata del cambiamento in atto», ha detto Lasorella, «forse il dato più significativo è che, almeno stando ai freddi numeri, la televisione non è più il principale mezzo di informazione per gli italiani». Ma il declino della Tv non è solo una questione statistica. È anche culturale, strutturale, qualitativa. È il segno di una crisi più profonda, di una perdita di centralità e di autorevolezza.

Nonostante resti centrale nella “dieta mediatica” nazionale, la televisione non intercetta più le esigenze informative di una società sempre più digitale, veloce e frammentata. I palinsesti rincorrono l’audience, spesso sacrificando la qualità dei contenuti sull’altare dello share. L’informazione televisiva, che un tempo era il luogo del racconto condiviso del Paese, si è progressivamente trasformata in un’arena di scontro ideologico, intrattenimento mascherato da approfondimento, talk show ripetitivi e polarizzanti. «Lo strumento che ha accompagnato dal 1954 la crescita di un Paese, modellandone i gusti, uniformandone i linguaggi, creando identità nazionale e senso comune», ha scritto Lasorella nella relazione, «pur rimanendo centrale nella dieta mediatica della Nazione, non è più lo strumento con il quale i cittadini si informano in via prioritaria».

La televisione non è riuscita ad adattarsi al nuovo ecosistema digitale in cui il cittadino cerca informazione su misura, tempestiva, interattiva. La rincorsa ai format emotivi, al sensazionalismo, alla cronaca nera spettacolarizzata ha eroso la fiducia degli spettatori più esigenti, che oggi si orientano altrove. Paradossalmente, la Tv resta ancora – insieme a radio e carta stampata – tra le fonti ritenute più affidabili dagli italiani, ma questa reputazione non basta a trattenere un pubblico che vuole decidere quando, come e con che linguaggio accedere ai contenuti. Il problema, dunque, non è solo la concorrenza della Rete, ma la crescente incapacità della televisione di interpretare le nuove modalità di fruizione dell’informazione. «Rimane centrale – ha osservato Lasorella – la necessità di tutelare e salvaguardare l’informazione professionale», in un contesto in cui disinformazione e contenuti di bassa qualità proliferano sul Web. Ma questa salvaguardia non può limitarsi a un richiamo morale. Servono strumenti nuovi, regole condivise, un patto digitale aggiornato che coinvolga anche gli attori della Rete. Non è un caso che la relazione dell’Agcom di quest’anno parli apertamente della necessità di un «nuovo patto digitale» per l’Italia, una ridefinizione delle regole del gioco che tenga insieme pluralismo, diritti, trasparenza e qualità dell’informazione.

La fotografia scattata da Agcom non si limita al declino televisivo, ma si estende a un panorama complesso e in rapida evoluzione. Sul fronte della par condicio, Lasorella ha sollecitato un intervento legislativo che estenda le regole del silenzio elettorale anche alle piattaforme digitali, ancora oggi escluse da vincoli espliciti. Un vuoto normativo che rischia di rendere inefficace la regolazione dell’equità informativa in campagna elettorale.

Altro tema chiave è quello del telemarketing selvaggio: a partire da ottobre, entreranno in vigore nuove misure per bloccare le chiamate indesiderate dai call center esteri che usano numeri italiani falsificati (CLI spoofing), grazie a obblighi specifici imposti agli operatori. Un passo atteso e necessario per la tutela della privacy dei consumatori.

Anche il settore degli influencer entra finalmente sotto la lente dell’Autorità, con una nuova disciplina volta a responsabilizzare questi nuovi attori della comunicazione pubblicitaria e informativa. In materia di comunicazioni mobili, debutta un sistema di bollini colorati per le offerte 5G, pensato per informare meglio i cittadini su caratteristiche, velocità e limitazioni dei servizi offerti.

Infine, la questione dell’equo compenso per le opere giornalistiche: un altro punto cardine della relazione, che chiama in causa direttamente le piattaforme digitali e il loro potere economico. «Remunerare editori e giornalisti per i contenuti utilizzati è fondamentale per salvare l’informazione di qualità e contrastare le posizioni dominanti delle big tech», ha spiegato Lasorella. Senza un meccanismo di redistribuzione equa del valore creato online, l’intero ecosistema informativo rischia di impoverirsi, lasciando campo libero a contenuti non verificati, orientati unicamente al clic e alla viralità.

In un Paese dove la disinformazione corre veloce e la qualità informativa è sempre più a rischio, l’azione regolatoria dell’Agcom si propone non solo come garante, ma come promotrice di una trasformazione necessaria. «Il digitale non può essere una giungla – ha concluso Lasorella –. Dobbiamo governare le trasformazioni tecnologiche nel rispetto del pluralismo, della dignità delle persone e della trasparenza dei mercati». E la prima tappa di questo governo del cambiamento è proprio prendere atto che l’era della Tv come regina incontrastata dell’informazione è finita. Il futuro passa da un ecosistema integrato, regolato, consapevole, dove la qualità e l’affidabilità devono trovare nuove forme, nuovi attori, ma soprattutto nuove regole.