La società prima dello Stato, le radici del costituzionalismo
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Al di là della retorica vuota o strumentale, alle origini delle costituzioni ritroviamo l'idea classica e cristiana della libertà dell'essere umano che prende forma giuridica nel Medioevo. A rompere l'equilibrio in età moderna sarà l'avvento della sovranità assoluta.
Pubblichiamo un estratto del libro di Eugenio Capozzi, dal titolo Libertà o potere. Ascesa e declino delle costituzioni, LiberiLibri, Macerata 2025 (pp. 13-14; 17-19)
Ogni volta che pronunciamo la parola “costituzione”, anche quando non ce ne rendiamo conto, stiamo [...] affermando innanzitutto una tesi: quella secondo cui la vita individuale e associata si sviluppa attraverso relazioni, scelte, attività, articolazioni istituzionali rispetto alle quali il potere politico può essere considerato un complemento necessario e una garanzia, ma può configurarsi anche come una minaccia di oppressione, e come tale va alla radice “domato”, limitato, messo in condizione di non nuocere.
Il costituzionalismo è [...] un processo storico specificamente proprio della cultura europea e poi occidentale, che rimanda ai principi di fondo che la caratterizzano. Le costituzioni sono valori, prima di essere dati di fatto.
Ma nella cultura diffusa, nella dialettica politica e spesso anche in quella intellettuale questa priorità dei principi, e il loro effettivo significato, raramente emergono. Molto più spesso il rimando alle costituzioni si riduce a una vaga figura retorica, se non viene usato addirittura a scopo puramente strumentale, piegandolo a fini contingenti e subordinandolo a polemiche di parte.
D'altro canto, l'uso strumentale e la retorica vuota vengono favoriti e incoraggiati innanzitutto da una conoscenza insufficiente, dalla progressiva atrofizzazione di una vicenda storica e di una visione del mondo in generici e imprecisi luoghi comuni. [...]
Gli equivoci, i pregiudizi, le distorsioni nella comprensione del significato del costituzionalismo, così come le riduzioni retoriche e le manipolazioni ideologiche che ne derivano, possono essere efficacemente arginati soltanto da una vera e propria opera di “disincrostazione” storiografica. Cioè da una ricostruzione del fenomeno che lo ricongiunga alle sue radici profonde, ne sottolinei gli elementi di continuità nel tempo, ne evidenzi gli aspetti dialettici e i tornanti conflittuali, rifletta sulle sue drammatiche cesure.
Alle origini delle costituzioni che oggi tendiamo a considerare come un dato ovvio e scontato ritroviamo un'idea molto antica di libertà dell'essere umano, connessa alla concezione filosofica e religiosa della sua dignità. Un'idea che prende forma tra la civiltà greca, quella romana e quella ebraica, e trova una sintesi peculiare nel cristianesimo, traducendosi in cultura, equilibri sociali, ordinamenti giuridici, istituzionali e politici. Essa rappresenta il “nocciolo duro” della cultura costituzionale, e continua a svolgere una funzione di lievito, in grado di reagire in forma efficace ai profondi mutamenti avvenuti nelle diverse epoche.
In tale evoluzione emerge un momento di passaggio decisivo, che nessuna ricostruzione storica parziale o pregiudiziale può nascondere: il Medioevo, epoca in cui il costituzionalismo comincia a prendere una forma concreta, dal punto di vista giuridico e istituzionale, a partire dal consolidarsi di un ordine continentale fondato su universalismo (Impero e papato) e pluralismo (gerarchia imperiale ed ecclesiastica, signoria feudale, Comuni, ceti, corporazioni), e caratterizzato prevalentemente da norme consuetudinarie. Ed emerge, parimenti, il dato inequivocabile che la rottura di tale equilibrio è stata determinata dall'avvento dello Stato moderno e della teoria e pratica della sovranità assoluta. Questi nuovi fenomeni bruscamente rovesciano la priorità tra libertà, diritti, garanzie da una parte e potere dall'altra, affermando la potestà sovrana in quanto tale come fine principale e conditio sine qua non della politica.
Da quel momento l'antagonista principale del costituzionalismo diventa proprio lo Stato, con le sue pretese di omologare e omogeneizzare la società, di ridurla all'obbedienza incondizionata, di imporre ad essa un ordine imperniato sul monopolio della forza e del diritto in mano al sovrano.
Nell'età moderna il costituzionalismo sopravvive e si ridefinisce, dunque, innanzitutto come teoria e pratica della resistenza e alternativa al potere assoluto, suo inverso speculare, suo “anticorpo”.
Quando, nel “vuoto pneumatico” della società costruito dalla crescita dello Stato e dalla progressiva avanzata della secolarizzazione, si affermano le ideologie, “religioni secolari” che propongono di smontare e ricostruire le società secondo un progetto di presunta razionalità totale tendente verso una fine dei tempi immanente, la tradizione costituzionale antica e medievale aggiornata – attraverso passaggi aspramente conflittuali - nel costituzionalismo moderno si configura come l'unico argine culturale a una mutazione genetica della politica in cui l'intera eredità dell'umanesimo classico, ebraico-cristiano ed europeo si avvia ad essere completamente snaturata.
Solo se si recupera la storia del costituzionalismo come antagonista radicale dello Stato moderno e delle ideologie è possibile, allora, comprendere adeguatamente il ruolo che le costituzioni assumono nella dialettica politica, giuridica, istituzionale e culturale dell'Occidente contemporaneo.
Quel ruolo appare ancora più cruciale se considerato alla luce della crisi profonda vissuta dalla civiltà europea nel Novecento sotto l'urto delle guerre mondiali, dei totalitarismi, della fine degli imperi coloniali, della guerra fredda. E si ripropone con immutata rilevanza, come “segno di contraddizione”, nell'epoca dell'apparente egemonia occidentale nel mondo, tra la guerra fredda e la globalizzazione. Un'egemonia in realtà molto fragile, insidiata dall'azione corrosiva di nuove (ma per molti versi vecchie) ideologie e dallo scivolamento verso un relativismo che incrina una cultura condivisa sul valore dell'essere umano e sulla sua libertà.
Davanti a tali ulteriori sfide, la ricongiunzione degli ordinamenti liberaldemocratici - e dei diritti umani dei quali essi pretendono di farsi promotori universali - con le origini culturali, etiche e religiose del costituzionalismo occidentale, e la riflessione sulle modalità specifiche in cui le domande che hanno dato origine ad esso si sono tradotte in termini istituzionali e normativi, può contribuire a fare chiarezza sulla natura dell'idea di libertà che è, o dovrebbe essere, alla base delle nostre esistenze personali, e delle nostre società. E, dunque, a (ri)costruire un “comune sentire” in grado di cementare queste ultime intorno a istituzioni dotate di un'autorità concordemente riconosciuta. Tanto più in una fase storica in cui sono ormai acquisite la natura irrimediabilmente plurale del mondo globalizzato, la convivenza in esso tra civiltà anche radicalmente diverse e la sfida portata al modello politico-istituzionale occidentale da forme di organizzazione del potere ad esso estranee, ma dotate del fascino di un'apparente, irresistibile potenza.