La vulgata contrapposta sulla Resistenza partigiana
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Sulla Resistenza partigiana vi sono due vulgate contrapposte: secondo quella predominante - a sinistra - fino a qualche anno fa fu quasi tutto; secondo quella di destra o neutralista fu ben poco e se ne sarebbe fatto volentieri a meno. Ma il “peso” militare della Resistenza non va calcolato nel numero di perdite inflitte, bensì nel potenziale bellico nazifascista impegnato.

Sulla Resistenza propriamente partigiana vi sono due vulgate contrapposte. Secondo quella predominante fino a qualche anno fa fu quasi tutto; secondo quella di destra o neutralista fu ben poco e se ne sarebbe fatto volentieri a meno, anche perché la guerra in Italia è stata vinta dagli Alleati.
In effetti, durante la ricorrenza del 25 aprile le forze armate alleate non sono quasi mai ricordate anche se i cimiteri dei loro caduti costellano tutta l’Italia, dalla Sicilia all’Emilia. E il caso particolare della guerra in Italia è dato dal fatto che vi parteciparono decine di nazioni. Oltre a statunitensi e britannici vi furono canadesi, neozelandesi, sudafricani, francesi, polacchi, brasiliani, indiani, pakistani, nepalesi, belgi, jugoslavi, greci, senegalesi, marocchini, algerini e altri contingenti minori oltre ai volontari della brigata ebraica e agli straordinari nippo-americani del 442° RCT, il reparto più decorato della storia dell’esercito americano. Nelle file tedesche, d’altro canto, vi erano anche russi, ucraini, bielorussi, baltici, cosacchi, ungheresi, romeni, slovacchi, polacchi e turkmeni e, tra i partigiani, numerosi ex prigionieri di guerra, soprattutto inglesi, russi e jugoslavi.
È stato detto che la gran parte della popolazione italiana non prese parte alla guerra e stette ad attendere la fine della guerra passivamente. Uno storico militare del rango di Virgilio Ilari ha smentito tale affermazione partendo dal numero dei partecipanti alla guerra (643mila militari della RSI e 463mila partigiani) di cui 300mila volontari. Ilari, correttamente, deduce dal totale della popolazione mobilitabile le perdite subite in morti, feriti e prigionieri restringendo tale potenziale a 3 milioni e mezzo di uomini, compresi i riformati e gli esonerati. I volontari diventano un terzo del totale e i coinvolti un terzo. La guerra civile in Italia non fu quindi, affare di pochi. (Ilari, “Le formazioni partigiane alla liberazione”, in “L’Italia in guerra 1945” ad opera della Commissione italiana di storia militare, 1996)
Il “peso” militare della Resistenza non va calcolato nel numero di perdite inflitte, ma nel potenziale bellico nazifascista impegnato. Dalla metà del 1944 alla fine della guerra la Resistenza impegnò da quattro a sei divisioni tedesche oltre alla polizia nazista e a quasi tutto l’esercito e la polizia di Salò (i 643mila sopra detti). Per cui si può pensare a come sarebbero stati impiegati in altri fronti tutti quegli uomini e che influsso avrebbero avuto sulla durata della guerra.
Chiaramente l’inferiorità in numero e munizioni faceva sì che i reparti nazifascisti fossero sempre tatticamente padroni del campo di battaglia ma la guerriglia è fatta per colpire, nascondersi e sopravvivere un giorno in più e fu questa la grande vittoria della Resistenza. In genere le statistiche della Resistenza, specie quella di una persona integerrima come Ferruccio Parri sono attendibili e danno l’idea dello svolgimento del conflitto.
1500 uomini nell’ottobre del 1943; 25mila nel maggio 1944; 80mila nell’estate 1944; 25mila nel gennaio 1945; 110mila nelle brigate da montagna e 50mila nelle Squadre d’azione partigiana al momento dell’insurrezione. Nei giorni della Liberazione gli stessi partigiani che avevano fatto la guerra sin dall’inizio si sono meravigliati nello scoprire in quanti fossero i loro commilitoni a guerra finita. Il termine “eroi della sesta giornata” (che deriva da quanti fossero stati patrioti dopo le Cinque giornate di Milano del 1848) si adatta molto bene a questo fenomeno, così come sono destituite di fondamento le perdite inflitte ai nazifascisti, in realtà molto minori rispetto a quanto dichiarato in bollettini e proclami. È altrettanto vero, però che l’insurrezione del 25 aprile, diffusa in tutto il nord Italia, diede il colpo di grazia all’esercito nazifascista che cercava di ritirarsi per riorganizzarsi in nuove linee di difesa sulle Alpi venete e questo in un momento in cui le armate Alleate soffrivano di un grave crisi logistica dopo la liberazione di Bologna. Complessivamente si può dire che la Resistenza italiana fu la più importante di tutta l’Europa occidentale, superiore anche a quella francese.
Secondo una ulteriore vulgata la regione leader della Resistenza fu l’Emilia dove il movimento partigiano ebbe uno sviluppo impetuoso a partire dall’estate del 1944. Se consideriamo le brigate da montagna, le più valide militarmente, Il Trentino Alto Adige, fortemente presidiato, poté schierarne solo 11 e la relativamente piccola Liguria 49. 54 erano le brigate in Friuli, 81 in Veneto, 90 in Lombardia e 71 in Emilia Romagna ma è il Piemonte, con ben 199 brigate, ad essere la regione capofila della Resistenza, come ammetteva lo stesso Mussolini.
Secondo un’altra leggenda i partigiani furono tutti comunisti: il che legittimerebbe i fascisti di Salò e, indirettamente, esalterebbe il ruolo delle formazioni Garibaldi a guida comunista. La realtà, come sempre, è molto più complessa. Il 46,3% erano garibaldine; il 21,4% autonome; il 19,9% di Giustizia e Libertà; il 7,3% Matteotti (socialiste); il 4,3% cattoliche. (vedi Ilari op. cit.)
Sarebbe, tuttavia, errato pensare che, nelle formazioni partigiane ci fosse un’uniformità ideologica. Persino in quelle garibaldine, con tanto di commissario politico, potevano esserci disparità di opinioni politiche che, verso la fine della guerra, degenerarono in attriti anche molto forti. I cattolici erano, letteralmente, ovunque anche nelle garibaldine. Anche le motivazioni a battersi potevano essere diverse: per i comunisti si trattava di proseguire una lotta mai cessata e porre le basi per una rivoluzione; per Giustizia e Libertà l’intransigenza nei confronti del fascismo era solo il momento iniziale per una reale trasformazione della società italiana. Per Enrico Martini “Mauri” comandante degli agguerriti autonomi piemontesi “Ufficiali e soldati d’ogni arma e specialità …. eredi e continuatori delle virtù militari del Risorgimento che la corruzione fascista non era riuscita a intaccare, ... capivano che non solo si creava una nuova Patria, ma si dava voce a un’aspirazione di libertà e di fratellanza universale…. Cosi nacquero i partigiani”.
È innegabile, tuttavia, che i partiti politici svolsero un ruolo fondamentale nel collegare l’esperienza partigiana alla politica del dopoguerra, mostrando come sarebbe stata l’Italia del dopoguerra. In quegli anni vi furono personalità eccezionali ma molte di più ve ne sarebbero state se fossero sopravvissute alla guerra. Tra tutti va citato almeno il tenente Pietro Ferreira, cattolico, piemontese, ventiduenne, fucilato a Torino il 23 gennaio 1945. Le sue lettere, commoventi per profondità di coscienza e coraggio di fronte alla morte sono reperibili nel sito www.ultimelettere.it. Una di queste lettere dovrebbe essere letta ogni 25 aprile per mostrare come un partigiano condannato a morte sapeva amare il proprio nemico e propiziare la pace. Così Ferreira scriveva al tenente Barbetti, fascista ma che aveva cercato di salvargli la vita: «Condannato a morte e a poche ore dalla esecuzione mi sento libero, leggero, sfrondato di ogni umana convenienza ... È in queste condizioni di spirito che sento il bisogno di rivolgere un saluto anche a Voi prima di lasciare questa vita in cui ho vissuto tanto intensamente. Voi tenente Barbetti, colla vostra purissima fede di fascista e nazionalista mi avete fatto ricredere su molti preconcetti che avevo sul mondo fascista repubblicano. Conoscendovi ho appreso ed ho dovuto constatare che anche tra le vostre file vi sono degli uomini puri, onesti e d’onore per i quali le doti morali staccandosi nettamente da ogni considerazione di carattere politico, brillano di luce propria e rendono la propria personalità inattaccabile da qualsiasi calunnia o ingiustizia anche a fine politico… Voi non siete un criminale di guerra, come vi hanno definito, ma siete una persona d’onore, un puro, che segue la voce della coscienza e della lealtà. E ciò voglio dirlo, anzi, gridarlo io, Pedro Ferreira, in punto di morte. … Ed ora vi saluto, tenente Barbetti, vi dico addio, e vi chiedo di permettermi di abbracciarvi e, superando tutto ciò che ci divide, considerarvi in questo supremo momento un caro, un vero amico”.
ten. Pedro Ferreira.
Nella prossima puntata vedremo come tale desiderio di pace venne disatteso.
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