La verità non cambia, ma in Cina ha un significato diverso
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Differenti sistemi culturali pensano in modo differente concetti che per noi sono oggettivi. L'esempio della Cina mostra che è doveroso tenerne conto. Altrimenti, si rischia di non capirsi e non solo per la lingua.
Che cos’è la verità? La domanda posta da Ponzio Pilato continua a risuonare al giorno d'oggi. Ma l'approccio differente con cui viene inteso il concetto di verità, in particolare nella cultura cinese, va tenuto in conto per evitare tanto i pregiudizi quanto i fraintendimenti nei rapporti reciproci.
Partiamo da uno studio interessante di Werner Krieglstein (Teaching Truth and Authenticity – An East West Comparison. Philosophical Ideas and Artistic Pursuits in the Traditions of Asia and the West: An NEH Faculty Humanities Workshop. Paper I, 2008) che affronta proprio questo problema, una comparazione tra il concetto di verità e autenticità in occidente e in oriente.
Per l’occidente il concetto di verità, almeno per quanto affermato nella classica filosofia, è espresso di san Tommaso d’Aquino: adequatio rei et intellectus (Summa Teologica); la verità è la conformità dell’intelletto alle cose, quindi riconoscere l’oggettività della realtà esteriore. Certamente altri filosofi metteranno tra parentesi questa affermazione, a cominciare da Kant, che l’accetta di principio ma facendo numerosi distinguo che alla fine porranno in crisi la filosofia occidentale. In ogni caso, come ci dice Krieglstein, la verità è una realtà concettuale.
Invece in Oriente la verità non è concettuale, ma legata all’esperienza. Essa deriva dal suo contesto religioso e sociale più che da una realtà di concetto. È una verità vivente più che concettuale. Quindi, più che avere un connotato oggettivo ne ha uno che fondamentalmente è soggettivo. Sono abbastanza chiare le implicazioni di quanto affermato poco prima nello studio di Krieglstein.
La verità per occidentali ed orientali ha una valenza diversa, quindi alcune cose che definiamo “vere” secondo il nostro approccio al pensiero, che ovviamente riteniamo vero, potrebbero non esserlo per loro. Duh Bau Rei, professore di filosofia alla National university in Taiwan, in un suo studio sulla verità (The Question of the View of Truth in Chinese Philosophy, National Taiwan University) nella filosofia cinese informa come essa abbia un carattere eminentemente pratico, differenziadola da quella occidentale, che ha un carattere più speculativo.
Quindi nell’occidente la speculazione conduce alla pratica mentre nell’oriente è la pratica che, in un certo senso, ci guida alla speculazione. Non dobbiamo dimenticare questo valore soggettivo della verità “orientale” rispetto alla valenza più oggettiva che si ricercava nella filosofia occidentale classica. Avendo questo carattere pratico, c’è molta piu’ enfasi nel lato pragmatico della vita che su quello idealistico. Un meraviglioso scrittore cinese, Lin Yutang, descriveva in questo modo la mentalità cinese: egli diceva che mentre per gli occidentali il cuore è la sede dei pensieri e dei sentimenti più nobili, per i cinesi la parte importante è l’intestino. E questo la dice lunga.
Chad Hansen (Chinese Language, Chinese Philosophy, and “Truth”. Journal of Asian Studies. Vol XLIV, N. 3, 1985) anche parla di questo problema in un suo studio, citando Donald Munro che afferma che verità e falsità nel senso greco non hanno la stessa valenza nel pensiero cinese. Egli ci dice che queste sono preoccupazioni occidentali. Egli ci dice anche che la filosofia cinese non ha il concetto di verità (Alexus Mcleod, Pluralism about truth in Early Chinese Philosophy: A Reflection on Wang Chong’s approach, Comparative Philosophy. Volume 2, no. 1, 2011: 38-60), almeno come inteso da noi in occidente.
La parola “verità” in cinese viene resa con 真相 (zhen xiang) che potremmo tradurre come “vera apparenza”, il che implica sempre un forte elemento di soggettività, quello che appare non è necessariamente quello che è. Da qui l’importanza di salvare la “faccia” (quali che siano i dati di fatto reali). In una variante dei caratteri per definire la verità viene usato il pittogramma 象, che indica un elefante. Questo rappresenta un riferimento alla storia, probabilmente di origine buddista, dei ciechi e dell’elefante, per cui ognuno, toccando solo una parte dello stesso, prendeva quella parte per il tutto. Quindi la variante possiamo significa qualcosa del tipo “tutto l’elefante”.
Mencio, uno dei grandi pensatori cinesi, diceva che «l’uomo superiore s’imbeve della Via, perché desidera scoprirla dentro di sé. Dopo averla trovata dentro di sé, egli vi dimora a proprio agio. Dimorandovi a proprio agio, può attingervi profondamente. Attingendovi profondamente, egli ne ritrova la fonte a destra e a sinistra. Per questo l’uomo superiore desidera scoprirla dentro di sé». Il filosofo cinese Dai Zhen (1723-1777) affermava che la verità non esiste in astratto o a livello filosofico, ma nel concreto di sentimenti ed emozioni di una persona che, aggiungo io, sono per natura mutevoli. Prima di lui, il filosofo neoconfuciano Chen Xianzhang (1428-1500), che per «trovare la via ascetica migliore per raggiungere la saggezza, valorizzò soprattutto la ricerca della soggettività (v. Io morale), sottolineando l’importanza di una riscoperta personale della verità (zide) e dello sviluppo della tendenza al bene (ziran) insita nella natura di ciascun individuo» (nell’importante dizionario confuciano di Umberto Bresciani, Ricordare, dimenticare capire, Chorabooks 2021).
Il letterato Huang Yizhou (1828-1899) aveva come motto shishi qiushi, "cercare la verità nei fatti", motto che verrà ripreso con ben altro peso storico da uno dei leader più importanti della Cina moderna, Deng Xiaoping. Ma è come dire che possiamo cercare la verità dalla storia, in realtà possiamo trovare una plausibilità di ciò che è accaduto, senza mai dimenticare che come diceva lo storico Edward Carr, la storia è un’interazione tra lo storico e i fatti, è una ricostruzione che varia, a volte in modo significativo, da storico a storico. Non è la verità assoluta, che per noi ha comunque la sua fonte ultima in Dio. Un conto è cercare la verità nei fatti ricostruiti, un conto cercarla nella realtà oggettiva.
C’è poi l’importante discorso sul concetto forte di autorità in Cina, per cui viene ritenuto vero quello che affermato da chi è in comando. Questo è anche molto importante da tenere in considerazione: il pensiero cinese è molto legato alla struttura sociale basata sull’autorità, strutturato sui cinque rapporti fondamentali di sovrano-suddito, padre-figlio, marito-moglie, fratello maggiore-fratello minore, amico-amico.
Insomma, c’è abbastanza materiale per capire che viviamo in due sistemi di pensiero diversi, in alcuni casi, come questo, completamente alternativi. Ed è una differenza di cui è doveroso tener conto nei rapporti tra oriente e occidente.