“L’adozione è una chiamata, la nostra famiglia è nata così”
Il desiderio di una famiglia numerosa, la prova dolorosa dell’infertilità che è stata «il terreno su cui il Signore ha seminato per poter realizzare il progetto che Lui aveva per noi». La Bussola intervista Erica Micucci, madre di due bambini adottati - il primo in Cina, la seconda in Colombia - e autrice con il marito del libro Da Oriente a Occidente. A chi è indeciso se adottare consiglia: «Bisogna abbandonarsi alla Provvidenza», fare rete e sapere che «un bambino aspetta voi».
Si intitola Da Oriente a Occidente. L’amore senza confini di una famiglia adottiva (Tau Editrice, 2020) ed è il libro, a mo’ di diario (nasce dai messaggi su un gruppo WhatsApp per informare parenti e amici e, anni prima, un forum online), che racconta con stile originale scelte, viaggi, fatiche e gioie nel percorso adottivo di due sposi: Erica e Franco Micucci, ingegnere part time lei, magazziniere lui, soci fondatori dell’associazione Rete Famiglie Adottive e genitori di due bambini speciali. Il primo, Yu, oggi undicenne, adottato in Cina nel 2013; la seconda, Mary, adottata a fine 2019 in Colombia, e vicina al decimo compleanno.
Una famiglia italo-cino-colombiana, che stupisce chiunque la incontri per la prima volta, e il cui vissuto mostra tanti aspetti dimenticati o poco conosciuti dell’adozione. La Nuova Bussola ha intervistato Erica.
Erica, vuoi spiegare com’è nata in te e tuo marito Franco la volontà di adottare?
Noi abbiamo sempre avuto nel cuore il desiderio di avere una famiglia con tanti bambini. Da sposati, con il tempo che passava, abbiamo constatato le difficoltà ad avere una gravidanza, ed è iniziato un periodo molto faticoso, in cui abbiamo dovuto fare i conti con la parola “sterilità”. Ma non abbiamo mai perso la speranza, per noi è stato importante approfondire un cammino di fede cominciato prima del matrimonio. All’inizio non avevamo l’idea di adottare, ma il vuoto profondo che abbiamo vissuto è stato il terreno su cui il Signore ha seminato per poter realizzare il progetto che Lui aveva per noi. E quindi, a poco a poco, abbiamo cominciato a scoprire questa chiamata a una genitorialità diversa, che non nasce dalla generazione, ma è sempre un dono di grazia.
Nell’autunno 2012, dopo un viaggio a Medjugorje e poco prima dell’abbinamento con Yu, tu e tuo marito avevate avuto la gioia di una gravidanza. In questo senso scrivete che la scelta dell’adozione non è stata “un ripiego”.
No, infatti, si è trattato di un passaggio fondamentale perché in quel momento, dentro di noi, ci siamo sentiti liberi di scegliere e abbiamo detto veramente sì ad aprire il nostro cuore a questa genitorialità adottiva. Nostro figlio morì dopo un paio di mesi in grembo, ma allora potevamo pensare che un’altra gravidanza sarebbe potuta avvenire e spingerci ad interrompere le pratiche per l’adozione che avevamo intrapreso già due anni prima. Invece no, perciò possiamo dire ai nostri figli che il papà e la mamma li hanno davvero desiderati, amati, voluti.
Tu e tuo marito vi siete dovuti confrontare con la domanda delle domande: è possibile amare un bambino adottato come un figlio biologico?
Sì, il Signore ci ha dato la grazia di porci questa e altre domande che in realtà riguardano la genitorialità a 360°, anche quella biologica. Ogni genitore si può chiedere se sarà capace di accogliere un bambino che è “altro” da lui, perché ogni figlio è tale e, prima di tutto, appartiene a Dio. O ancora chiedersi se sarà capace di amare un bambino con gravi problemi di salute: nel percorso adottivo, come nella genitorialità biologica, sai di poterti trovare di fronte a questa possibilità. Si tratta allora di aprire il cuore per accogliere e amare il figlio così com’è, come ti è stato donato.
Nel libro si sfata anche un mito: “I genitori adottivi sono ricchi”. Non è così, almeno non sempre…
È importante sottolinearlo perché molte coppie si bloccano proprio per motivi economici. Invece bisogna abbandonarsi alla Provvidenza. Quando abbiamo iniziato il percorso per la prima adozione, eravamo in una situazione precaria, con pochissimi risparmi, ma in generale tutti i momenti in cui abbiamo detto questi grandi “sì” siamo passati per la precarietà economica e lavorativa. È vero che l’adozione internazionale richiede delle spese, però le devi affrontare un po’ alla volta, non ti viene chiesto tutto subito. E poi si è scatenata una grandissima solidarietà. Per esempio, di ritorno dalla Cina, Yu è stato accolto con una grande festa, lo abbiamo battezzato e da parte di parenti e amici c’è stata una generosità incredibile, anche dal punto di vista economico. Veramente la Provvidenza ha fatto il suo lavoro. Ci siamo resi conto che non abbiamo fatto niente con le sole nostre forze, ma ci siamo sempre affidati al Signore, che ci ha guidati poi anche nell’adozione di Mary.
Altro mito sfatato: non si arriva all’adozione perché si è o ci si sente “bravi”.
Noi scriviamo che non siamo la famiglia del Mulino Bianco, ma siamo una famiglia normalissima, con i nostri limiti, le nostre fragilità e mancanze. Ci arrabbiamo, brontoliamo, a volte ci sembra proprio di non farcela, ogni giorno dobbiamo imparare a coniugare fermezza e amore. L’adozione non significa compiere una buona azione effimera, una volta per tutte, perché l’adozione è essere genitori per sempre, è un’azione irrevocabile. Questo termine, che ci fu detto anche dalla psicologa all’inizio del primo percorso adottivo, lo abbiamo incontrato e usato molte volte in questo cammino perché, da cristiani, crediamo che il progetto di Dio passi per l’eternità. Questi figli sono per sempre.
Colpisce apprendere, dal vostro racconto, quante persone lavorino all’abbinamento giusto bambino/genitori adottivi. Da alcuni decenni è iniziata a diffondersi l’idea che ci sia un “diritto al figlio”, la Pma, e il punto d’arrivo estremo di questa cultura è che un figlio si possa programmare scegliendone certe caratteristiche da appositi cataloghi. Invece, la logica dell’adozione è opposta.
Sì, l’adozione ci dice l’opposto. Dei nostri figli non abbiamo scelto niente, né il sesso, né lo stato di salute, né il colore dei capelli e neanche il paese di provenienza: tutto ci è stato proposto, donato. Noi abbiamo semplicemente detto sì, proprio come si fa con una gravidanza biologica. Non c’è un “diritto” degli adulti ad avere un figlio, ma con l’adozione c’è il diritto del bambino ad avere una famiglia, a crescere protetto, amato da un papà e una mamma.
La fede ha giocato un ruolo fondamentale in entrambi i percorsi d’adozione. Nel caso di Mary avete incontrato una bambina che, dopo un lungo vissuto doloroso, ha potuto toccare con mano l’amore delle suore passioniste di Pereira che a loro volta le hanno fatto scoprire l’amore di Gesù, Giuseppe e Maria.
Per Mary è stato decisivo sentirsi amata, accolta e tutto questo è passato per la cura che le suore hanno avuto per lei. Attraverso questa cura, Mary ha sperimentato l’amore di Dio su di sé. Fin dai primi giorni con noi, mandava baci alle immagini di Gesù e Maria, cantava alla Madonna, ne cercava le statue… Le suore hanno puntato a trasmettere l’amore per la Santa Famiglia di Nazaret, così da insegnare a Mary e alle altre bambine dell’istituto - in attesa di essere accolte da una mamma e un papà - il valore di una famiglia.
Yu, invece, era stato accudito per quasi tre anni in un istituto, non religioso, di Xi’an, dove pure ha ricevuto premure e attenzioni portatrici di bene. Ma poi anche per Yu, nel superare la ferita per l’abbandono, è stato importante scoprire che Dio ha un progetto su di lui.
Un progetto di salvezza, sì. Gliene parlammo, dietro consiglio del nostro padre spirituale, dopo una sua domanda che mi aveva messo in difficoltà e a cui sulle prime avevo cercato di abbozzare una risposta, senza però rassicurarlo. Questo per ribadire che non abbiamo le risposte pronte, ma c’è tanto da lavorare, nella verità. E a noi aiuta molto la compagnia della Chiesa. Yu allora era ancora piccolo, non sappiamo cosa capì in quel momento, ma sentendo parlare di salvezza sorrise. E un giorno, di ritorno a casa, era pieno di felicità perché aveva risentito quella parola riferita a lui, “salvezza”, pronunciata dalla sua amata catechista. Era come la conferma di trovarsi dentro qualcosa di vero.
La vostra esperienza, raccontata nel libro, può aiutare altri bambini soli a trovare una famiglia. Vuoi dire qualcosa a chi sta pensando all’adozione ma magari è ancora indeciso?
Noi abbiamo deciso di pubblicare il libro dopo un periodo di preghiera a san Giuseppe e spinti dall’importanza di fare memoria. Anche i nostri figli, quando saranno grandi, troveranno sempre scritto il perché a un certo punto della nostra vita abbiamo intrapreso questa avventura e il “perché ne vale la pena”. È una testimonianza della bellezza dell’adozione e, a chi è ancora indeciso, ci sentiamo di dire: coraggio! Non fermatevi davanti a una paura, alla precarietà o agli ostacoli che si possono vedere in un dato momento, ma affidatevi sempre a Dio e guardate al bene più grande. E anche: non restate soli! A noi ha aiutato lasciarci accompagnare da esperti e guide spirituali, aprirci alla condivisione, ma anche circondarci di famiglie che già avevano intrapreso questa strada, fare “rete”. Ce ne sono sempre troppi di bambini soli e sicuramente un bambino aspetta voi!